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SINTESI IN PRIMO PIANO – 11 settembre 2020

In evidenza sui principali quotidiani:

– Scuola: ripartenza in salita;
– Recovery Plan e Mes: discussione in Parlamento dopo le Regionali;
– Borsa: dopo l’incontro di mercoledì con il ministro Gualtieri, domani Euronext e Cdp presenteranno l’offerta per il 100% di Borsa Italiana;
– Recovery Fund: per l’Italia digitalizzazione della sanità, nuove tecnologie e sostenibilità ambientale;
– Med7: vertice ad Ajaccio, al centro dell’incontro il dossier libico;
– Ue e immigrazione: il 30 settembre nuovo «Patto per l’Immigrazione» e la riforma del diritto d’asilo.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Santarpia Valentina 
Titolo: La scuola riparte in salita – Banchi, spazi, professori «Così è difficile iniziare»
Tema: Scuola

«Ogni minuto è prezioso»: lo dice il presidente dell’associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, a tre giorni dall’inizio delle lezioni in 13 regioni (in Friuli si inizia il 16, in Sardegna il 22, nelle altre si è posticipato al 24). La verità, ammette Giannelli, è che, di giorno in giorno, di ora in ora, il contatore delle criticità – banchi, docenti, mascherine, test – fa uno scatto in avanti. «Mancano circa 5 mila aule, almeno 2,2 milioni di banchi: in molte scuole gli studenti dovranno mantenere la mascherina anche da seduti». Circa il 50% dei docenti e dei collaboratori si è sottoposto a test sierologico: il 2,6% è risultato positivo, il che significa che 13 mila persone potenzialmente contagiose non entreranno a scuola fino a quando il tampone non darà esito negativo. Non è detto che tutto il personale si sottoponga al test, volontario. L’unica regione che lo ha reso «obbligatorio» è la Campania. Entro l’inizio dell’anno scolastico in tutta Italia dovrebbero essere 200 mila i banchi consegnati, ma dallo staff del commissario Domenico Arcuri si assicura che entro ottobre verranno consegnati tutti e 2,4 milioni. Sarà complicato: con l’inizio delle lezioni dovranno essere i dirigenti a trovare i momenti buoni per le operazioni, senza inficiare sull’orario, già decurtato in attesa di completare l’organico. È il nodo più problematico. Il ministero dell’Istruzione parla di 60 mila supplenti da nominare, a cui aggiungere le deroghe sul sostegno. La Cisl smentisce: «Sono 206 mila le caselle da riempire». Le nomine sono partite ieri, dagli uffici scolastici provinciali, ma da lunedì si comincerà a chiamare dalle graduatorie di istituto i supplenti e l’organico Covid. «Sarà difficile spiegare alle famiglie e agli studenti che ci vorranno diverse settimane prima di cominciare con un docente in classe», sottolinea Maddalena Gissi (Cisl).
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Strippoli Sara 
Titolo: Scuola, la battaglia della febbre I governatori: va misurata in classe – “La febbre si misura a scuola” Il nuovo fronte dei governatori
Tema: Scuola

A soli tre giorni dalla prova del nove sulla tenuta del sistema nell’autunno del Covid, il mondo della scuola non trova pace. Disorientato, in affanno. L’ultima querelle che ieri ha recapitato a Roma mail incandescenti firmate da docenti e presidi arriva dal Piemonte. Il forzista Alberto Cirio sceglie di andare in contromano. Al governo che ha assegnato il compito di misurare la febbre alle famiglie, risponde con una ordinanza diffusa mercoledì sera che nelle prossime ore potrebbe persino essere impugnata dal governo. La giunta di centrodestra pretende una doppia verifica e decide che tocca alle scuole la misurazione della febbre. Se questo poi non fosse possibile “per ragioni di carenza di personale o di altre motivazioni oggettive”, le famiglie devono scrivere sul vecchio diario, su un foglio di carta o sul registro elettronico qual è la temperatura rilevata a casa. Il Piemonte vuole non solo che papà o mamma controllino i figli prima che escano di casa come indicato nel documento del Comitato tecnico scientifico nazionale, ma che lo comunichino in qualche forma alla scuole. A dar voce ai malumori del ministero è íl direttore generale dell’Ufficio scolastico piemontese Fabrizio Manca: «Una iniziativa tardiva e impropria. Verrebbe da dire che lo Stato ha fiducia e crede nelle responsabilità genitoriale, la nostra Regione evidentemente no». Proprio sulla base delle regole del governo «i dirigenti scolastici hanno pianificato con grande fatica e complessità l’organizzazione del servizio. In molti casi orari e ingressi sono stati diversificati per evitare assembramenti». Scelte che ora dovranno essere riviste. Le accuse sono condivise anche dai sindacati e dall’Anp, l’associazione nazionale che riunisce i dirigenti scolastici: «Avevamo già espresso il nostro dissenso motivandolo con un insostenibile aggravio organizzativo», commenta il presidente piemontese Mario Perrini.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – Recovery e voto sul Mes appesi al test delle Regioni
Tema: Regionali, poi Recovery e Mes

Da qualche giorno Conte ha ripreso a parlare di dialogo bipartisan sul Recovery Plan e della necessaria interlocuzione con il Parlamento. Toni istituzionali che fin qui hanno avuto poca concretezza ma ieri gli annunci hanno preso un po’ più di consistenza visto che nella riunione a Palazzo Chigi coni capigruppo della maggioranza è stato scelto di dare un ruolo alle Camere prevedendo un voto sul Piano già ai primi di ottobre. «Il Parlamento si esprimerà con un proprio atto di indirizzo al Governo perché le decisioni non riguardano solo l’Esecutivo o la maggioranza, per questo si è avviato un lavoro di ascolto». Così diceva Delrio capogruppo del Pd ma quello che accadrà nel dibattito tra gruppi parlamentari lo decideranno più le urne che lo spirito di collaborazione pre-elettorale. Nel senso che sarà il responso delle regionali a definire il calendario delle Camere perché nei rapporti tra il Conte II e l’opposizione peserà la conta dei vincenti e perdenti. In primo luogo, sarà affrontato il tema del Mes che – come ha anche detto il premier – avrà il suo banco di prova in Parlamento. E non sarà indifferente una tenuta o una sconfitta del Pd che più si è esposto sul “si” al suo utilizzo. Se infatti il partito di Zingaretti dovesse uscire rafforzato – o comunque reggere – allora sarà più semplice imporre ai 5 Stelle la strada del prestito per le spese sanitarie. E trascinare anche un pezzo di Forza Italia che potrebbe diventare la sorpresa della prossima fase parlamentare.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Martini Fabio 
Titolo: Intervista a Stefano Bonaccini – “Alle regioni serve il Mes basta coi Niet dei 5 Stelle” – “Sul Mes dichiarazioni surreali Basta col Niet dei Cinque stelle”
Tema: Bonaccini, alle Regioni serve il Mes

