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SINTESI IN PRIMO PIANO – 13 febbraio 2021

In evidenza sui principali quotidiani:

– Formata la nuova squadra del Governo Draghi
– Recovery plan: ora in mano ai tecnici
– Covid: allarme varianti; tornano zone arancioni

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – I nomi del Colle e il ruolo della Lega allo sviluppo
Tema: Formata la nuova squadra del Governo Draghi

I nomi della squadra riflettono il tipo di equilibrio che ha cercato Draghi nel definire il suo Governo. Innanzitutto c’è la conferma che il modello scelto è stato quello di Ciampi e cioè un mix tra tecnici e politici. Naturalmente non è casuale dove sono stati collocati gli uni e gli altri. Ci sono senz’altro le new entry di Colao, Cingolani a segnare una discontinuità non solo perché fanno il loro debutto ma perché sottolineano una novità programmatica – rispettivamente – nella Innovazione digitale e nella Transizione ecologica che sono il cuore del Next Generation Eu. E poi c’è la continuità rappresentata da alcune caselle. Nomi consigliati da Mattarella che ha voluto non si spezzasse un filo con il precedente Governo e dunque al Viminale resta Lamorgese e alla Difesa Guerini ma pure sulla neo titolare della Giustizia Cartabia si sente l’influenza del capo dello Stato. Per il resto Draghi ha cercato un equi librio politico tra alleati e avversari, passato e presente, mettendo fuori dalla contesa dei partiti alcuni posti-chiave – e molto pesanti – come l’Economia e le Infrastrutture affidati rispettivamente a Daniele Franco e Giovannini che sono un po’ come un suo prolungamento. E ha scelto di tenere per se gli Affari Ue, a sottolineare che nell’interlocuzione con Bruxelles e sulla regia del Recovery c’è lui. Inoltre, quasi in modo speculare, ci sono le conferme di Franceschini per il Pd e agli Esteri Di Maio, quasi a non toccare i fili pericolosi di equilibri interni che comunque metteranno in fibrillazione pezzi di maggioranza.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Polito Antonio 
Titolo: L’interesse nazionale – L’interesse nazionale per una sfida che fa tremare
Tema: Formata la nuova squadra del Governo Draghi

Avevamo sperato in un «governo migliore», e possiamo dire di averlo avuto. Quello che è nato ieri ha una maggioranza più ampia, una squadra più qualificata e un presidente del Consiglio più autorevole di gran parte dei governi precedenti, da molto tempo a questa parte. Si può discutere se la crisi aperta da Renzi un mese fa, e in gestazione da molto prima, sia stata intempestiva o strumentale; ma oggi possiamo dire che non l’abbiamo sprecata. E il merito è del presidente Mattarella che, con una decisione solitaria e coraggiosa, quando tutto sembrava perso, ha dato l’incarico a Mario Draghi. Senza consultare prima nessuno dei leader politici. Affidando il suo tentativo alla lettera e allo spirito della Costituzione. Tornando allo Statuto. Draghi è riuscito nella sua missione con prudenza e realismo. Introducendo uno stil novo di sobrietà e riserbo, quasi «marziano» rispetto alle degenerazioni degli ultimi anni, ha fatto davvero il «costruttore». Nel governo ha inserito figure di primissimo piano. Due per tutti: Vittorio Colao, supermanager il cui aiuto era stato prima sollecitato e poi messo da parte dal precedente premier. L’altro è Roberto Cingolani, lo scienziato oggi più avanti in Italia sul fronte dell’innovazione. La nomina di un ex Ragioniere dello Stato come Daniele Franco al Tesoro, dell’ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia alla Giustizia, del professor Giovannini alle Infrastrutture, integrano un team «tecnico» di alto livello. Ma la compagine, nella quale ci sono meno donne di quante si sperava, otto su 23 ministri, e nessuna proveniente dai partiti di sinistra, è anche molto «politica». I partiti sono rappresentati, e non in piccolo numero: tre ciascuno.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico – Fubini Federico – Sideri Massimo 
Titolo: Franco, Colao, Cingolani I tecnici nei posti chiave – Tesoro e Transizione green, i tecnici nei posti chiave
Tema: Governo Draghi: molti tecnici

Un governo composto per un terzo di tecnici: 8 su 23 ministri, tutti con un curriculum eccellente. Ed è un supertecnico anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio: Roberto Garofoli, 54 anni, magistrato dal 1999, già capo di gabinetto prima col ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e poi col suo successore, Giovanni Tria, fino al dicembre 2019, quando lascia dopo aspri attacchi dei 5 Stelle e del portavoce di Conte, Rocco Casalino. A parte questo rientro a sorpresa, gli altri tecnici della squadra di Super Mario erano abbastanza attesi. A cominciare da Daniele Franco, 67 anni, entrato nella Banca d’Italia, di cui Draghi è stato governatore, già nel 1979, poi nominato Ragioniere generale dello Stato nel 2013 e infine tornato in Bankitalia nel 2019, diventandone l’anno dopo direttore generale. Sarà una coincidenza, ma anche lui era stato oggetto degli strali del capo dei 5 Stelle, Luigi Di Maio, e di Casalino, che lo consideravano un t ecnoburocrate di ostacolo ai provvedimenti cari al Movimento. Non sorprende neppure l’ingresso di Vittorio Colao, manager di rilievo internazionale, già chiamato da Giuseppe Conte a guidare il pool di esperti incaricato di aiutarlo nella predisposizione del Recovery plan e poi emarginato. Scontato l’ingresso di Marta Cartabia, già prima donna alla guida della Corte Costituzionale, come ministro della Giustizia. Resta al suo posto Luciana Lamorgese, ex prefetto, ministro degli Interni, chiamata dal Conte bis a succedere a Matteo Salvini, che ieri, appreso della conferma, l’ha subito avvertita: o cambia passo — si suppone sull’immigrazione — o avrà bisogno «d’aiuto». Curriculum ricchissimo, infine, per il fisico Roberto Cingolani, che guiderà il nuovo ministero della Transizione ecologica chiesto dai 5 Stelle, ma non assegnato a loro.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Falci Giuseppe_Alberto – Galluzzo Marco 
Titolo: Draghi al Quirinale: ecco la mia lista Mercoledì al Senato la prima fiducia
Tema: Mandato al Governo Draghi

