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SINTESI IN PRIMO PIANO – 11 giugno 2021

In evidenza sui principali quotidiani:
– Astra Zeneca solo sopra i 60 anni
– Il Pd davanti al nodo delle alleanze
– Cybersicurezza, nasce l’Agenzia contro gli hacker
– Fisco, il ritorno del redditometro
– Rimonta dell’industria, produzione in crescita per il quinto mese: +1,8%
– Il G7 sfida la Cina: indagine sul virus
– Russia, nuova stretta su Navalnyj

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  De Bac Margherita – Sarzanini Fiorenza 
Titolo: AstraZeneca solo sopra i 60 – AstraZeneca, nuovo cambio Stop sotto i sessant’anni
Tema: vaccini

Somministrazione soltanto a chi ha più di 60 anni. E’ questa la raccomandazione che dovrebbe arrivare oggi dal ministero della Salute sull’utilizzo del vaccino AstraZeneca. Una chiara marcia indietro rispetto alla linea seguita finora con gli «open day» organizzati in varie regioni proprio per vaccinare i più giovani. Un cambio di rotta che provoca la protesta dei governatori e la richiesta «urgente» di una indicazione chiara, dopo i dubbi espressi da numerosi esperti sull’uso per i ragazzi e le donne sotto i 40 anni. «Tutti i vaccini sono sicuri», dichiara in Parlamento il ministro della Salute Roberto Speranza spiegando di essere in attesa del parere del Comitato tecnico scientifico. Ma il verbale tarda ad arrivare rendendo evidente il nodo da sciogliere: chi dovrà prendersi la responsabilità di cambiare ancora una volta la linea su AstraZeneca. Anche perché si dovrà decidere se autorizzare la seconda dose con un vaccino diverso da quelli a «vettore adenovirale» come appunto è AstraZeneca, ma pure Johnson&Johnson.  L’ipotesi attorno alla quale si lavora è stabilire in modo perentorio il tetto dei 60 anni. Non è escluso di scendere ai 50. Chi è più giovane dovrebbe essere indirizzato verso una profilassi diversa, con Moderna o Pfizer-BioNTech, basati su una tecnologia innovativa che finora non ha procurato gli effetti collaterali gravi osservati in tutti i Paesi europei sia pur con un’incidenza inferiore allo zero.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Bocci Michele 
Titolo: Un milione cambia il vaccino – AstraZeneca, si cambia ora richiami con Pfizer a un milione di under 60
Tema: vaccini
Anche se i casi di reazioni avverse alle seconde dosi di AstraZeneca sono molti meno rispetto a quelli, comunque rarissimi, individuati dopo le prime, i tecnici del Cts si starebbero muovendo per aprire alla possibilità di cambiare il vaccino. Ci sono nuovi studi, sottolineati l’altro ieri anche dalla Commissione tecnico scientifica dell’Aifa, dai quali si ricava l’efficacia di una dose “eterologa”, cioè di Pfizer o Moderna anche se successiva a quella di AstraZeneca. E sarebbe proprio questa l’indicazione, auspicata tra gli altri ieri dall’ex direttore di Ema Guido Rasi, che è pronto a dare il Cts. Avrebbe un effetto importante sulla campagna vaccinale, come ha fatto notare durante una riunione con i tecnici dell’altro ieri anche il commissario straordinario, generale Francesco Figliuolo. Cioè potrebbe portare a un ritardo sulla tabella di marcia della campagna, che ieri ha superato la soglia dei 40 milioni di italiani che hanno ricevuto la prima dose. Nel nostro Paese ci sono 2 milioni e 80 mila persone sotto i 60 anni che hanno avuto una dose del vaccino AstraZeneca. Di questi 1 milione e 20 mila aspettano di fare il richiamo. Per loro andrebbero trovate dosi dell’altro vaccino, quello a Rna messaggero. L’idea sarebbe quella di non spostare la data dell’appuntamento per la seconda iniezione ma comunque ci sarebbe un impatto legato alla ridistribuzione delle dosi. Anche se un milione non sono tantissime, molte Regioni viaggiano con i magazzini sempre vuoti e quindi dovranno fare un po’ di scorta per assicurare le seconde dosi con Pfizer o Moderna. Inoltre verranno a mancare le vaccinazioni ai giovani, che quasi tutte le Regioni, magari senza adottare la modalità dell’open day, facevano in parte con AstraZeneca. Nell’attesa del Cts, ancor prima della morte, ieri pomeriggio, della ragazza ligure, alcune Regioni, come la Campania, avevano cancellato gli open day.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Guerzoni Monica 
Titolo: Il retroscena – Sei mesi fa il piano dell’ex premier bloccato Ma Draghi ha preparato il terreno con i partiti
Tema:  cybersecurity
Con un Consiglio dei ministri pressoché indolore, Palazzo Chigi ha dato il via libera al decreto legge che riforma la governance della cybersicurezza. Appena sei mesi fa ci aveva provato Giuseppe Conte, ma era stato bombardato dalla sua stessa maggioranza. II Pd era contrario, Luigi di Maio nutriva forti riserve, Carlo Calenda accusava il premier di «giocare allo 007» in piena emergenza Covid e Matteo Renzi invocava lo stralcio della norma spuntata a sorpresa nella manovra economica. Una bufera dentro il perimetro della maggioranza, che costrinse il giurista a rinunciare ai suoi piani. Nulla del genere è successo sul testo di riforma che mette l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale sotto il controllo di Mario Draghi e dell’autorità delegata, Franco Gabrielli. Intanto perché l’Acn sarà pubblica e non privata, come invece sarebbe stata la fondazione di Conte: una struttura che secondo i critici avrebbe invaso i campi della cyberintelligence, sottraendo poteri e funzioni di competenza dei servizi segreti, il Dis e le agenzie Aise e Aisi. Il controllo della fondazione di diritto privato immaginata dall’ex premier sarebbe andato a Gennaro Vecchione, il prefetto che guidava il Dis finché Draghi non ha deciso di sostituirlo con Elisabetta BeIloni. Lo schema ora è completamente rovesciato, come d’altronde è anche lo scenario politico.  La nuova agenzia è una personalità giuridica di diritto pubblico che non invade il campo della cyberintelligence e non sottrae competenze al ministero dell’Interno o a quello della Difesa. Prova ne sia il fatto che Luciana Lamorgese e Lorenzo Guerini, contrariamente all’era Conte, non hanno sollevato obiezioni riguardo alla nascita di una struttura che sarà una sorta di ministero per la cybersicurezza nazionale.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Piccolillo Virginia 
Titolo: Cybersicurezza, nasce l’Agenzia contro gli hacker – Via libera all’agenzia per la cybersicurezza Avrà 300 dipendenti
Tema: cybersecurity