Da sei mesi Stefano Bonaccini si misura quotidianamente in una doppia sfida – governatore dell’Emilia Romagna e presidente dei presidenti di Regione – e al tempo stesso è il personaggio che dentro il Pd con più determinazione interpreta l’alleanza con i Cinque stelle in termini competitivi, senza complessi di inferiorità e lungo questo solco pronuncia parole importanti sulla questione del Mes: «Il Movimento 5 stelle intende restare a guardare, preferendo aggiungere il proprio niet a quello strumentale delle destre? Il presidente Conte ha detto che potrebbe portare la questione in Parlamento: lo faccia e lì ognuno si assuma le sue responsabilità davanti agli italiani». Il governo sta programmando come spendere in sanità una parte dei fondi del Recovery ma se ne riparlerà fra quasi un anno, mentre lo “sportello” del Mes è già aperto. Sinora invocare un ripensamento nei Cinque stelle non è servito: quale può essere il “grimaldello” che porta ad una svolta? «Recovery Fund e Mes sono treni che passano una volta sola e che possono permettere all’Italia di fare quel salto di qualità di cui abbiamo assoluto bisogno se c’è un disegno importante di ripresa e ammodernamento. Sul primo ho fatto i complimenti al governo, ora come Regioni ci aspettiamo di essere coinvolte, perché vogliamo lavorare insieme come abbiamo fatto durante l’emergenza. In queste settimane ho letto e ascoltato dichiarazioni surreali. L’Europa ci mette a disposizione circa 36 miliardi di euro da investire nella sanità pubblica. E cioè nuovi ospedali, nuove case della salute, medicina domiciliare, assunzioni, apparecchiature all’avanguardia. Prendiamoli e dimostriamo di saperli spendere presto e bene».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Falci Giuseppe_Alberto 
Titolo: Primo sì alla legge elettorale Ma renziani e Leu non votano
Tema: Legge elettorale

A metà pomeriggio Pd e M5S tirano un sospiro di sollievo. A fatica, infatti, la commissione Affari costituzionali di Montecitorio dà il via all’iter del Germanicum (o Brescellum), un sistema di voto di tipo proporzionale con una soglia di sbarramento del 5 per cento. Il passaggio però non è stato indolore, perché è avvenuto con i soli voti di Pd e 5 Stelle, con l’astensione di Leu e +Europa e la non partecipazione di Italia viva. E con le proteste dell’opposizione di centrodestra che ha abbandonato i lavori al momento della votazione in segno di protesta. «E’ una legge elettorale che non solo è vintage, ma il paradosso è che i Cinque Stelle ripropongono un modello da Prima Repubblica», sbotta l’azzurro Francesco Paolo Sisto. Va da sé che l’adozione del testo è solo un passaggio procedurale. Perché da ora in avanti si apre un periodo di presentazione degli emendamenti in commissione che non è stato ancora fissato. Ne consegue che le incognite da qui in avanti saranno tante. dalla soglia di sbarramento all’affaire preferenze, ora caldeggiate dai pentastellati. Fatto sta che ieri in commissione è stata un altra giornata di passione. Il centrodestra ha provato in tutti i modi a rinviare l’iter per quella che definisce «una forzatura». E andato in scena lo scontro tra il presidente della commissione Giuseppe Brescia (M5S) e la coalizione di opposizione. Non a caso gli animi si scaldano nel primo pomeriggio quando il forzista Sisto invoca l’interruzione dell’esame per richiedere al governo una relazione tecnica.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: La nota – Un embrione di riforma che acuisce i contrasti
Tema: Legge elettorale

Il tema è tra i più noiosi da toccare. Ma sta diventando anche uno dei più emblematici per descrivere i rapporti tra maggioranza e opposizione, e soprattutto tra alleati di governo: anche perché incrocia il referendum sul taglio dei parlamentari. Il fatto che ieri M5S e Pd abbiano votato insieme, e da soli, un’ipotesi di riforma elettorale, dovrebbe essere un dato positivo: se non altro perché il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, aveva dichiarato di recente che senza passi avanti su quel terreno, il referendum si sarebbe rivelato «pericoloso». Gli effetti sul sistema costituzionale, era questa la premessa, andavano corretti per evitare distorsioni e squilibri. L’idea era di arrivare all’approvazione in una delle due Camere prima della consultazione del 20 settembre. In realtà, il testo passato ieri in commissione non approderà nell’aula del Parlamento prima di ottobre. E il risultato sottolinea solo l’esigenza diun simulacro di intesa tra M5S e Pd, per poter dire che «il cammino delle riforme è ripreso» dopo il «sì» di Zingaretti al referendum. Leu e lv, alleati minori dell’esecutivo, non hanno avallato il testo. Ufficialmente, le motivazioni sono diverse, riconducibili tuttavia a una principale: la soglia di sbarramento del per cento per entrare in Parlamento è troppo alta per entrambi, a scorrere i sondaggi. Per questo, l’ipotesi più probabile è che di qui a qualche settimana verrà rimesso tutto in discussione. Le opposizioni parlano di forzatura, e sostengono che la riforma è frutto di un «accordo di minoranza». I capigruppo del centrodestra ironizzano su una legge elettorale definita «”salva Zingaretti”».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lauria Emanuele 
Titolo: Referendum, il No tenta la rimonta sfruttando il fattore affluenza – Il No tenta la rimonta nella sfida del referendum E Saviano scuote il Pd
Tema: Referendum