Mario Draghi arriva al Quirinale alle ore 19, in perfetto orario. Poco meno di un’ora di confronto con il capo dello Stato Sergio Mattarella e poi è pronto a leggere la lista, davanti ai cronisti, dei 23 ministri (15 uomini e 8 donne), età media 54 anni. Il presidente incaricato non pronuncia una parola in più, comunica in modo secco l’elenco dei titolari dei dicasteri, compreso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Roberto Garofali, che sarà il suo braccio destro a Palazzo Chigi. I tecnici di prima fascia saranno otto. Tra le novità Vittorio Colao alla Transizione digitale e Roberto Cingolani alla Transizione ecologica. Nel resto della lista c’è il punto di equilibrio fra le forze politiche: 4 per il M5S, 3 per il Pd, 3 per Forza Italia, 3 per la Lega, i ciascuno Italia viva e Leu, con la riconferma di Roberto Speranza alla Salute. Rispetto al precedente governo non c’è il ministero dello Sport. Subito dopo Draghi si &egra ve; intrattenuto a colloquio con presidenti del Parlamento, Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati, e con il premier uscente Giuseppe Conte, che proprio ieri ha presieduto l’ultimo Consiglio dei ministri. Le prossime tappe istituzionali prevedono per oggi il giuramento a mezzogiorno al Quirinale e poi il passaggio della campanella a Palazzo Chigi con il premier uscente. La prossima settimana (probabilmente mercoledì e giovedì) il voto di fiducia, prima al Senato e poi alla Camera.
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Testata:  Repubblica
Autore:  De Gregorio Concita
Titolo: Se la sinistra dimentica le donne – Se il Pd dimentica le donne
Tema: Poche donne nell’esecutivo
Parole, tante. Dichiarazioni di intenti, quote, proclami. Alla prova dei fatti, poi, la sinistra non porta donne al governo. Zero, dal Pd e da Leu. È tristissimo, è antistorico – desolante guardare al resto del mondo – ma è così: inconfutabile. La guerra all’ultimo sangue fra correnti interne al Partito democratico, egolatrie, narcisismi, veti incrociati ha tenuto in ballo fino all’ultimo minuto Debora Serracchiani, candidata al Lavoro, ma infine no. Andrea Orlando. Fra le ministre di nomina politica la più a sinistra è Mara Carfagna: il testacoda fra antichi schieramenti è tutto qui. Carfagna, salernitana, neo ministro per il Sud, nata alla politica con Silvio Berlusconi, esordio agrodolce, più avanti negli anni spesso ribelle alla linea, oggi il volto giovane della nuova destra liberale, supera a sinistra – nella foto di gruppo – anche Elena Bonetti: la ministra alla Famiglia e alle Pari Opportunità confermata da Matteo Renzi, al governo in quota Agesci, l’ala scoutista del renzismo, collegio Ghisleri, scuole cattoliche fondate da Papi, mantovana, professoressa di matematica, il marito responsabile della Caritas. Dunque il quadro è questo. Otto donne al governo su ventitrè ministri, un terzo. Parecchio meno che in natura, ancora una volta. Per avere un brivido di orgoglio, trovare quei profili che parlano alle adolescenti italiane – se lo puoi sognare lo puoi fare – bisogna andare ai nomi indicati da Draghi e Mattarella. Fuori dai partiti, anche in questo la politica ha perso.
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Testata:  Repubblica
Autore:  Merlo Francesco
Titolo: Quel che resta di Conte nel giorno dell’addio – Quel che resta di Conte
Tema: L’addio di Conte
Sul ponte sventola pochette bianca. Non è stato intonato il requiem di Mozart né di Brahms per Giuseppe Conte che è uscito di scena senza neppure l’applauso da sipario. Al suo posto è tornata la normalità, proprio nell’eccezionalità del governo del presidente, la tanto attesa normalità con gli immancabili caratteri italiani, e valga per tutti Brunetta “il fantuttone”, titolo che l’allora ministro si conquistò andando a caccia di fannulloni nella pubblica amministrazione. Per questi “tipi” il tempo della commedia dell’arte non scade mai. Ci vorrebbe un governo Draghi delle anime, dei sentimenti e dei valori per liberare l’Italia dalla Cretinocrazia. Sicuramente quello di ieri non è stato un 25 luglio, non la fuga dei Savoia né la fine della Dc, né tanto meno la tragedia craxiana, nessuno ha mangiato mortadella in Parlamento come avvenne quando cadde Prodi, non c’è stato neppure l’addio ai monti di Berl usconi che era addirittura diventato una categoria dello spirito. Molto più modestamente con Giuseppe Conte è finita l’epoca della cerimoniosità, dei vezzi, del quasi, del buon ectoplasma affidabile e rassicurante, del leader ad interim, del ‘provvisoriamente al posto di’, del ‘signor nel frattempo’ che, a furia di resistere al fuoco lento con la pazienza dell’arrostito, saliva la scala di seta rossiniana, quella della popolarità che in Italia è sempre effimera. Diciamo la verità: di Giuseppe Conte non rimane nulla. Il governo Draghi seppellisce infatti le divise dell’ etichetta e dello scrupolo liturgico.
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Testata:  Giornale
Autore:  Bulian Lodovica
Titolo: L’ultima stretta firmata Conte Ora l’avvocato è senza popolo
Tema: L’addio di Conte
L’ultimo suo Consiglio dei ministri doveva essere quello del 26 gennaio, quando il premier uscente Giuseppe Conte era stato salutato con gli applausi dei colleghi. Invece è stato quello di ieri. Con anche l’ultimo decreto legge firmato dal presidente del Consiglio uscente. Una riunione veloce, di pochi minuti per varare le necessarie misure per il contenimento del virus: la proroga del divieto degli spostamenti tra le regioni fino al 25 febbraio – che doveva inizialmente arrivare fino al 5 marzo. Di fatto una «cortesia istituzionale», perché l’esecutivo giallorosso era rimasto in carica solo per il disbrigo degli affari correnti e urgenti, compresi tutti gli atti relativi all’emergenza sanitaria. La proroga delle restrizioni, sentito anche il premier incaricato Draghi, è stata quella di accorciare al minimo il periodo di proroga per lasciare al nuovo esecutivo le prossime scelte sulle restrizioni. Un passaggio formale e rapido per una seconda e ultima uscita di scena senza spazi emotivi. Alle spalle l’amarezza per la «sconfitta» e la delusione dopo la speranza coltivata fino all’ultimo di un epilogo diverso da quello scritto con la chiamata al Quirinale dell’ex presidente della Bce. A poche ore dall’insediamento del nuovo governo Draghi, Conte lascia i palazzi ma non – come ha dichiarato pubblicamente – una carriera politica iniziata dal vertice. Con le parole pronunciate nella conferenza stampa improvvisata fuori da Palazzo Chigi all’indomani della chiamata di Draghi non ha nascosto le proprie ambizioni. Sebbene bruci ancora l’obbligata uscita di scena, – causata da uno strappo percepito ancora come «incomprensibile e ingiusto» da parte di Renzi – Conte non vuole disperdere quel consenso popolare che lo colloca in cima alla classifica del gradimento dei leader.
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Testata:  Stampa
Autore:  Magri Ugo
Titolo: Il retroscena – L’impronta di Mattarella – L’impronta di Mattarella su tre ministeri decisivi
Tema: Nuova squadra di governo: lavoro in team di Sergio Mattarella e Mario Draghi
A Sergio Mattarella è riuscita un’impresa ai limiti dell’impensabile: mettere insieme un governo di persone stimate e rispettabili, con un tasso di competenza del tutto inusuale, guidato dall’unico vero fuoriclasse che all’estero ci viene riconosciuto, e con il sostegno dell’intero Parlamento (tranne i Fratelli d’Italia, che però non vedono l’ora di dare anche loro una mano). Per trovare un altro governo così largamente supportato bisogna risalire addirittura alla «solidarietà nazionale», quarto governo Andreotti, in piena emergenza terrorismo. Il primo a dubitare di riuscirci era Mattarella medesimo. È arrivato a dare forse il meglio del suo settennato quasi controvoglia, con lo stato d’animo di chi avrebbe mille volte preferito che i partiti si fossero messi d’accordo tra loro. Le circostanze hanno costretto il capo dello Stato a spogliarsi della veste arbitrale e a scendere personalmente in campo, insomma a mettersi in gioco correndo i rischi del caso. A cose fatte, può sembrare l’uovo di Colombo: ma le prime reazioni dei partiti alla scelta di Mario Draghi furono quasi tutte negative. L’azzardo del governo presidenziale sembrava destinato a un drammatico fallimento. Dieci giorni di diplomazia quirinalizia, accompagnata dalla paura di tornare alle urne, hanno reso possibile ciò che all’inizio scontato non era. In questo governo, l’impronta di Mattarella è incontestabile. Alcune scelte sono espressamente sue.
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Caccia Fabrizio
Titolo: Veneto e Piemonte tirano dritto «Sui vaccini facciamo da soli»
Tema: Vaccini
Veneto e Piemonte mordono Il freno: «Sull’acquisto dei vaccini noi tiriamo dritto», dice il governatore del Veneto, Luca Zaia, lui è che stato l’apripista, malgrado tutte le polemiche nate intorno alla sua iniziativa di procacciarsi in autonomia, rivolgendosi al mercato parallelo, milioni di dosi del siero anti Covid. «Il Veneto sta cercando 4 milioni di dosi», c’è scritto nella lettera inviata dalla Regione il 3 febbraio scorso all’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, per chiedere l’autorizzazione «a poter negoziare l’acquisto e l’importazione con fornitori esteri, considerata la carenza circa l’approvvigionamento». Zaia taglia corto: «Di fronte ai veneti che mi chiedono di essere vaccinati mi sembra un dovere morale cercare di acquistarli». E pure il governatore del Piemonte, Alberto Cirio, appare molto determinato: «Siamo sabaudi e rispettiamo le regole, ma non vogliamo perdere neanche un minuto e soprattutto non stiamo ad aspettare Roma. Noi siamo i figli delle consegne romane e questo è il limite che tutte le Regioni hanno, perché ogni ritardo nelle consegne delle dosi comporta una rimodulazione del piano di vaccinazione regionale». Così, anche il Piemonte si rivolgerà ai mercati internazionali per acquistare «tre milioni di pezzi», rivela Cirio, che avverte: «Se c’è una via nel rispetto delle norme che mi permette un auto-approvvigionamento la devo percorrere, perché il vaccino è l’unica vera arma per uscire da questa crisi».
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Santilli Giorgio 
Titolo: La sfida di Giovannini: sviluppo sostenibile con le infrastrutture
Tema: Infrastrutture