Trecento dipendenti che entro il 2027 potrebbero diventare 800. Un massimo di 50 consulenti. Fino a 34 dirigenti dei quali 10 di livello da direzione generale. Nasce, con un decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri, l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn). Un organismo pubblico, che farà capo alla presidenza del Consiglio, con autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, al di fuori dell’intelligence, ma sotto il diretto controllo del Copasir, che dovrà ideare e disporre le strategie di tutela della sicurezza nazionale dagli attacchi informatici . Sarà lo stesso presidente del Consiglio a nominare, ed eventualmente revocare, il direttore generale cui competerà l’adozione della strategia nazionale di cybersicurezza, sentito il nuovo «Comitato interministeriale per la cybersicurezza» (Cics). Un incarico, quello del dg, che durerà 4 anni, rinnovabili e che, secondo rumours, potrebbe essere affidato a Roberto Baldoni, docente alla Sapienza di Roma, già responsabile di questi temi come vicedirettore generale del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza (DIS). Anche se in questi giorni si è fatto anche il nome del capo della Polizia Postale, Nunzia Ciardi. II decreto istituisce, presso palazzo Chigi, un comitato interministeriale per la cybersicurezza (Cics) «con funzioni di consulenza, proposta e deliberazione in materia di politiche di cybersicurezza, anche ai fini della tutela della sicurezza nazionale nello spazio cibemetico. All’interno dell’Agenzia sorgerà anche il Nucleo per la sicurezza cibernetica (Nsc), a supporto del premier «per gli aspetti relativi alla prevenzione e preparazione di eventuali situazioni di crisi e per l’attivazione di procedure di allertamento».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Meli Guido 
Titolo: Pd, crescono i no all’asse con il M5S Ma Letta: con Conte dialogo bene
Tema: Pd-M5s

«Non trarrò indicazioni politiche dal voto delle comunali», dice Enrico Letta intervistato da Myrta Merlino a «L’Aria che tira», su La7. Potrebbe sembrare che il segretario del Pd metta le mani avanti in vista di una sconfitta alle amministrative di ottobre. Ma non è così. A Napoli l’accordo tra dem e 5 stelle su Gaetano Manfredi, benedetto da Vincenzo De Luca, è foriero di un successo elettorale. A Milano Beppe Sala è dato per vincente, senza i grillini, anche se il sindaco del capoluogo lombardo sostiene il tentativo di Giuseppe Conte, a patto che l’ex premier porti «senza se e senza ma i 5 Stelle nel centrosinistra». Persino a Roma, grazie al centrodestra e a Virginia Raggi, Roberto Gualtieri, che non sfonda nei sondaggi, ha buone possibilità di essere eletto. Solo in Calabria la situazione è complicata, perché lo sforzo del commissario pd Stefano Graziano di portare tutto il centrosinistra su un’unica candidatura vincente, quella di Nicola Irto, ha rischiato di essere vanificato dal tentativo del vicesegretario dem Beppe Provenzano di cambiare cavallo per accordarsi con i grillini (che in quella regione sono l’ultimo partito) e con Luigi De Magistris. E ancora adesso il pressing 5 Stelle per un candidato civico comune potrebbe ribaltare il paziente lavoro di Graziano in una regione dove il centrodestra è molto forte. Comunque no, non sono le elezioni amministrative di autunno a impensierire Letta e i vertici del Pd mai sondaggi in vista delle politiche che verranno. Sono sconfortanti. Ieri il gruppo del Partito democratico del Senato si è riunito per analizzare i dati di una ricerca commissionata a You Trend. I dati non hanno certo messo di buon umore i dem. Il Pd in quel sondaggio è inchiodato al 18,9%, cioè ha lo 0,2 per cento in più rispetto a quello che lo stesso Letta ha definito come il «peggior risultato della storia del partito». Il riferimento è alle elezioni del 2018, Matteo Renzi segretario.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lauria Emanuele 
Titolo: Salvini il federatore perde sui candidati “Ma ora la fusione”
Tema: centrodestra