La rimonta c’è ed è palpabile, viaggia nelle parole degli analisti più che su numeri che non possono essere divulgati. Dove arriverà, questa quasi impossibile rincorsa del No al referendum sul taglio dei parlamentari, è difficile dirlo. Il Si resta favorito eppure ci sono alcuni fattori che rendono la partita non ancora chiusa: in primis l’affluenza alle urne. «Non è un appuntamento che appassiona gli elettori – dice Fabrizio Masia, direttore di Emg Acqua – anche se negli ultimi giorni c’è stato un aumento di interesse dovuto soprattutto alle iniziative del No. Posizione che si rafforza anche perché partiva da percentuali molto basse. Sono stati instillati dei dubbi nei cittadini che per gran parte erano schierati per il Sì, anche se il vento dell’antipolitica non è forte come in passato». Un trend che potrebbe non essere decisivo, secondo Roberto Weber, presidente di Ixé: «II recupero del No esiste ma io credo che riguardi soprattutto la generazione dei meno giovani. Non so quanto potrà essere determinante». Salvatore Vassallo, direttore dell’istituto Cattaneo, indica la variabile politica da osservare: «Siamo di fronte a una situazione paradossale: dopo 40 anni di opinioni concordi sulla necessità di ridurre il numero dei parlamentari, tutti i partiti hanno varato questa riforma. Ma ora molti dei leader sembrano non essere più particolarmente interessati, e anzi lasciano che siano altri fuori dalla politica a sostenere tesi contrarie. La possibilità di vittoria del No dipenderà dal peso che avrà sull’opinione pubblica quest’atteggiamento».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guastella Giuseppe 
Titolo: Agli arresti commercialisti vicini alla Lega – Film Commission, ai domiciliari 3 commercialisti vicini alla Lega
Tema: Lega

L’appuntamento in Procura era per le 9.30 di stamattina. Era, perché Alberto Di Rubba, commercialista revisore contabile del gruppo della Lega in Senato, ieri sera è stato arrestato con il collega Andrea Manzoni, che svolge lo stesso ruolo alla Camera, con Michele Scillieri, altro commercialista (nel suo studio milanese nel 2017 era domiciliata la «Lega per Salvini premier») e con Fabio Barbarossa, cognato di Scillieri. Sono tutti ai domiciliari per l’inchiesta sull’acquisto della sede di Lombardia Film Commission, vicenda per la quale da luglio è a San Vittore Luca Sostegni, prestanome di Scillieri nell’affare da 800 mila euro, gran parte dei quali finiti ai tre professionisti contigui al partito di Matteo Salvini. I quattro nuovi arrestati erano già stati indagati dai pm Eugenio Fusco e Stefano Civardi i quali, come ora si capisce, avevano chiesto l’arresto di tutti, Sostegni compreso, già i115 luglio al gip Giulio Fanales. Il giorno dopo, però, dovettero ordinare il fermo urgente di Sostegni quando alla Guardia di Finanza di Milano fu chiaro che l’uomo stava per fuggire in Brasile dopo aver ricattato e tentato di estorcere 30 mila euro ai tre commercialisti minacciandoli di rivelare ciò che sapeva. Sostegni è stato interrogato già due volte. Manzoni una. Prevedendo che la sua posizione si sarebbe complicata si è presentato spontaneamente in Procura venerdì scorso con l’avvocato Piermaria Corso per un interrogatorio in cui ha minimizzato ed escluso irregolarità.
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Testata:  Repubblica
Autore:  Bonini Carlo 
Titolo: Il commento – Un’ombra su Salvini – Un’ombra che pesa su Salvini
Tema: Lega