Enrico Giovannini non ha mai incontrato personalmente e direttamente i temi dei cantieri, delle infrastrutture, del codice degli appalti nella sua lunga e prestigiosa camera, da capo statistico dell’Ocse (dal 2001 al 2009) a presidente dell’Istat (dal 2009 al 2013), da ministro del Lavoro (2013-14) all’attuale incarico – forse il più innovatore di tutti – di portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), una rete di oltre 270 soggetti della società civile italiana che ha fondato nel 2016. Eppure il nuovo ministro delle Infrastrutture potrà giocare la nuova sfida con molte frecce al suo arco. Basta leggere l’ultimo Rapporto Asvis per capire quale potrà essere il ruolo di Giovannini in un settore che resta uno dei tre pilastri centrali del Recovery Plan, le infrastrutture sostenibili. Anzi, se si guardano alle ricerche dell’Ance, il settore delle costruzioni – che sarà fra le competenze del neoministro soprattutto in una chiave di trasformazione grren – è coinvolto, sparso nelle varie voci, in più del 50% degli investimenti inseriti nella versione attuale. Che cambierà, certamente, ma non potrà fare a meno – e anzi probabilmente accentuerà – il ruolo di infrastrutture materiali sostenibili.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Amato Rosaria 
Titolo: Giovannini “Cambiamo il modello di sviluppo”
Tema: Infrastrutture