La federazione val bene qualche compromesso: è il messaggio che, in queste ore, Matteo Salvini lancia agli alleati. Registrate le resistenze di parte di Forza Italia verso un abbraccio con la Lega e il “non capisco” di Giorgia Meloni, il leader si è rimesso in moto con una strategia che comprende ampie concessioni ai compagni di viaggio, pur di non rompere l’unità del centrodestra. E mantenere la leadership. La vicenda delle candidature per le amministrative è emblematica: su Roma Salvini ha acconsentito a un passo indietro a favore del nome gradito a Meloni, l’avvocato Enrico Michetti. Ma l’ha fatto cercando di restare al centro della scena, prima chiamando personalmente l’altro nome civico in corsa, quello di Simonetta Matone e offrendole il posto di “pro-sindaca”, poi incontrando lo stesso Michetti per una “benedizione”: un’ora di colloquio, ieri, per parlare di «sicurezza, decoro, trasporto, periferie, rifiuti». Dentro questa manovra ad ampio spettro, Salvini ha promosso anche la designazione di Vittorio Sgarbi per il ruolo (potenziale) di assessore alla Cultura. E per le altre partite il numero uno di via Bellerio è pronto a fare ancora da “padre nobile” della coalizione, concedendo al capogruppo di Forza Italia, Roberto Occhiuto, la Calabria ed enfatizzando il “sacrificio” dell’attuale governatore facente funzioni, il leghista Nino Spire. Quant’è diverso questo Salvini, insidiato da Fdi, dal leader tracotante che due anni fa chiedeva “pieni poteri” e giurava di abbandonare il “vecchio” che c’era nel suo schieramento. Adesso si aggrappa a Berlusconi («lui per primo vuole il partito unico del centrodestra») e del Cavaliere imita la generosità del passato nel fare qualche rinuncia a vantaggio della coalizione. Così, non è da escludere che a Milano, la sua città, il segretario possa accettare candidature non proprio gradite: come quella di Oscar di Montigny, dirigente di Mediolanum, oppure addirittura quella di Maurizio Lupi, che continua a essere smentita dai colonnelli leghisti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – Letta-Meloni e il duello sulle «porte girevoli» dei magistrati
Tema: politica e magistratura

Il duello di ieri tra Letta e Meloni sui magistrati che hanno accettato la candidatura a sindaco – per il centro-destra Catello Maresca a Napoli e Simonetta Matone in ticket con Michetti a Roma è un assaggio della partita che si giocherà sulla riforma della giustizia. Tra l’altro proprio il tema delle “porte girevoli”, cioè della possibilità per i giudici di impegnarsi in politica e poi tornare alle funzioni di prima, è tra quelli di maggiore frizione tra partiti anche all’interno del centrosinistra. La riforma dell’ex ministro Bonafede impediva il rientro in magistratura per chi aveva ricoperto ruoli politici mentre le proposte attuali rivedono questo divieto mettendo solo dei paletti che lo limitano. E dunque quella polemica di ieri tra il leader del Pd e la leader di Fratelli d’Italia arriva già a uno dei nervi scoperti su cui sarà richiesto uno sforzo di mediazione della ministra Cartabia. È vero che il botta e risposta riguarda l’ingresso di magistrati in politica – e non già il ritorno indietro – tuttavia il tema degli incroci tra “carriere” si pone anche se il viaggio è di “sola andata”, come previsto da alcune proposte che verranno messe sul tavolo della riforma. E infatti Letta fa notare l’attuale vuoto legislativo che si dovrà colmare. «Il centrodestra è molto attento alla giustizia: hanno candidato due magistrati, a Napoli come sindaco e come vicesindaco a Roma, peccato che siano in funzione nel posto dove si candideranno. Hanno preso decisioni delicatissime e hanno accesso a dati sensibili della terra dove saranno votati. La legge italiana – ha concluso – ha un buco e non lo impedisce. Ma è un errore». Naturalmente la sferzata del segretario Pd non è stata fatta cadere, anzi, è stata raccolta e restituita dalla Meloni che gli ha risposto. «E Letta non se ne è accorto quando si è candidato Emiliano o de Magistris o Ingroia? È il classico due pesi e due misure della sinistra. Se è consentito è consentito. Se ne può parlare ma se si può fare, si fa».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: La Nota – Ora i populisti si rinfacciano il deficit di competenza
Tema: populismo e classi dirigenti

L’«uno vale uno», monumento al l’ignoranza virtuosa e creativa, cara a Beppe Grillo, ha connotato non solo il Movimento ma un’epoca. E non ha riguardato soltanto le forze dichiaratamente populiste. In qualche misura, ha contagiato sia i partiti, sia gli elettori. Ebbene, ieri dai Cinque Stelle sono arrivate critiche abrasive contro FdI, accusata di non avere classe dirigente: un tema fatto riemergere dalle candidature di basso profilo per i sindaci delle grandi città. La risposta è stata ugualmente puntuta: «Andate a vedere i curricula del M5S», ha replicato Meloni. Al che i seguaci di Grillo hanno ostentato i titoli di studio del loro eletti. Polemica paradossale e un po’ lunare: il populismo cresciuto sulla crisi delle classi dirigenti, che rivendica il proprio come competente contro l’altro. Al di là delle ironie facili, al fondo si indovina un confuso e forse positivo tentativo di ripensamento. È come se dopo avere imboccato la scorciatoia di un accreditamento come forze antisistema, ci si cominciasse a rendere conto che vincere le elezioni senza avere un bagaglio culturale e politico alle spalle serve a poco. II problema non è né la laurea né un’onesta trafila di partito. Seminai, è la consapevolezza del ruolo dell’Italia, delle sue alleanze, della sua complessità, letta invece finora con lenti «facili» e profondamente inadeguate. E dunque la sfida è selezionare persone in grado di ricostruire la comprensione della realtà su basi meno fuorvianti e superficiali.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Parente Giovanni 
Titolo: Il ritorno del redditometro – Il Fisco rilancia il redditometro: fari puntati su spese e risparmi
Tema: fisco
 Il Fisco a sorpresa riaccende i motori del redditometro. E riparte da Iì dove si era fermata nel 2018 la macchina per l’attuazione del nuovo strumento di accertamento sintetico dei redditi dei cittadini riscritto dall’allora governo giallo-verde con il decreto Dignità. In quell’occasione grillini e leghisti riscrissero le regole dello strumento introdotto per misurare la capacità di spesa delle famiglie in relazione al redditi dichiarati, senza però arrivare alla più volte promessa abolizione dello strumento. Ma con una sorta di clausola di salvaguardia per i contribuenti scrissero che i nuovi criteri degli accertamenti induttivi sarebbero diventati operativi solo dopo aver sentito «l’Istat e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori per gli aspetti riguardanti la metodica ricostruzione induttiva del reddito complessivo in base alla capacità di spesa ed alla propensione al risparmio dei contribuenti». E dopo tre anni questa clausola è diventa operativa. Ieri il dipartimento delle Finanze ha avviato la consultazione pubblica sul nuovo redditometro che si chiuderà il prossimo 15 luglio. La consultazione è indirizzata soprattutto alle associazioni più rappresentative dei consumatori e punta ad acquisire valutazioni, osservazioni e suggerimenti per il ritorno in piena attività del redditometro, che sarà utilizzato – come prevede il decreto Dignità – per gli accertamenti a partire dal periodo d’imposta 2016. L’obiettivo è fotografare in modo più nitido e completo la reale capacità contributiva in modo da far scattare i controlii veri e propri solo in presenza di uno scostamento superiore del 20% tra redditi dichiarati e quelli ricostruiti. E in questa ricostruzione gli uffici dell’amministrazione finanziaria considereranno varie tipologie di spese: generi alimentari, bevande, abbigliamento e calzature; abitazione; combustibili ed energia; mobili, elettrodomestici e servizi per la casa; sanità; trasporti; comunicazioni; istruzione; tempo libero, cultura e giochi; altri beni e servizi. Ma oltre ai consumi il cerchio si chiuderà valutando anche i dati su investimenti (immobiliari e mobiliari), risparmio e spese per trasferimenti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Deotto Dario – Lovecchio Luigi 
Titolo: Più peso ai valori Istat per ricostruire il reddito
Tema: fisco