A chi sin qui avesse solo orecchiato la storia dei “tre commercialisti della Lega”, converrà familiarizzare rapidamente con i nomi di Michele Arturo Maria Scillieri, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Perché l’ordinanza del gip di Milano che li manda agli arresti domiciliari per peculato, turbata libertà nel procedimento di scelta e sottrazione del pagamento delle imposte non racconta solo una stangata ai danni della Regione Lombardia perché i tre professionisti non sono mariuoli di passo qualunque. Perché nello studio di Scillieri, nel 2017, era domiciliata “La Lega Salvini premier”. Perché Di Rubba e Manzoni dei gruppi parlamentari della Lega di Salvini sono stati revisori del conti. Perché – ecco il punto – a dieci giorni dal voto, il filo tirato dalle indagini del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza e dalla Procura di Milano sulla compravendita di un immobile di Cormano è un’apertura di gioco, chiamiamolo così, che porta dritto dritto al cuore della Lega, al suo leader Matteo Salvini. Già, Scillieri, Di Rubba e Manzoni non sono dei Savoini qualunque. E la faccenda di Cormano, In cuí due terzi degli 800 mila euro pagati dalla Regione per una compravendita a prezzi Icori mercato rimangono appiccicati alle mani dei tre professionisti, non presta il fianco alle salaci battute da bar con cul Salvini liquidò le trastule dell’hotel Metropol di Mosca dove si ragionava di partite di greggio le cui commissioni avrebbero dovuto beneficiare, “a chiacchiere”, le casse della Lega.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Lops Vito
Titolo: Bce non annuncia interventi, l’euro s’impenna fino a 1,19
Tema: Meeting Bce a Francoforte
Nelle giornate in cui si riunisce il consiglio direttivo di una banca centrale l’asset finanziario sotto i riflettori degli investitori è senza dubbio la valuta di riferimento. E così è stato ieri per l’euro nel giorno in cui dal meeting della Bce a Francoforte è emerso il previsto aggiornamento di politica monetaria. A fine giornata la divisa europea è balzata di quasi un punto percentuale nei confronti del dollaro chiudendo poco sotto quota 1,19, con scambi intraday che l’avevano portata addirittura a rasentare la soglia di 1,20, livello più alto degli ultimi due anni, già toccato a inizio mese. Chi si aspettava una forte presa di posizione di Christine Lagarde è probabilmente rimasto deluso perché il governatore della Bce ha toccato il tema del cambio, ma con toni giudicati complessivamente morbidi dagli investitori che non a caso hanno reagito acquistando euro (o vendendo dollari) e portando ancora più in alto il cross che nel complesso si è apprezzato nei confronti del dollaro del 10% dal mese di marzo (quando con un euro si potevano acquistare 1,07 biglietti verdi). Lagarde a più riprese, sollecitata dalle domande dei giornalisti, è tornata sul tema ribadendo il mantra che perseguire un livello di cambio euro/dollaro non rappresenta un obiettivo della Bce ma che nondimeno il consiglio monitora con attenzione la situazione. «Stiamo osservando pressioni negative sui prezzi – ha detto – e queste sono attribuibili in larga parte all’apprezzamento dell’euro». Pur se non fissata, la soglia di attenzione pare essere quella di area 1,20, considerato che la scorsa settimana, proprio quando il cross valutario si era portato su questo livello il capo economista e membro del board della Bce, Philip Lane era intervenuto ad hoc sottolineando che il livello dell’euro «conta» ai della politica monetaria. Quel «does matters» è stato paragonato, con le dovute proporzioni, al «whatevers it takes» pronunciato dall’ex governatore Draghi nel 2012 nel bel mezzo del fuoco incrociato degli speculatori contro la tenuta dell’Eurozona e quindi dell’euro.
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Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Bufacchi Isabella
Titolo: La Bce accende un faro sull’euro forte – Faro Bce sull’euro: «Monitoreremo i rischi inflattivi»
Tema: Bce
Andrà tutto bene. L’apprezzamento dell’euro esercita pressione negativa sui prezzi ma ne sono solo «monitorate attentamente» le implicazioni sull’inflazione a medio termine perché non è un target di politica monetaria. La ripresa economica è «incerta, disomogenea» dopo un crollo senza precedenti, «soffiano i venti negativi della pandemia» e i rischi restano al ribasso ma intanto le proiezioni di settembre sul Pil 2020 sono migliorate da -8,7% a -8,0%. L’inflazione è lontana dall’obiettivo ma non si vede «rischio di deflazione» nonostante quel -0,2% in agosto dovuto a fattori temporanei mentre il tasso inflazionistico nel 2021, rivisto all’insù nelle proiezioni di settembre, si riporta a quota per cento. Gli strumenti in campo di politica monetaria si stanno dimostrando «efficienti ed efficaci», il Pepp sta avendo successo, ha ridotto la frammentazione, riportato la stabilità e «ripristinato gli spread a livelli preCovid», i prestiti TLTRO III hanno iniettato liquidità e assicurato il flusso del credito a bassissimo costo a imprese e famiglie. E poi c’è «l’impatto positivo» delle politiche fiscali nell’area dell’euro, pari al 4,5% del Pil, «benvenute, necessarie e ambiziose» e il Recovery Fund Next Generation EU che ha dato impulso alla fiducia e che «con i sussidi ai Paesi con meno margini fiscali e più colpiti dal coronavirus ridurrà le divergenze nella ripresa». Non si avverte persino fretta di chiudere la revisione strategica in Bce, dopo il ritardo accumulato per il coronavirus, la review si prenderà tutto il tempo necessario per decidere su una vastissima gamma di argomenti, nonostante la Federal Reserve abbia già giocato le sue carte.
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Testata:  Sole 24 Ore
Autore:  Masciandaro Donato
Titolo: Falchi & Colombe – Lagarde gioca in difesa – Lagarde gioca in difesa e aspetta il momento per il contropiede
Tema: Bce-Fed
Ieri la Bce appariva di fronte ad un bivio: giocare in attacco, rispondendo alla nuova strategia della Fed ed al rafforzamento del dollaro, oppure in difesa, attendendo l’evoluzione macroeconomica? La scelta è caduta sulla seconda strada, la più prudente. Se prudenza è saggezza, la Bce conferma di essere molto saggia. S oprattutto se il bivio è più apparente che reale. Alla vigilia della consueta conferenza stampa che segue il consiglio della Banca centrale europea si era creata una aspettativa nei mercati: come reagirà Francoforte a quella che era stata battezzata la doppia sfida americana? La prima sfida veniva ritenuta essere la cosiddetta svolta della politica monetaria annunziata dalla Fed. In realtà, l’attenzione e l’interpretazione generalmente riservata alla riforma del documento strategico della banca centrale americana appare ad oggi il classico caso di montagna che partorisce il topolino. Si può parlare di svolta della politica monetaria quando la banca centrale modifica i suoi comportamenti in un modo rilevante. Prima di agosto tutti sapevamo che la Fed aveva dal 2012 un obiettivo inflazionistico pari al due per cento di inflazione, ed un obiettivo di massima occupazione, mai definito numericamente. Inoltre potevamo intuire, guardando le previsioni individuali dei singoli membri del consiglio della Fed, che la maggioranza di loro ritiene che l’economia americana è oggi caratterizzata da un tasso di crescita sia reale che nominale anemico, e che la dinamica del mercato del lavoro è sganciata dalla dinamica dei prezzi.
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Testata:  Corriere della Sera
Autore:  Salvia Lorenzo
Titolo: Recovery fund, nel piano spunta un nuovo bonus per la mobilità
Tema: Recovery fund
Una nuova edizione di incentivi per la mobilità sostenibile, tagliata in particolare sull’acquisto di biciclette, sia tradizionali sia a pedalata assistita. Potrebbe entrare anche questo nel pacchetto di progetti che il governo italiano manderà, a partire da gennaio, a Bruxelles per utilizzare iI Recovery fund, il piano europeo di aiuti per sostenere gli Stati membri nell’era Covid. Con il decreto Rilancio il governo ha già messo in campo un bonus bici, quello che arriva fino a 500 euro. Chi ha comprato una bicicletta non ha incassato ancora nulla, ma l’incentivo ha spinto così tanto i consumi (+60%) che forse sarà necessario rifinanziare il fondo da 210 milioni di euro. La nuova edizione del bonus, però, avrebbe l’obiettivo di rendere stabile la transizione verso una mobilità a basso impatto ambientale. Tra gli obiettivi indicati dalle linee guida del governo sul Recovery fund c’è del resto la decarbonizzazione dei trasporti, l’adozione di piani urbani per il miglioramento della qualità dell’area. E, come ha ricordato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, il «37% delle risorse assegnate devono andare al green». Ma c’è un’incognita. La Commissione europea non vede di buon occhio la dispersione dei fondi in micro misure e i bonus più o meno a pioggia. Per questo un primo verdetto sul nuovo incentivo bici potrebbe arrivare dalle linee guida sulla redazione dei progetti, che a breve dovrebbero arrivare da Bruxelles. A tener banco, però, sono ancora le linee guida del governo italiano, con tutte le parti interessate che rivendicano un maggiore coinvolgimento. II Parlamento avrà il suo momento, a inizio ottobre, con un passaggio che potrebbe legarsi alle mozione sulla Nadef, la nota di aggiornamento sul Documento di economia e finanza, il primo passo per la manovra di fine anno.
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Testata:  Foglio 
Autore:  Patuanelli Stefano 
Titolo: Intervento – Patuanelli o Calenda? – “Vi spiego il mio Recovery plan”. Parla il ministro Patuanelli
Tema: Recovery Plan