Sarà la mobilità sostenibile il baricentro del lavoro di Enrico Giovannini alle Infrastrutture e Trasporti. Un ministero che ha sul tavolo dossier di peso come quello Autostrade per l’Italia, alle ultime battute mentre si attende l’offerta definitiva del consorzio Cdp con i fondi Blackstone e Macquarie, ma che ha anche davanti a sé la sfida dei 32 miliardi che il Recovery Fund destina alle infrastrutture e alla mobilità, con particolare attenzione, oltre che alla mobilità green che da sola assorbe oltre 18 miliardi, alle opere ferroviarie e al Mezzogiorno, oltre alla messa in sicurezza di strade, ponti e viadotti, senza contare anche la digitalizzazione. Già ministro del Lavoro, statistico (è stato anche presidente dell’Istat) con un focus sulla valorizzazione di tutto quello che va oltre la visione della crescita come mera misurazione della ricchezza, Giovannini, anche nei colloqui con Repubblica, ha spesso posto l’accento su quanto i n questo momento sia importante accompagnare lo sviluppo post pandemia delle città verso un maggiore equilibrio tra centro e periferia, e del Paese verso la mobilità green. Una opportunità che permetterà anche di creare tantissimo lavoro, non manca di sottolineare, con particolare riferimento ai giovani. «La crisi offre una opportunità irrepetibile per scegliere e accelerare su un nuovo modello di sviluppo», ha sostenuto in più occasioni Giovannini.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pogliotti Giorgio – Tucci Claudio 
Titolo: Lavoro tra Cig e licenziamenti, la partita sul tavolo di Orlando
Tema: Lavoro

Per il difficile dossier “lavoro”, il premier Mario Draghi si è affidato ad Andrea Orlando, 52 anni, con una lunga esperienza da politico (nel Pd) e da ministro per tre precedenti governi. Il vice di Nicola Zingaretti ha scalato tutti i gradini del partito, iniziando la carriera politica giovanissimo e diventando a 20 anni segretario della federazione giovanile comunista di La Spezia, poi capogruppo del Pci nel consiglio comunale della sua città natale.[…]Forte della sua esperienza politica, Orlando dovrà occuparsi di dossier scottanti, a partire dal blocco dei licenziamenti in scadenza il 31 marzo, che vede da un lato i sindacati premere per una nuova proroga e dall’altro le aziendechiedere di superare il blocco per poter avviare i processi di ristrutturazione aziendale. C’è poi iltema della proroga della cassa integrazione d’emergenza, visto che a fine marzo finiranno per moite aziende le 12 settimane gratuite concesse dalla legge di Un nuovo Piano Mar shall. Fin dall’inizio, il meccanismo su cui potrà appoggiarsi la ripresa in Europa è stato paragonato al primo Piano Marshall realizzato tra il 1948 e il 1952 per rilanciare le economie europee dopo la guerra, e noto anche come European Recovery Plan 15 Bilancio. La riforma degli ammortizzatori sociali è un’altra grande sfida; il suo predecessore, il ministro Nunzia Catalfo, non ha presentato una proposta, preferendo avvalersi di un team di esperti che ha elaborato una bozza criticata dalle parti sociali (la riforma ipotizzata costa 20 miliardi nella transizione, io a regime, con un incremento di costi perle imprese). L’altra grande sfida è rappresentata dal decollo delle politiche attive.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Marro Enrico 
Titolo: Fabbriche e uffici, un lavoratore su tre in cassa integrazione
Tema: Lavoro