Aumenta il peso delle spese figurative Istat nella bozza del nuovo redditometro, con buona pace dei rilievi del 2013 del Garante della Privacy. Il dipartimento delle Finanze ha pubblicato in consultazione sul proprio sito lo schema di decreto sul redditometro destinato a sostituire l’abrogato decreto del 16 settembre 2015, a decorrere dai controlli del 2016. Per comprendere il quadro di riferimento, occorre tuttavia ricordare che la versione iniziale del precedente redditometro era stata profondamente rivisitata alla luce dei rilievi mossi dal Garante della Privacy sull’utilizzo massivo delle spese figurative determinate sulla base dei dati Istat. In particolare, il precedente decreto era articolato su: 1 – spese effettive, compresi gli incrementi patrimoniali; 2-  spese per elementi certi, fondate sulla disponibilità di beni e servizi valorizzate, in assenza di dati specifici, sulla base dei consumi medi Istat; 3 – quota di risparmio. Le spese per elementi certi derivanti dai valori Istat sono state per l’appunto censurate dal Garante in quanto ritenute troppo invasive della sfera personale del contribuente. Questi, infatti, al fine di sottrarsi alla presunzione accertativa, avrebbe dovuto documentare i consumi effettivi manifestando scelte che appartengono alla vita privata degli individui e sottoponendosi così ad un irragionevole onere di conservazione documentale. Alla luce di tali rilievi, pertanto, le spese per elementi certi, valorizzate con i dati Istat, sono alla fine rimaste solo quelle riferite ai consumi di acqua, alla manutenzione ordinaria della casa e alla manutenzione delle auto. Nel testo in consultazione, invece, pur mantenendosi la tripartizione precedente (spese effettive, spese per elementi certi e quota di risparmio), si assiste a una moltiplicazione dei valori Istat.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Trovati Gianni 
Titolo: Fisco, la riforma pro crescita punta sull’addio all’Irap
Tema: fisco
C’è il superamento dell’Irap ai primi punti di una possibile agenda condivisa dal Parlamento per la riforma del fisco. L’obiettivo non è ovviamente un’abolizione secca in deficit, perché i 14,5 miliardi di gettito garantito dai privati non lo permetterebbero (i 10 miliardi delle Pa sono invece una partita di giro). Ma un’archiviazione dell’Irap inglobandola nell’Ires darebbe una bella spinta nel nome della semplificazione, e cancellerebbe i paradossi di un’imposta che colpisce anche le imprese in perdita e tassa i fattori della produzione: un meccanismo, sembrano concordare i partiti, per il quale non ci può più essere spazio in un fisco da ripensare per disinnescare i freni tributari alla crescita. Il punto è emerso con chiarezza nel convegno «Quale fisco per il futuro: obiettivo riforma» organizzato dal Sole 24 Ore in modalità online. Il Convegno ha messo a confronto Governo, Parlamento, imprese, categorie ed esperti sulle prospettive della riforma. Dopo le relazioni di Massimo Bordignon, Angelo Cremonese, Massimo Basilavecdhia e Carlo Garbarino è partitala tavola rotonda fra esponenti dei partiti e delle categorie. E non bisognerà attendere molto per capire se il progetto Irap è destinato a decollare. Il 30 giugno è la data fissata per il voto nelle commissioni Finanze di Camera e Senato sui documenti conclusivi dell’indagine conoscitiva avviata a gennaio. Le decisioni parlamentari, spiega il Pnrr, dovrebbero essere labase perla legge delega che il governo deve presentare entro fine luglio.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Cimmarusti Ivan 
Titolo: Intervista a Laura Castelli – Governo al lavoro per scaglionare i pagamenti delle cartelle – Governo e Parlamento al lavoro per scaglionare i pagamenti delle cartelle
Tema: fisco