“Oggi abbiamo l’occasione nel nostro paese di affrontare un tema di fondamentale importanza”, dice al Foglio il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, “quello di andare a ricucire delle fratture nelle attività produttive che hanno prodotto un paese che da vent’anni cresce poco e soprattutto meno degli altri paesi europei; un paese che ha una parcellizzazione delle proprie industrie, delle proprie attività produttive, molto marcata; un paese che ha imprese sottocapitalizzate che hanno difficoltà di accesso al credito. Abbiamo davanti a noi una grande occasione: non solo spendere i soldi che arrivano dall’Europa, ma investire nel modo giusto quelle risorse accompagnando i fondi europei alle risorse tradizionali delle leggi di Bilancio, in un precorso che ci porterà per la prima volta a essere non contributori netti nei confronti dell’Europa ma uno dei paesi che riceve più denaro di quanto dà all’Europa. Una battaglia che anche il Movimento 5 stelle ha sempre portato nei tavoli europei. E allora cosa stiamo facendo? Stiamo innanzitutto indirizzando la nostra azione rispetto ai grandi temi tracciati dalla Commissione europea. Da un lato abbiamo il tema dell’innovazione, della digitalizzazione, che significa competitività per l’impresa e per l’industria. Dall’altro abbiamo la grande transizione green. Non mi piace tanto usare questa parola perché forse ne abbiamo abusato in passato senza però fare il salto necessario verso le produzioni sostenibili. Mi piace parlare di sostenibilità ambientale”.
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Testata:  Stampa
Autore:  Russo Paolo
Titolo: Ecco il nuovo piano salute 12 miliardi agli ospedali – Assistenza 24 ore e digitalizzazione Sanità, ecco il piano quinquennale
Tema: Recovery fund, piano per la sanità

«Case della comunità» con medici di famiglia, specialisti e infermieri per offrire assistenza 7 giorni su 7 a orario continuato. Spinta decisa alla digitalizzazione della sanità. Oltre 34 miliardi per ammodernare i nostri ospedali, vecchi fuori ma anche dentro, con buona parte del parco tecnologico obsoleto. E poi miglioramento dell’assistenza nelle Rsa, nervo scoperto durante l’emergenza Covid. Ma anche più investimenti nella ricerca e per il potenziamento della medicina scolastica. È un piano quinquennale da 68 miliardi per il rinascimento della sanità quello contenuto nelle 22 schede messe a punto dai tecnici del ministero della Salute in vista del Recovery Fund, pubblicato dalla testata specializzata «Quotidiano sanità». Un progetto già spedito a Palazzo Chigi, dove verrà esaminato insieme alle proposte degli altri dicasteri, ma che il titolare della Salute, Roberto Speranza, ha ieri confermato in audizione alla Camera, pur limitandosi a elencare gli assi portanti del piano. Intanto il ministro martedì prossimo chiederà al Comitato tecnico-scientifico un parere sulla proposta di accorciare da 14 a 10 giorni la quarantena per chi ha avuto contatti ravvicinati con persone positive o è di rientro da Paesi extra Ue. L’analogo comitato francese ha proposto un taglio più drastico a soli 7 giorni e il governo d’Oltralpe è intenzionato a dargli ascolto. Da noi gli scienziati sono divisi, ma la pressione degli ambienti produttivi è forte.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dominelli Celestina 
Titolo: Rapporto Sace. L’export pronto a ripartire dopo il Covid – L’export punta al rimbalzo 2021 con Russia, Medio Oriente e Africa
Tema: Export, rapporto Sace

La battuta d’arresto inevitabile del consueto “motore” dell’economia italiana ci sarà alla fine dell’anno e sarà dell’11,3 per cento, la peggiore contrazione dal 2009 (quando l’asticella segnò un -20,9%). Per effetto, certo, della crisi pandemica che ha però amplificato l’impatto della già pesante eredità del 2019, tra spinte protezionistiche, instabilità diffusa e commercio internazionale in affanno. Ma sarà uno stop solo temporaneo poiché l’export italiano è pronto a risalire rapidamente la china già nel 2021, quando si registrerà una netta ripresa (+9,3%), irrobustita nei due anni successivi da una crescita media del 5,1% che porterà così le esportazioni italiane di beni a raggiungere quota 510 miliardi nel 2023. Sempre che l’emergenza coronavirus non riservi un nuovo lockdown globale o giustifichi un superamento più graduale delle restrizioni adottate dai governi. Perché, se così fosse, la frenata dell’export sarebbe più grave a fine anno (-12% e 21,2% a a a seconda degli scenari più o meno foschi) e, soprattutto, più lenta sarebbe la risalita con un pieno recupero dei valori pre-Covid solo nei 2023. A tracciare rotte presenti e future delle esportazioni è, come ogni anno, il Rapporto Export di Sace, la cui ultima edizione “Open (Again)” è stata illustrata ieri dal suo chief economist, Alessandro Terzulli, alla presenza dei due ministri di riferimento per le attività della società, Roberto Gualtieri (Economia) e Luigi Di Maio (Affari Esteri) e dei vertici dell’azienda, il presidente Rodolfo Errore e l’ad Pierfrancesco Latini. Insomma, dopo le difficoltà del 2020 per il Covid-19 che, ha ricordato Terzulli, è stato paragonato «al cigno nero di Taleb», l’export dovrebbe ripartire, ma lo farà, ha chiarito il capo economista, «con velocità differenti a seconda delle aree geografiche e dei settori».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Paolucci Gianluca 
Titolo: Euronext-Cdp, blitz con Londra Si infiamma la sfida per la Borsa
Tema: Euronext-Cdp

Un incontro «virtuale», lo scorso 26 agosto, è servito per presentare l’offerta italo-francese per Piazza Affari ai proprietari attuali, gli inglesi del London Stock Exchange. La delegazione, secondo quanto ricostruito, era guidata dall’ad di Euronext Stephane Boujnah e per parte italiana hanno partecipato il responsabile degli investimenti di Cdp e ad di Cdp Equity, Pierpaolo Di Stefano, l’ad di Sia (controllata da Cdp), Nicola Cordone, altri due manager della Cassa e anche un rappresentante di Intesa Sanpaolo, quale possibile co-finanziatore della cordata. E mercoledì lo stesso Boujnah ha incontrato il ministro Roberto Gualtieri. Le discussioni, riferisce Radiocor, si sono concentrate sui termini di un’offerta congiunta tra Cassa depositi e prestiti e l’operatore di borsa francese per la Borsa di Milano. Con il governo – e il ministero dell’Economia in particolare – che si trova a ricoprire un doppio ruolo: arbitro – che ha appena deciso il rafforzamento dei poteri d’interdizione sugli assert «strategici» includendo anche la Borsa – e giocatore – come primo azionista di Cdp. D’altra parte proprio il peso della politica rischia di condizionare pesantemente gli esiti della gara. Secondo quanto ricostruito da fonti legali, l’informazione a Consob è dovuta al momento dell’offerta formale ma non per la manifestazione d’interesse, che per Mts c’è già stata in agosto. Domani Euronext e Cdp presenteranno l’offerta per il 100% di Borsa Italiana anche se, riferiscono le agenzie, il termine sarebbe slittato dall’11 al 14 settembre, lunedì prossimo. Offerta in arrivo anche da parte di Six, la Borsa di Zurigo, con una proposta che troverebbe i suoi maggiori punti di forza in un livello importante di investimenti previsti e l’ampia autonomia che sarebbe lasciata a Borsa Italiana.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Greco Andrea 
Titolo: Intervista a Carla Ruocco – Ruocco “Va bene la Cdp in cordata per la Borsa ma bisogna monitorare il mercato dei bond”
Tema: Cdp-Borsa