Dall’inizio della pandemia quasi 7 milioni di lavoratori dipendenti privati hanno avuto bisogno della cassa integrazione. Considerando che i dipendenti privati sono meno di 15 milioni, è come dire che quasi uno su due è finito sotto ammortizzatori sociali (oltre alla cassa integrazione, l’assegno pagato dai fondi bilaterali di solidarietà). Un dato che si sposa con quello delle aziende che hanno fatto ricorso alla cassa: circa il 55%, secondo valutazioni dell’Inps. Ai dipendenti privati sussidiati si devono poi sommare una parte degli artigiani e dei lavoratori in somministrazione (in tutto una platea potenziale di 1,5 milioni) che non passando per l’Inps non vengono quantificati nel report col quale l’istituto presieduto da Pasquale Tridico ha fatto il punto della situazione all’8 febbraio. Considerando che gli occupati in Italia sono in tutto 22,8 milioni, quasi uno su tre è stato assistito col sussidio che scatta per i periodi di sospensione dal lavoro con la causale Covid-19 (fin dall’inizio della pandemia la cassa in deroga e stata estesa alle aziende con meno di 5 dipendenti).
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Fraioli Luca 
Titolo: Al fisico dell’energia verde i fondi chiave sul Recovery – Cingolani “Fare presto per il clima”
Tema: Recovery Plan

«Sono necessarie azioni urgenti, in particolare rispetto al riscaldamento globale e ai suoi effetti su desertificazione, innalzamento degli oceani, riserve di acqua dolce». Roberto Cingolani ha ben chiaro quali siano le priorità da ministro del neonato dicastero della Transizione ecologica. Un profilo, il suo, individuato da Mario Draghi forse perché concilia due esigenze apparentemente agli antipodi: spingere il progresso, anche economico, grazie all’innovazione tecnologica ma al tempo stesso raccogliere l’appello della scienza che chiede un immediato taglio delle emissioni di CO2, responsabili dell’emergenza climatica che stiamo già vivendo. Sarà dunque un fisico, a guidare la transizione dell’Italia verso un futuro a emissioni zero, da un ministero mai esistito prima, eppure centrale negli anni a venire. Cingolani non è nuovo a sfide del genere. Ora il fisico-manager dovrà gestire la transizione ecologia ed energetica dell’Ital ia. E i 70 miliardi che, sui 209 totali del Next Generation Eu, il nostro Paese dovrà investire per rivoluzionare i trasporti, l’industria e passare dalle fonti fossili a quelle rinnovabili. Viste le dimensioni dell’impresa, non lo farà in solitudine dal suo ministero, ma guidando, come ha annunciato ieri sera il premier, un Comitato interministeriale. Quale sarà la sua bussola? «Le Nazioni Unite con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e l’Europa con lo European New Green Deal, hanno costruito le road map per la sfide fondamentali», ha scritto di recente su GreeneBlue.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Sforza Francesca 
Titolo: Il Recovery plan in mano ai tecnici
Tema: Recovery plan e green

Ce lo chiede l’Europa, i tempi dell’Europa, le preoccupazioni dell’Europa, l’Europa che ci guarda. Se c’è un attore che sin dall’inizio di questa crisi di governo ha avuto il ruolo di convitato di pietra, ecco, questa era l’Europa. Eppure nella lunga lista di ministeri senza portafoglio snocciolata dal premier Mario Draghi spicca, vistosa, l’assenza del ministero degli Affari europei, una struttura di circa cento persone che durante l’azione del secondo governo Conte ha avuto non solo il ruolo di stampella a un ministero degli Esteri considerato, al momento della sua nascita, non immune da potenziali fragilità, ma anche di propulsore nella trattativa e nel negoziato sul Recovery Plan, che hanno portato all’Italia il risultato di oltre 200 miliardi di euro. L’ex ministro degli Affari europei, Enzo Amendola, non avrà nessuno, da domani, a cui passare le consegne, e il ministero degli Affari europei tornerà, con tutta probabilità, a essere quello che e ra prima del Conte bis: un dipartimento operativo alle dirette dipendenze di Palazzo Chigi (che nel frattempo però ha allargato le sue competenze, che vanno dal confronto con le legislazioni Ue, fino alle leggi sulla concorrenza e alle operazioni sui mercati). E’ un passaggio decisivo, che segna una rottura secca con il passato ed è forse il segnale più forte lanciato dal nuovo governo: l’Europa sarà un affare del presidente del Consiglio e della sua squadra, in accordo con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Signorini Antonio 
Titolo: Recovery plan, fuori i politici Solo tecnici nei settori chiave
Tema: Recovery Plan