Dilazioni e proroghe in corso di valutazione per le scadenze fiscali. Allo studio del Governo un meccanismo per evitare il maxirecupero dei versamenti per le cartelle esattoriali sospese in scadenza il2 agosto, lo slittamento degli acconti del 30 giugno per le partite Iva e il rinvio del termine del 10 settembre per accedere alla perequazione del fondo perduto con l’invio della dichiarazione dei redditi. Ad aprire più di uno spiragliò è stata la viceministra dell’Economia, Laura Castelli, intervistata dal direttore del Sole 24 Ore, Fabio Tamburini, nel corso del convegno «Quale fisco per il futuro: obiettivo riforma». Al di là dei temi della riforma fiscale il convegno è stato anche il momento per fare un punto sulle esigenze dei contribuenti, alle prese con imminenti scadenze fiscali. A partire dal 2 agosto, con le 16 rate da saldare per le cartelle sospese dal lockdown dell’anno scorso. Si registrano, infatti, difficoltà da parte di molte imprese. «Il Parlamento – ha fatto notare Castelli – durante il dibattito che è appena iniziato sulla conversione del Sostegni 2 sta ragionando su come “ammorbidire” quelle 16 rate che vanno in scadenza il 2 agosto». Al momento «nessuna promessa, ma c’è un lavoro costante e dettagliato» su questo punto. Il calendario, però, spaventa i contribuenti e gli intermediari che li assistono. A giugno ci sono ben 144 scadenze che vengono al pettine, come l’appuntamento di fine mese con gli acconti Irpef/ Ires e Irap. La rappresentante del Governo ha rilevato che anche su questa scadenza «c’è una riflessione» ma va considerato che si tratta di entrate tributarie con importi rilevanti per le casse dello Stato. Altro aspetto caldo è l’anticipo al 10 settembre del termine per la trasmissione telematica delle dichiarazioni per ricalcolare i contributi del fondo perduto in base agli utili. Un tema che sta a cuore dei commercialisti, i quali hanno già formalizzato una richiesta per far slittare la scadenza.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Greco Filomena 
Titolo: Attività industriale ai livelli pre covid Bonomi: «L’Italia è ripartita» – La rimonta dell’industria, produzione in crescita per il quinto mese: +1,8%
Tema: dati Istat

In recupero il dato sulla produzione industriale, per il quinto mese consecutivo. Lo rivela l’ultima indagine dell’Istat che fotografa le buone performance congiunturali di tutti i settori, esclusa la produzione farmaceutica, con un rimbalzo a due cifre su aprile 2020, periodo caratterizzato dalle misure legate a lockdown e allarme sanitario. Secondo l’elaborazione dell’Istat nel mese di aprile l’indice destagionalizzato della produzione industriale è aumentato dell’1,8% rispetto al mese di marzo scorso. Considerando la media del periodo febbraio-aprile, poi, il livello della produzione è cresciuto dell’1.9%trimestre su trimestre. Si tratta dunque del quinto mese consecutivo di crescita congiunturale, con il livello dell’indice della produzione industriale che di fatto recupera e supera i valori registrati prima della pandemia (+1,2% su febbraio 2020). Recupero e crescita dunque, che passa attraverso i settori manifatturieri della fabbricazione di macchinari e attrezzature, i trasporti, cresciuti del 6,7% su marzo 2021, il tessile (+3,6%). In questa dinamica positiva nella quale tutti i principali settori di attività registrano Incrementi su base mensile, spicca la performance osservata in particolare per i beni strumentali che di fatto trainano la ripresa (+3,1% mese su mese). Insomma, «la polemica sul blocco dei licenziamenti e la sua proroga credo abbia perso ogni fondamento. I dati economici stanno significando che il Paese è ripartito», ha commentato ieri il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, «per il quinto mese consecutivo la produzione industriale aumenta, nel primi quattro mesi dell’anno l’industria manifatturiera ha assunto 123 mila persone in più: credo che ormai il Paese sia indirizzato sulla crescita che dovrebbe essere il solo obiettivo che dobbiamo avere  tutti noi».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Monticelli Luca 
Titolo: Licenziamenti, tregua tra i partiti verso il sì alla proroga per il tessile
Tema: lavoro
Venti giorni fa, dopo l’attacco di Confindustria al ministro Andrea Orlando, pensare di riaprire il dossier sui licenziamenti era impossibile. Poi, la settimana seguente, il ripensamento di Matteo Salvini aveva cambiato le cose. La strada per un allungamento del blocco sembrava comunque in salita perché i partiti restavano molto distanti, ma adesso l’intesa è quasi già scritta. Basta parlare con i deputati e scorrere gli emendamenti al Decreto Sostegni bis, depositati ieri pomeriggio in commissione Bilancio alla Camera. Tutti i gruppi parlamentari della maggioranza sono sostanzialmente d’accordo ad approvare una proroga selettiva del blocco dei licenziamenti per i settori del tessile, abbigliamento, moda, pelli e calzature. Anche la Lega e Forza Italia, pur non avendo presentato modifiche. A smarcarsi sono i 5 stelle e i renziani, però il responsabile economico di Italia viva e presidente della commissione Finanze, Luigi Marattin, lascia una porta aperta: «La mediazione che aveva raggiunto Draghi con la fine del blocco generalizzato al 30 giugno e la gratuità della cassa ordinaria fino a dicembre, con contestuale impegno a non prevedere esuberi, per noi è una posizione equilibrata, seppur un unicum mondiale». Marattin è pronto a discutere una proroga selettiva: «Vogliamo sapere per quali settori, per quanto tempo e quanto costa alle casse pubbliche». I deputati di Leu hanno firmato una proposta per spostare il divieto di licenziare al 31 ottobre per tutti, così come chiesto dalla Cgil.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Tito Claudio 
Titolo: Recovery Fund dall’Ue via libera rapido al Piano italiano
Tema: Recovery