Lunedì arrivano le offerte per Borsa spa, il governo la dice «strategica» e Cdp è in una delle cordate. Carla Ruocco, deputata M5s e presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, va bene così? «Che Borsa spa e le sue partecipate, anzitutto Mts, che gestisce il mercato dei titoli di Stato, siano strategiche è fuori dubbio. Ma io avrei preferito l’impostazione iniziale con la vendita di Mts separata, per realizzare il riassetto di governance che sostengo da tempo: un’agenzia pubblica per monitorare il debito quotato, con sotto una Mts privata a dare liquidità ai Btp sul mercato secondario. Per questo sarebbe strategico, a prescindere da chi vince l’asta, che Mts resti sotto la regia pubblica». Quali opportunità auspica invece per le società quotate? «La Borsa, assai meglio di quanto fatto finora, deve diventare un reale ‘canale di trasmissione dei capitali di rischio. Mi aspetto impegni rilevanti che il nuovo proprietario dovrà assumersi verso la nazione: investimenti in tecnologia, maggiore attrattività per le Pmi, impegni di risorse umane e sede italiana, sviluppo dei dati insieme alle locali Università. IIgolden power e i nuovi poteri della Consob ci aiuteranno a monitorare gli sviluppi». Come convincere il Tesoro, determinato a vendere Mps presto e a qualunque costo? «II rischio di cristallizzare una perdita oltre i 7 miliardi di euro dovrebbe essere già un argomento. Sempreche, visto il significativo contenzioso che grava sulla banca, che ha richieste darmi per 10 miliardi di euro, alla fine non si debba venderla con ulteriore dote in denaro. Alla exit strategy del Tesoro serve una prospettiva diversa».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fubini Federico 
Titolo: Intervista a Enzo Amendola – «Il rischio Cina sul 5G» – Amendola: «Lo Stato diventerà più digitale ma sul 5G attenzione agli affari con la Cina»
Tema: 5G e digitalizzazione

Enzo Amendola, ministro degli Affari europei, ha il compito di preparare il piano italiano per investire i 209 miliardi di Next Generation EU. Mercoledì il governo ha proposte le prime, per ora vaghe, «linee essenziali». C’è un punto che senza il cosiddetto Recovery Fund sarebbe sicuramente impossibile? «La digitalizzazione della pubblica amministrazione. Negli anni 60 il boom ebbe come simbolo l’autostrada del Sole: era l’Italia che si univa, anche materialmente. Oggi l’autostrada del Sole dev’essere digitale, di cui va rifatto il disegno: va di nuovo unito il Paese, con più servizi per cittadini e imprese. Va ribaltato il rapporto fra Stato e cittadini. Gli imprenditori, le persone comuni dovranno più rincorrere decine di uffici diversi. Tutti i servizi devono diventare raggiungibili al computer o tramite una sola app. Digitale e ambiente sono i due pilastri dell’intero progetto». Nell’amministrazione esistono le competenze necessarie? «Uno dei punti del piano è l’immissione di persone più giovani e con le competenze giuste. Non potranno essere assunzioni permanenti, perché il Recovery Plan non è per sempre. Ma diamo un segnale preciso». Nel Recovery Plan si parla di più concorrenza. Non rischiate di andare in direzione opposta con l’interventismo di Stato, la golden power con più diritti di veto sugli Investimenti, la concentrazione su Tim e Cdp della rete unica e domani magari anche del cloud e del 5G? «Per spingerci sulla frontiera della digitalizzazione, serviva un accordo sulla rete unica che facesse saltare i ritardi. Presentarsi all’appuntamento del Recovery Fund senza banda ultra-larga non era pensabile. Ma questa non va vista come una nazionalizzazione, dev’esserci una spinta perché tutti gli attori privati possano concorrere grazie a questa infrastruttura. Il settore pubblico non può fare niente senza le energie migliori del mercato».
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pelosi Gerardo 
Titolo: «Erdogan non è più un partner per l’Europa»
Tema: Med7

Nessun inutile braccio di ferro con Erdogan, ma i sette Paesi di Euromed guidati dalla Francia sollecitano alle autorità turche «un chiarimento» definitivo. Nato nel 2016 dopo la crisi greca per dare risposte alle ricette rigoriste del Nord Europa, il vertice Euromed si è trovato, anno dopo anno, a fare i conti con la grave instabilità del Mediterraneo tra flussi di migranti e crisi libica. Fino ad oggi quando i sette sono chiamati a frenare le ambizioni geopolitiche ed economiche del presidente turco Erdogan nel Mediterraneo orientale. Il tempo stringe e non si escludono sanzioni contro Ankara. Ne hanno discusso ieri i capi di Stato e di Governo dei sette Paesi Ue del Sud Europa nel vertice ospitato dal presidente francese Emmanuel Macron ad Ajaccio, in Corsica al quale ha preso parte anche il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. A Porticcio, stazione balneare nel Golfo di Ajaccio, i leader dei sette Paesi membri del Med7, tra cui anche lo spagnolo Pedro Sanchez, il greco Kyriakos Mitsotakis, il portoghese Antonio Costa, il cipriota Nikos Anastasiades e il maltese Robert Abela, hanno fatto il punto con Macron per scongiurare il rischio di escalation nel Mediterraneo Orientale. Obiettivo,«far progredire il consenso sulla relazione della Ue con la Turchia, in vista del summit europeo del 24-25 settembre» dedicato a questo argomento. Ma è un fatto che lo scontro tra Parigi e Ankara, nato sulle ceneri della crisi libica, si è ormai trasformato in una questione europea. Già prima dell’apertura del vertice il presidente francese aveva auspicato per l’Europa «una voce più unita e più chiara dinanzi alla Turchia, che non è più un partner».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ginori Anais 
Titolo: “La Turchia non è più un partner” Macron scuote il Mediterraneo
Tema: Med7