Una cabina di regia di fatto. La gestione del recovery fund del governo guidato da Mario Draghi sarà saldamente in mano a uomini di sua fiducia. Se nella lista dei nomi che il premier ha portato al Quirinale la sorpresa sono i politici doc e le nuove conferme, i dicasteri economici sono a sua immagine e somiglianza. Tutti tecnici con l’eccezione del leghista Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo Economico. La breve stagione del ritorno alla politica nel dicastero dell’Economia si interrompe. In via XX Settembre, il Pd Roberto Gualtieri, primo titolare del miistero iscritto a un partito dal 2008 (2001 con Vincenzo Visco se si esclude il tecnico-politico Giulio Tremonti) sarà sostituito da Daniele Franco. Scelta non casuale. Il ministero dell’Economia è quello che tiene aperti i canali di comunicazione con l’Europa. Sulla scrivania di Quintino Sella- che si trova nel grande ufficio con caminetto nel quale Franco entrer da ministro – potrebbe tornare la regia del Recove ry fund, sul quale Palazzo Chigi dell’era Conte II aveva esercitato una prelazione. E’ il secondo dossier in ordine di urgenza del governo, subito dopo i vaccini. Proprio ieri i presidenti della Commissione Ue Ursula von der Leyen, del Consiglio Antonio Costa e del Parlamento europeo Sassoli hanno siglato il regolamento del Recovery. Già il 19 il piano è operativo.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Picchio Nicoletta 
Titolo: Confindustria: non solo Irpef, serve una riforma totale del fisco
Tema: Riforma del fisco

Una riforma «a tutto tondo». Non solo l’Irpef, «che sembra uscita dal bisturi del dottor Frankenstein» ma tutto il sistema fiscale: dall’Irap, che va definitivamente abrogata, con «benefici in termini di semplificazione e attrazione di investimenti» al fisco sulle imprese, alle detrazioni: un sistema di «micro-agevolazioni con importi risibili», che va superato puntando su misure più efficaci come il super bonus 110% «misura potente e utile che andrebbe rafforzata ed estesa, semplificando l’iter applicativo e la normativa». E stop alla giungla di bonus, ce ne sono 602: «meglio pochi, grandi incentivi e una tassazione bassa». Quanto alla patrimoniale, ne abbiamo già 17 che portano all’erario ogni anno 37 miliardi: non si tratta di discutere «se» introdurla, ma «come riorganizzare quelle che abbiamo già». Sono le proposte che Emanuele Orsini, vice presidente di Confindus tria per il Credito, la Finanza e il Fisco, ha presentato nell’audizione di ieri nelle commissioni Finanze di Camera e Senato, offrendo la disponibilità al confronto. Orsini ha auspicato un diverso rapporto fiscocontribuente: va superata la «dimensione antagonistica&r aquo; che «toglie energie al paese». Serve un’amministrazione finanziaria efficiente, per la quale le imprese in primis sollecitano più investimenti, come per la giustizia tributaria.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Svolta di Biden sui migranti Confini riaperti con il Messico
Tema: Biden apre ai migranti

Joe Biden comincia tra una settimana a mantenere una delle promesse più impegnative e simboliche: riaprire il confine col Messico ai richiedenti asilo. Lo fa con cautela, col contagocce, consapevole che una crisi al confine, un boom di ingressi illegali, diventerebbe subito il suo tallone d’Achille. E prolunga comunque gli accordi con Messico e Guatemala perché siano le loro forze dell’ordine a fare una guardia dura al confine. Il tema è rovente, Biden è stretto fra due fuochi. Da una parte c’è la sinistra “no border” di Alexandria Ocasio-Cortez, che vorrebbe addirittura un referendum per abolire la polizia di frontiera. Dall’altra c’è un partito repubblicano che è già pronto a usare un eventuale boom di profughi per la prossima campagna elettorale (le legislative del 2022). Biden ricorda quanto lui e Barack Obama pagarono un’altra crisi al confine, finendo con l’introdurre quelle gabbie di detenzione per minorenni che poi furon o attribuite a Donald Trump. È alla fine della prossima settimana, venerdì 19 febbraio, che al confine col Messico comincerà il test della nuova politica. Sostituisce quella detta “Rimanere in Messico”. Il nome ufficiale del programma introdotto dall’Amministr azione Trump, in accordo con il presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador, era Migrant Protection Protocols. L’intesa prevedeva che i richiedenti asilo rimanessero a Sud della frontiera, in centri di accoglienza organizzati dalle autorità messicane, durante l’esame delle loro domande da parte degli Stati Uniti. 65.000 richiedenti asilo furono respinti alla frontiera, ma solo una parte sono rimasti in Messico. Dalla prossima settimana Biden darà il via libera perché vengano esaminate 25.000 domande di asilo.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Agliastro Giuseppe 
Titolo: Mosca attacca l’Ue “Con le sanzioni pronti alla rottura”
Tema: Contrasti Mosca-Ue

La Russia è «pronta» all’eventualità di una J«rottura» con l’Unione europea in caso di sanzioni pesanti, non vuole essere «isolata dalla vita mondiale» ma deve essere «preparata per questo» e quindi deve diventare economicamente autosufficiente: mentre Bruxelles valuta possibili nuove misure restrittive contro Mosca per il caso Navalny, il capo della diplomazia russa, Sergey Lavrov, ha rilasciato un’intervista che difficilmente contribuirà ad allentare le tensioni tra l’Ue e la Russia e che è stata subito criticata duramente dalla Germania e dalla stessa Unione Europea. «Se vuoi la pace, prepara la guerra», ha dichiarato tra le altre cose Lavrov rispondendo a una domanda del giornalista filo-Cremlino Vladimir Solovyov. Poco dopo, il portavoce di Putin ha cercato di gettare un po’ d’acqua sul fuoco assicurando che le parole del navigato ministro russo sono state poste «fuori contesto» e che Mosca non vuole troncare i rapporti con Bruxelles: «Quello che vuole dire in realtà è che non lo vogliamo, che vogliamo sviluppare le relazioni con l’Unione europea, ma se l’Ue sceglie la strada» delle sanzioni «allora sì, saremo pronti», ha spiegato Dmitri Peskov dando un’interpretazione meno aggressiva alle parole di Lavrov. Le dichiarazioni del ministro sono state comunque definite «sconcertanti e incomprensibili» dal governo di Berlino, in prima fila nel chiedere la scarcerazione dell’oppositore Alexey Navalny ma allo stesso tempo restio a congelare il progetto del gasdotto russo-tedesco Nord Stream-2.
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Testata:  Giornale 
Autore:  Guelpa Luigi 
Titolo: Mosca minaccia Bruxelles «Se ci impone sanzioni stop ai rapporti con l’Ue»
Tema: Contrasti Mosca-Ue