Mercoledì prossimo, 16 giugno, non sarà un giorno qualsiasi a Bruxelles. Si riunirà il collegio della Commissione europea. Ma il suo ordine del giorno, cambiato nelle ultime ore, segna un passaggio fondamentale: contiene infatti l’approvazione dei primi Recovery Plan. E tra primi c’è anche quello italiano. Il Pnrr presentato dal governo Draghi il 30 aprile scorso, dunque, otterrà proprio la prossima settimana l’atteso via libera. L’esame del Piano nazionale italiano è stato concluso dalla Task Force europea che si occupa esclusivamente di valutare i progetti dei 27. E insieme ad altri 6 riceverà per primo il lasciapassare che aprirà la procedura per ottenere entro la fine del prossimo mese l’anticipo dei finanziamenti. Che per il nostro Paese equivale a 25 miliardi. Sull’approvazione del Pnrr, quindi, tutto è abbastanza definito. Basti pensare che già martedì scorso il commissario al Bilancio Hahn aveva confermato al Parlamento europeo la sua fiducia sulla possibilità che l’Italia avrebbe ricevuto la prima tranche a luglio. Il nodo, semmai, da sciogliere riguarda le modalità con cui ci sarà la “promozione” dell’Italia. E, come spesso accade nelle istituzioni europee, rischia di riproporsi il solito scontro tra “falchi” e “colombe”. Perchè? Perché la Commissione approverà sì la sua proposta da trasmettere all’Ecofin. Ma questo primo documento può essere licenziato in due modi: con una “procedura scritta” o con un confronto vero e proprio all’interno del collegio della Commissione. La prima, sostanzialmente, eviterebbe una discussione politica. Tutto si chiuderebbe con l’approvazione del documento ricevuto dalla Task force. Nell’altro caso si aprirebbe un dibattito sul “caso Italia”.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Dominelli Celestina 
Titolo: Recovery plan – La rivoluzione verde riparte da 60 miliardi: la fetta più alta finisce al 110%
Tema: Recovery

Per accelerare la svolta “green” contenuta nella seconda missione, dedicata alla «Rivoluzione verde e transizione ecologica», il Piano nazionale di ripresa e resilienza mette sul piatto 59,5 miliardi di euro che salgono a quasi 70 miliardi includendo anche le risorse del React-Eu (1,31 miliardi) e l’apporto del Fondo complementare (9,16 miliardi). A conti fatti, si tratta del 40% dei fondi complessivamente previsti dal Piano. L’obiettivo generale dell’esecutivo è realizzare «la transizione verde ed ecologica della società e dell’economia per rendere il sistema sostenibile e garantire la sua competitività». Tale spinta viene quantificata nello stesso Piano: l’impatto sul Pil della missione 2 è pari al 3,6% complessivo considerando l’intero orizzonte temporale del Recovery Plan (2021-2026), con la componente “Transizione energetica e mobilità sostenibile” che farà registrare l’incidenza maggiore (1,6% del Pil) e che rappresenta quella con il più alto livello di risorse, pari a 23,8 miliardi di euro, rispetto alle quattro previste dalla Missione. Mentre la voce più finanziata del Recovery Plan è quella dell’efficientamento energetico e sismico dell’edilizia residenziale e pubblica, con 13,95 miliardi di euro di investimenti, dietro ai quali figura il sostegno al superbonus al 110%che è stato al centro di un forte scontro politico
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fubini Federico 
Titolo: La Bce non frena sui sostegni Ma la partita è solo rimandata
Tema: Bce

La Banca centrale europea mantiene una «steady hand», ha spiegato la sua presidente Christine Lagarde: una mano ferma e costante nel proseguire gli acquisti di titoli sul mercato a ritmo intenso, senza rallentare al primo cenno di ripresa e ai primi segni di un risveglio della dinamica dei prezzi. La Bce continuerà dunque tutta l’estate con decisione negli interventi straordinari su titoli di Stato e privati, spendendo verosimilmente fino a 8o miliardi al mese, anche se per la prima volta dal 2018 l’istituto dà una valutazione dei rischi «equilibrata». Nel gergo dei banchieri centrali, questa parola ha un significato preciso: ora pensano che l’economia abbia pari probabilità di migliorare come di indebolirsi, rispetto alla rotta attuale. È un cambiamento profondo. Da circa tre anni nella Bce si continuava a ripetere che il grande rischio era quello di un peggioramento e ora il cambio di tono prelude, in tutta probabilità, a una politica monetaria meno audace in futuro. Di certo ieri gli economisti di Francoforte hanno alzato le previsioni di crescita e inflazione per quest’anno e il prossimo, benché non per il 2023. Ma in fondo questi chiarimenti ieri sono stati poco più che il disbrigo degli affari correnti. Hanno rassicurato il mercato, non lo hanno sorpreso, dopo che nelle ultime settimane alcune delle figure di peso nel Consiglio dei governatori avevano fatto capire che la Bce per ora non avrebbe tenuto il piede schiacciato a fondo sull’acceleratore.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Masciandaro Donato 
Titolo: Falchi & Colombe – La Lagarde non lascia l’acceleratore – La Bce della Lagarde non alza il piede dall’acceleratore
Tema: Bce