«Basta provocazioni, cominciate a dialogare». L’invito viene dal premier greco Kyriákos Mitsotkis ed è rivolto alla Turchia di Erdogan, convitato di pietra del vertice Med7. Riuniti per qualche ora in un albergo di Porticcio, stazione balneare nel Golfo di Ajaccio, i leader dei sette paesi europei affacciati sul Mediterraneo tentano di fermare l’escalation delle ultime settimane. Anche se il padrone di casa, Emmanuel Macron, ribadisce che la Turchia «non è più un partner» perché ha «comportamenti inaccettabili» il summit serve a mediare tra le posizioni e lanciare segnali di pace. «Le tensioni nella regione sono nocive per tutti», dice Giuseppe Conte che, dopo aver ribadito la solidarietà con Grecia e Cipro, chiama ad «affrontare alla radice la vera natura dei contenziosi per trovare soluzioni pragmatiche condivise». Anche il premier spagnolo Pedro Sanchez lancia un appello a Erdogan: «Scommettiamo su un dialogo autentico». Dopo la dimostrazioni di muscoli, a cui la Francia ha partecipato schierando navi da guerra e caccia da combattimento, si cerca in extremis una via d’uscita a meno di due settimane dal vertice europeo che dovrà affrontare le recenti tensioni nel Mediterraneo orientale. I leader europei non avranno «altra scelta» se non quella di imporre «sanzioni significative se la Turchia si rifiuterà di sentire ragione», ha insistito il premier greco.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ippolito Luigi 
Titolo: Brexit, l’ora dei tribunali L’Ue vuole fare causa a Londra
Tema: Brexit

Ultimatum di Bruxelles alla Gran Bretagna sull’Irlanda del Nord: o Londra ritira entro fine settembre la legge che di fatto straccia gli accordi dell’anno scorso sulla Brexit, oppure l’Unione europea lancerà un’azione legale di fronte alla Corte europea di giustizia, che potrebbe concludersi con l’imposizione di sanzioni nei confronti dei britannici. Il nodo del contendere è la legge presentata l’altro ieri in Parlamento a Westminster dal governo di Boris Johnson: in essa viene rimesso in questione l’accordo sulla Brexit raggiunto alla fine dell’anno scorso, che prevedeva che l’Irlanda del Nord rimanesse di fatto nel mercato unico per evitare il ritorno a un confine rigido con la Repubblica di Dublino a Sud, dal momento che alla fine di quest’anno Londra sarà fuori da mercato unico e untone doganale. Perfino il ministro britannico per l’Irlanda del Nord ha candidamente ammesso dl fronte ai deputati che la legge rappresenta «una violazione del diritto internazionale», visto che quell’accordo fra Londra e Bruxelles ha valore formale di Trattato. Ma Johnson non intende più accettare la prospettiva di vedere di fatto l’Irlanda del Nord separata dal resto della Gran Bretagna: e dunque ha deciso di rinnegare il Trattato. Londra «ha seriamente danneggiato la fiducia fra l’Unione europea e il Regno Unito», ha seccamente dichiarato la Commissione di Bruxelles. Ma Downing Street ha già fatto sapere che non ha nessuna intenzione di fare marcia indietro.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  D’Argenio Alberto 
Titolo: La Ue resta in silenzio E fra i Paesi c’è già chi nega l’accoglienza
Tema: Ue – Immigrazione

Tre voli finanziati dall’Unione europea hanno portato a Salonicco i 406 minori non accompagnati in fuga dal rogo di Moria. Francia, Germania e Olanda hanno annunciato che se ne faranno carico. Ma che fare delle altre 12mila persone lasciate in strada dalla bomba ad orologeria di Lesbo? Per ora l’Europa resta in silenzio, la situazione è ancora troppo complessa e in divenire. Il governo tedesco ha auspicato che vengano evacuati dall’isola e ridistribuiti tra partner europei. Ma ci vorrà qualche giorno per capire se sarà possibile. A Bruxelles studiano il dossier, in attesa di un segnale dalle capitali. Che a Lesbo la situazione fosse disperata era chiaro da tempo, tanto che negli ultimi mesi le autorità Ue sono riuscite a dimezzare il numero degli ospiti di Moria. Ora la sfida sarebbe ancora più complessa: ricollocare 12mila persone in una volta sola. Una vera impresa considerando che negli ultimi anni i governi Ue hanno accettato appena 36mila migranti sbarcati in Italia e Grecia. Ma prima di provarci, deve essere il governo di Atene a chiedere lo smistamento dei profughi. Il vicepresidente della Commissione Ue, Margaritis Schinas, è volato a Lesbo per coordinare i primi soccorsi. In attesa chele autorità locali gli consegnino la lista degli equipaggiamenti necessari sul terreno, ha avviato i colloqui per una soluzione di lungo termine. Per ora Atene non ha colto l’offerta di ricollocamento per il timore che la decisione possa incoraggiare i migranti delle altre isole ad appiccare identici roghi nella speranza di venire trasferiti.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Bresolin Marco 
Titolo: Intervista a Ylva Johansson – “Regole sull’asilo per evitare nuove Lesbo” – Johansson: “Nuovo diritto d’asilo e quote Così salveremo i migranti da altre Lesbo”
Tema: Immigrazione