«E’ tutta una vergognosa montatura. Se il mio assistito non avesse criticato Putin, oggi non ci troveremmo qui a discutere del nulla». Vadim Kobzev, avvocato del dissidente Alexei Navalny, ha esordito così nel corso della seconda udienza al tribunale distrettuale Babushkinsky di Mosca. II suo assistito, già condannato a 2 anni e 8 mesi di carcere per storno di fondi ai danni di filiali della Yves Rocher, deve rispondere di calunnia nei confronti di Ignat Artyomenko, veterano della seconda guerra mondiale. In caso di comprovata colpevolezza, rischia fino a cinque anni di lavori forzati. La vicenda rimbalza dall’aula di tribunale ai tavoli della diplomazia internazionale. L’Ue è pronta ad attuare una lunga serie di sanzioni nei confronti di Mosca, il Cremlino da parte sua risponde per le rime, affidandosi a un duro commento del ministro degli Esteri Sergei Lavrov, intervistato dalla tv «Russia 1» nelle stesse ore in cui l’imputato Navalny si trovava di fronte al giudice Vera Akimova. «Partiamo dalla premessa che stiamo valutando la possibilità di una rottura nei rapporti con Bruxelles – ha rivelato il capo della diplomazia russa intervistato dal programma Soloviev Live – Se vediamo ancora, come abbiamo sperimentato più di una volta, che le sanzioni vengono imposte in aree che mettono a rischio la nostra economia, compresi i settori sensibili, a quel punto ci troveremmo nelle condizioni di far saltare il banco». Il primo commento è arrivato dalla Germania per voce del ministro degli Esteri Heiko Maas, che ha parlato di «dichiarazioni veramente sconcertanti e incomprensibili. Se da un lato non escludiamo la possibilità di applicare nuove sanzioni, è anche vero che da parte nostra esiste la volontà a mantenere il dialogo con Mosca».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Veronese Luca 
Titolo: I Socialisti provano a conquistare una Catalogna stanca e impaurita
Tema: Catalogna

Non si vedono turisti a Barcellona, il Covid ha azzerato gli arrivi in una città che fino a due anni fa ospitava dieci milioni di visitatori. Le strade della Catalogna si sono svuotate dei rumori e delle voci quotidiane: tanti negozi sono chiusi, nei bar si prende un caffè al volo e poi si torna a casa. La paura domina anche la vigilia delle elezioni nelle quali domani icatalani dovranno rinnovare l’Assemblea regionale e scegliere il nuovo presidente della Generalitat. «Siamo passati dal tutto indipendenza al tutto pandemia», dice Oriol Bartomeus, politologo dell’Università autonoma di Barcellona «Dovremo fare attenzione ai numeri, valutare le percentuali di voto, ma – aggiunge – mi sembra evidente che la politica catalana, anche a causa del Covid, ma soprattutto per stanchezza, va verso la normalizzazione». La voglia di indipendenza, le rivendicazioni contro il governo di Madrid, la richiesta di un nuovo referendum per separarsi dalla Spa gna sono state messe da parte, almeno per il momento, di fronte all’emergenza sanitaria e alla gravissima crisi economica. Nel 2020 il crollo dell’economia catalana è stato addirittura più marcato di quello dell’intero Paese: il Pil della regione è sceso dell’11,45%, mentre il Pil spagnolo si è contratto dell’11%. E anche se si sono avuti segni di recupero della produzione industriale e delle esportazioni, servirà tempo perché l’economia catalana recuperi i livelli di attività precedenti la pandemia.
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Testata:  Domani 
Autore:  Brandolini Elena_Marisol 
Titolo: La Catalogna va al voto per pesare gli indipendentisti
Tema: Catalogna

Domani in Catalogna si vota per eleggere il parlamento che investirà il nuovo presidente alla guida della Generalitat catalana. Si tratta di elezioni convocate in anticipo sulla fine naturale della legislatura, probabilmente segnate da una forte astensione per la pandemia, utili a misurare la forza dell’indipendentismo e a ridefinirne i rapporti interni. Ma con una ripercussione anche sul quadro politico spagnolo e la stabilità del governo di coalizione guidato dal socialista Pedro Sánchez. Il loro esito condizionerà la soluzione del conflitto catalano e perciò il futuro di libertà dei leader indipendentisti in carcere e in esilio per la dichiarazione unilaterale d’indipendenza dell’autunno 2017. Sull’anticipo dell’appuntamento elettorale hanno pesato i gravi dissidi esistenti tra i partiti indipendentisti al governo, Junts per Catalunya (JxCat), di orientamento liberaldemocratico ed Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), di ispirazione soc ialdemocratica A deciderlo, però, è stata l’inabilitazione da parte del Tribunal supremo dell’ex presidente Quim Torra per avere appeso, durante la campagna elettorale per le politiche dell’aprile 2019, uno striscione sulla facciata del Palau della Generalitat per la libertà dei leader indipendentisti in carcere. Da allora il governo catalano è ad interim. La campagna elettorale è stata segnata da una doppia eccentricità si è svolta in piena pandemia e la partecipazione in semi-libertà riconosciuta ai leader indipendentisti in carcere.
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Autore:  Zunini Roberta 
Titolo: Le bimbe soldato delle neo-guerre: una parità feroce – Le bambine vanno in guerra La parità dei mini-eserciti
Tema: Bambine soldato