Alla vigilia delle decisioni della Bce, due erano le domande che attendevano una risposta: alla luce dei nuovi dati macroeconomici, sarà cambiata l’idea che la Bce ha sull’inflazione? E di riflesso: ci saranno dei cambiamenti nell’atteggiamento della politica monetaria? La risposta a entrambi i quesiti è stata chiaramente un «no». Partendo dall’inflazione, Christine Lagarde ha comunicato due dati rilevanti. Il primo dato è quello sulle previsioni della variazione dei prezzi al consumo nei prossimi tre anni: mentre per il 2021 e il 2022 le stime sono state riviste verso l’alto, quella per il 2023 è rimasta invariata. Sono dati che nella visione della Bce confermano come l’attuale esuberanza dei prezzi sia destinata a essere temporanea. Questo perché il meccanismo di formazione dei prezzi che la Banca centrale europea ha in mente si basa su due motori: le aspettative e la dinamica del costo del lavoro. Su entrambi i fronti la Bce continua a non vedere tensioni rilevanti; più precisamente, sono stabili le aspettative di famiglie e imprese, mentre relativamente più frizzanti appaiono le aspettative dei mercati. Complessivamente, è la conclusione della Bce, non c’è, almeno per ora, da preoccuparsi, anche se occorre vigilare. È un messaggio implicitamente rivolto ai falchi, che invece vorrebbero che già ora si parlasse di un rallentamento della fase espansiva della politica monetaria. Il secondo dato è quello che possiamo definire dell’inflazione strutturale, che cioè esclude dai calcoli i beni i cui prezzi hanno andamenti più volatili, come le materie prime. In questo caso, rispetto alle previsioni formulate in marzo, vi è un lieve aumento anche nel 2023, passando il dato da un 1,3% a un 1,4 per cento.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Degli Innocenti Nicol 
Titolo: Vaccini, impegno dei sette Grandi per debellare il Covid entro il 2022 – Il piano dei sette Grandi: eliminare il virus per fine 2022
Tema: G7
Collaborazione su vaccini, ambiente e sicurezza: questo l’impegno del premier britannico Boris Johnson per il G7 che inizia oggi a Carbis Bay in Comovaglia La speranza del padrone di casa è che Brexit non rovini la festa, nonostante le tensioni tra Londra e Bruxelles e i timon espressi dal presidente americano Joe Biden sui rischi per la pace in Irlanda del Nord. Oggi il premier britannico avvierà i lavori di un G7 che cerca un rilancio positivo dopo la pandemia e vuole presentare un fronte comune, lasciandosi alle spalle le divisioni del passato. Johnson punta su un’alleanza tra Paesi che condividono i valori democratici e per questo ha invitato al summit anche Australia, Sudafrica, India e Corea del Sud. La collaborazione sui vaccini è il pilastro del primo incontro in presenza dopo mesi di lockdown. ll premier britannico ha dichiarato ieri che «questo è ll momento per le democrazie più grandi e con le tecnologie più avanzate di assumersi le loro responsabilità e vaccinare il mondo, perchè nessuno è veramente protetto Biden e Johnson firmano una nuova Carta Atlantica, come Roosevelt e Churchill finchè non saranno protetti tutti». I leader del G7, ha anticipato Johnson, «si impegneranno a distribuire vaccini per immunizzare tutti entro la fine dell’anno prossimo». Almeno un miliardo di dosi supplementari verranno garantite per vaccinare l’80% della popolazione adulta globale, con l’obiettivo di eliminare il coronavirus entro il dicembre 2022. Biden ha già annunciato che gli Stati Uniti acquisteranno e distribuiranno 500 milioni di dosi del vaccino Pfizer, mentre Johnson ha promesso di donare «milioni di dosi» delle riserve britanniche. Si prevede anche che il G7 troverà un accordo sull’eliminazione delle barriere commerciali all’export di vaccini. La lotta al cambiamento climatico è il secondo cruciale pilastro sul quale si posa la ritrovata alleanza tra Grandi post-Trump. I sette leader discuteranno di un pacchetto di misure da adottare per accelerare la transizione verso l’energia verde.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ippolito Luigi 
Titolo: G7, Biden incalza Johnson – Biden incalza Johnson: il nuovo patto atlantico tra le ombre irlandesi
Tema: G7

Hanno fatto di tutto per appianare le differenze, Johnson e Biden, al loro primo incontro faccia a faccia in Cornovaglia, alla vigilia del G7: hanno parlato di «completa armonia» e il premier britannico ha salutato la «ventata di aria fresca» in arrivo dalla Casa Bianca. Ma era uno show di unità dovuto: perché la vigilia del summit che si apre oggi ha rischiato di essere offuscata dalla intrattabile questione nordirlandese. Biden si è fatto precedere da un duro avvertimento: l’ambasciata americana a Londra ha compiuto un passo formale presso Downing Street, ammonendo a non «infiammare» le tensioni in Irlanda del Nord e ad accettare anche «compromessi impopolari». Un tipo di monito di solito riservato agli avversari, non agli alleati. Londra e Bruxelles sono ormai ai ferri corti. La Gran Bretagna non vuole introdurre controlli sulle merci in arrivo in Irlanda del Nord dalla madrepatria, in nome dell’unità del Regno Unito; la Ue chiede di rispettare gli accordi presi sulla Brexit, che vedono l’Irlanda del Nord lasciata nel mercato unico europeo e dunque soggetta a un regime doganale diverso rispetto al resto della Gran Bretagna. Un nodo che ha riacceso le tensioni nella tormentata provincia e che rischia di mettere in pericolo gli accordi di pace del 1998. In questo clima è atterrato Biden, che va fiero delle sue radici irlandesi e ha molto a cuore i destini dell’isola. Forse gli americani faranno pressione anche sugli europei, che hanno adottato un approccio legalistico e massimalista: ma intanto è Johnson a sentire il fiato sul collo. Per lui il rischio da evitare era veder naufragare la speranza di cementare la «relazione speciale» con gli Stati Uniti, che ieri ha preso corpo con la firma di una nuova «Carta atlantica».
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Taino Danilo 
Titolo: Il corsivo del giorno – Il ritorno del G7, nuova sfida per l’Occidente
Tema: G7