La svedese Ylva Johansson, commissaria Ue agli Affari Interni, annuncia che il 30 settembre presenterà un nuovo «Patto per l’Immigrazione» di cui farà parte anche la riforma del diritto d’asilo. L’incendio che ha devastato il campo sull’isola greca – sostiene la svedese – dovrebbe far capire che così non si può più andare avanti. Come può l’Europa accettare che esistano campi come quello di Moria? «Già a dicembre, al mio insediamento, avevo definito inaccettabile e insostenibile la situazione nei campi sulle isole greche. C’erano più di 40 mila persone. Per questo abbiamo lavorato con le autorità greche per migliorare le condizioni e decongestionare le isole. Negli ultimi sei mesi il numero di migranti a Moria si è dimezzato, da 25 mila a 12 mila. Abbiamo iniziato a redistribuire i minori non accompagnati e continuiamo a farlo ogni settimana. Dodici Paesi li hanno accolti. I 400 che erano nel campo bruciato sono stati portati sulla terraferma e accolgo con piacere i recenti annunci di alcuni governi sulla redistribuzione». Quel campo però è anche frutto delle decisioni Ue: la Commissione si sente responsabile? «I campi per i migranti sul territorio greco sono innanzitutto responsabilità delle autorità greche. La Commissione ha dato un grande sostegno, molti soldi. Abbiamo lavorato con le agenzie Onu. Certamente c’era una situazione con condizioni inaccettabili, ma questo è il risultato del fallimento del tentativo di trovare un accordo sulla politica di asilo e immigrazione comune. Per questo il 30 settembre lanceremo una nuova proposta». La riforma di Dublino è fallita per le resistenze sulla redistribuzione obbligatoria: insisterete su questo? «Non voglio anticipare i contenuti del piano. Ma la questione è molto più ampia della redistribuzione. La situazione nelle isole greche non è dovuta soltanto a questo, ci sono anche altre questioni. Come la velocità delle procedure d’asilo oppure l’efficacia dei rimpatri».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Valsania Marco 
Titolo: Trump gioca la carta del super missile atomico – Trump: «Abbiamo un’arma nucleare mai vista prima»
Tema: Trump

Un ordigno atomico segreto e senza pari. Donald Trunp lascia di stucco il mondo politico e lo stesso Pentagono con la sua iltima rivelazione-rivendicazione da America First: «Ho costruito un sistema di armi nucleari che nessuno ha mai avuto prima in questo Paese». Tra le righe di 18 interviste concesse a Bob Woodward – il giornalista del Washington Post che svelò lo scandalo Watergate costando la poltrona a un altro presidente controverso, Richard Nixon – Trump svela che Washington è in possesso di «roba di cui nessuno ha mai sentito parlare». Neppure «Putin o Xi» ne hanno mai sentito parlare, dice Trump riferendosi ai leader di Russia e Cina: «Quel che abbiamo è incredibile». Le lunghe confessioni del presidente sono il cuore dell’ultimo libro di Woodward intitolato Rage, Rabbia. Il volume, che sarà pubblicato nella sua interezza il 15 settembre, è ricco di prese di posizione potenzialmente più che imbarazzanti: l’ammissione di aver sempre voluto minimizzare la gravità della pandemia, ad oggi costatala vita a quasi 200mila americani, per evitare il «panico»; o il secco «no» in risposta alla domanda se non sia necessario oggi capire l’angoscia e il dolore degli americani di colore che protestano contro il razzismo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Olimpio Guido 
Titolo: La super arma segreta di Trump – Trump fa capire di avere l’arma segreta
Tema: Trump

Sono la sua passione, ma non solo. Mezzi eccezionali che possono cambiare gli equilibri. Donald Trump, nei colloqui con Bob Woodward per il libro «Rage» (rabbia, ndr), ha indicato l’esistenza di un nuovo sistema nucleare di cui nessuno ha mai sentito parlare. «Ho costruito un sistema nucleare… un’arma che nessuno ha mai avuto prima in questo Paese. Abbiamo qualcosa che non si è mai visto e sentito. Abbiamo qualcosa di cui Putin e Xi non hanno mai saputo. Non c’è nessuno… quello che abbiamo è incredibile», ha rivelato Trump al giornalista. E il reporter, attraverso le sue fonti, ha avuto un paio di conferme. Il «segreto» ha subito messo in moto la catena delle interpretazioni, gli specialisti hanno formulato delle ipotesi. Interessanti quelle apparse sul blog «The War Zone», dove hanno provato a rispondere agli interrogativi. Al primo posto – scrivono Joseph’Irevithick e Tyler Rogoway – c’è la testata W93 che dovrebbe dotare il missile intercontinentale Trident D5, ospitato sui sommergibili, una delle componenti fondamentali dell’arsenale. La pensa così anche un altro esperto che tuttavia ritiene sia stato sviluppato nel periodo 2018-2019. Poi ci sono progetti per il bombardiere con caratteristiche Stealth B 21 Raider, l’ordigno nucleare B61-12, un nuovo vettore a lungo raggio installato nei silos e un’arma – sempre atomica – ipersonica. I «candidati» non mancano, così come abbondano i fondi per accrescere il potenziale in teatri sempre più complessi, da Occidente a Oriente.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Rampini Federico 
Titolo: Intervista a Roberto Lucchini – “Le Torri Gemelle hanno lasciato cinquantamila malati”
Tema: Torri gemelle

«Quasi vent’anni dopo, l’11 settembre continua a fare vittime. E lo studio di quelle patologie potrebbe Insegnarci qualcosa anche sul coronavirus». Parla Roberto Lucchini, il medico del lavoro che un decennio fa venne chiamato dall’Italia per dirigere all’ospedale Mount Sinai di New York il programma di cura per i reduci del World Trade Center. Quanti pazienti continuate a seguire, e dl cosa soffrono? «Il crollo delle Toni gemelle sollevò per lunghissimo tempo delle polveri tossiche con tanti elementi, fu un mix più complesso di Seveso (diossina), di Bhopal (cloruro di metile) e di Cernobyl o Fukushima (radiazioni). Mezzo milione di abitanti del quartiere, più settanta-ottantamlla tra soccorritori e operai escili furono costretti a ingerire quelle polveri. nell’intervento d’emergenza e poi nel lavori successivi. I danni continuano a rivelarsi a scoppio ritardato: patologie polmonari, tumori, leucemia, più lo stress post traumatico che può contribuire a suicidi e demenza senile. All’ospedale Mount Sinai seguiamo e curiamo cinquantamila pazienti, e il numero continua a crescere». L’enorme entità del danno alla salute fu capita subito? «No, anche perché c’era una corrente negazionista, la voglia di minimizzare, magari per interessi economici. Oltre ai vigili del fuoco, al personale sanitario e ai poliziotti, c’erano imprese private coinvolte, con operai edili e muratori, quindi qualcuno preferiva sminuire i pericoli. D sindaco uscente Rudolph Giuliani era un negazionista, mentre il successore Michael Bloomberg ebbe l’approccio giusto. Solo con Barack Obama arrivarono fondi federali adeguati per assistere i malati Eppure la gravità del pericolo si poteva percepire fin dall’inizio: ogni tanto riguardo un video girato da un fotoreporter l’11settembre 2001; lo si sente tossire come se stesse morendo».
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PRIME PAGINE

IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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IL FATTO QUOTIDIANO
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