Da anni l’opinione pubblica mondiale è a conoscenza dell’orribile pratica del reclutamento di bambini per combattere, ma sono in pochi a sapere che ben il 40% di loro sono bambine che oltre a essere usate come schiave sessuali si trovano costrette a dover imbracciare un fucile e uccidere. Inoltre i bambini vengono arruolati anche dagli eserciti regolari tenuti dalle convenzioni internazionali asalvaguardarei più deboli, in primis i bambini. Si tratta di una piaga che continua ad allargarsi: il numero di casi registrati è costantemente aumentato dal 2012 al 2020. La denuncia arriva dall’Organizzazione non governativa Intersos nella Giornata mondiale contro l’impiego dei bambini soldato. L’Ong ha lanciato anche la campagna twitter #Stopbambinisoldato per sensibilizzare maggiormente anche i giovani internauti.
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Testata:  Il Fatto Quotidiano 
Autore:  Fini Massimo 
Titolo: Kabul, vendonsi organi – Tratta di organi in Afghanistan E l’Occidente che fa? Niente
Tema: Tratta di organi

Il New York Times ci informa che a Herat, una delle città più moderne e modernizzanti dell’Afghanistan, è in atto, come un’abituale forma di profitto, la vendita di organi, soprattutto reni, strappati ai ragazzi afghani in cambio di poche migliaia di dollari (3.500 è la tariffa media). L’Afghanistan è da sempre un Paese povero, privo di quelle risorse, come il petrolio e il gas, che fanno tanto gola agli occidentali. Ma mai nella sua storia, passata e recente, si era assistito a un tale sconcio. […]Oggi a Herat esiste un ospedale, il Loqman Hakim Hospital, che si vanta di aver operato più di mille trapianti di reni in cinque anni. Nell’ultimo capitolo del mio libro Il Mullah Omar, del 2011, intitolato “Come si distrugge un Paese”, avevo puntualmente descritto come l’operazione americana, denominata beffardamente Enduring Freedom, avesse devastato economicamente, socialmente, culturalmente, moralmente l’Afghanistan e la sua popolazione. Evid entemente dal 2011 Enduring Freedom ha fatto dei grossi passi avanti se questo traffico di organi, che è più grave del traffico di esseri umani tipo quello che c’è fra la Libia e l’Italia, si può svolgere tranquillamente sotto gli occhi di tutti senzache nessuno, acominciare da Amnesty International e da tutte quelle organizzazioni internazionali tanto attente ai “diritti umani”, osi alzare un dito o emettere un flatus vocis. Malacosaancor più grave, almeno per noi, è che Herat è sotto il controllo italiano. Abbiamo 800 soldati là. Cosa fanno e cosa fanno i loro comandi?
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Testata:  Domani 
Autore:  Bragantini Salvatore 
Titolo: Perché serve una legge sulle piattaforme digitali scritta da Usa e Ue insieme
Tema: Piattaforme digitali
L’economista Luigi Zingales ha qui segnalato, il 7 febbraio, i rischi per la libertà di parola legati alla decisione dei grandi social network di ‘bandire” l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dopo che i suoi tweet hanno spinto al grave assalto al Congresso Usa del gennaio; furbescamente motivata da quei fatti, essa chiude però l’accesso a strutture essenziali nel mondo moderno. Due sono le affermazioni-chiave di Zingales: «Se Trump ha violato la legge con i suoi tweet dovrebbe essere processato» e «La concentrazione (del potere digitale) favorisce la coordinazione e la collusione». Quanto alla seconda, il regime antitrust Usa negli ultimi decenni si è attenuto al dogma dei vantaggi per il consumatore. Se una concentrazione non comporta aumenti dei costi, viene approvata, spesso neanche esaminata. Se il prodotto è gratis e tale (in apparenza) resta, è arduo bloccare un’operazione, ma la concentrazione nuoce al l’economia e alla società.[…]Limitarsi a dire che i social network hanno le loro regole, e possono sanzionare chi non le rispetta, ne ignora l’elevata concentrazione, nonché l’importanza nella comunicazione anche politica. Tanti tweet del presidente in carica, ben più incendiari di quelli poi oscurati, erano andati via lisci. Il rischio di una censura selettiva non può essere ignorato. A scovare le violazioni della legge dovrà essere in prima battuta la piattaforma, spontaneamente o su impulso altrui. Sul merito delle segnalazioni dovrà decidere un soggetto terzo, magistrato o, per fatti meno gravi e commessi in ambiti ristretti, un arbitro. Nei casi più chiari, potrebbe decidere direttamente la piattaforma, con decisione, positiva o negativa, appellabile presso il soggetto terzo; dovrà essere sempre la piattaforma ad attuare la decisione. Tale processo dovrebbe svolgersi nel volgere al più di qualche giorno; non sarà facile, ma l’accesso si potrà chiudere solo per la violazione di una legge, o regola interna.
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