Il presidente cinese Xi vede con fastidio il G7 che si apre venerdì in Cornovaglia: sa che il vertice potrebbe essere il primo passo per iniziare a smontare la sua argomentazione sul declino dell’Occidente. Al vertice nel Sud inglese, gli Stati Uniti, i maggiori Paesi della Ue, il Regno Unito, assieme alle democrazie asiatiche e africana, hanno l’occasione per affermare, non solo a parole, di essere in grado di offrire prospettive e soluzioni al resto del mondo. Come nessun altro. Joe Biden arriva in Cornovaglia sull’onda della promessa di donare 500 milioni di dosi di vaccino ai Paesi più poveri. Ci si aspetta che anche europei e il padrone di casa Boris Johnson si muova no nella stessa direzione. Oltre agli impegni sui cambiamenti climatici, nel comunicato finale del vertice probabilmente ci sarà la richiesta all’Organizzazione Mondiale della Sanità di condurre una nuova indagine sull’origine della pandemia — trasmissione da animali o fuga dal laboratorio di Wuhan. Le differenze tra i Sette non mancano, come si è visto nella tensione tra Biden e Johnson sul confine nordirlandese e come si nota nello scetticismo di Angela Merkel ed Emmanuel Macron ad apparire come parte di un fronte unito opposto a Xi e a Putin. Fatto sta che, se saprà dare concretezza agli slogan, il summit del 2021 puo essere quello del rilancio del G7, dopo anni di marginalità.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Guerrera Antonello 
Titolo: Il G7 sfida la Cina “Indagine sul virus” – “Nuova indagine sul virus” dal G7 una sfida a Pechino
Tema: G7

«Un’inchiesta sull’origine del virus». Joe Biden detta linea ed è molto probabile che domenica, quando si concluderà il G7, ci sia una richiesta netta all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ufficialmente, il motivo sta nel rafforzare «la sicurezza sanitaria globale». Ma è chiaro, dopo i rinnovati dubbi sul laboratorio di Virologia di Wuhan, anche l’accerchiamento di Pechino, ispirato dagli Usa del presidente 78enne, che considera la Cina la più grande minaccia del momento, geopolitica, economica, sanitaria e tecnologica. Conferma Downing Street: «Siamo aperti a tutte le possibilità». Ma Pechino ha reagito nelle stesse ore con una nuova legge contro le sanzioni di Paesi stranieri che prevede tra l’altro «il rifiuto del visto, l’espulsione, il sequestro e il congelamento di beni» dei loro cittadini. Oggi i sette leader, incluso “l’esordiente” italiano Mario Draghi, parleranno però anche di altro. Un rinvigorito multilateralismo, più vaccini (un miliardo di dosi) per i Paesi poveri, la ripresa e la ricostruzione dell’economia globale, la lotta alle disuguaglianze, come far prosperare le società libere e aperte pilastro del nuovo asse democratico di Biden, la cybersicurezza, nuove regole commerciali per una sana concorrenza — altra mannaia per Pechino — e poi ovviamente l’ambiente, dove si ricercherà una dichiarazione forte per spianare la strada al vitale vertice sul clima Cop26 del prossimo novembre organizzato da Gran Bretagna e Italia. Insomma, sulle meravigliose e blindate scogliere della Cornovaglia, nella piccola e ora spettrale Carbis Bay con 5mila poliziotti a sorvegliarla, c’è più di «una ventata di aria fresca», come ha detto Boris Johnson accogliendo Biden per il primo bilaterale alla vigilia dei lavori oggi, quando avrà un faccia a faccia anche con Draghi: «Il Regno Unito ha il privilegio di presiedere il G7 e di poter contribuire, insieme all’Italia, ad avviare questo sforzo titanico. Sta a noi dimostrare di essere all’altezza», dirà Johnson. Eppure Biden si era detto anti Brexit e aveva definito Johnson «un clone di Trump». Ieri invece, a Carbis Bay, tra i due ci sono state tante risate, un meeting di un’ora e venti e tanti regali. Ma soprattutto Regno Unito e Stati Uniti ieri hanno pubblicato un lungo e dettagliato remake della Carta Atlantica di Roosevelt e Churchill del 1941. Un documento ambizioso, che rinsalda quella “Special Relationship” tra i due Paesi sfilacciatasi con la presidenza di Donald Trump: difesa di democrazia, diritti umani e multilateralismo, «migliorare la difesa bilaterale più potente del mondo», cybersicurezza, una cooperazione quasi totale su sanità, clima, commercio. Ma c’è un nodo enorme: l’Irlanda del Nord.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Lorenzo 
Titolo: Dopo il ritiro il Pentagono studia i raid contro i talebani
Tema: Afghanistan

Ancora il ritiro dall’Afghanistan dei soldati americani assieme a quello degli altri contingenti della coalizione internazionale non è terminato, ma già si sta pensando alla guerra futura. Si prospetta uno scenario drammatico: i talebani e le nuove colonne dell’Isis minacciano di destabilizzare il Paese, paiono in grado di battere le truppe leali al governo del premier Ashraf Ghani e persino conquistare Kabul. Sono queste le considerazioni che stanno spingendo il Pentagono a chiedere all’amministrazione Biden il permesso di condurre raid arei in sostegno ai governativi per evitare la caduta delle città maggiori e della stessa capitale. Il New York Times rivela che la richiesta del Pentagono è potenzialmente in grado di introdurre importanti «elementi di flessibilità» nell’intera strategia del ritiro. Sin dal tempo degli accordi tra l’amministrazione Trump con i talebani nel febbraio 2020, i generali Usa avevano infatti contemplato l’ipotesi di attacchi mirati unicamente contro gruppi che minacciassero la sicurezza americana. Adesso però stanno emergendo le gravi debolezze delle forze di sicurezza afghane, da qui l’idea di campagne molto più vaste dall’aria per sostenerle. Tra le ipotesi contemplate vi sarebbero raid con missili, jet e droni in difesa dell’ambasciata Usa assieme a quelle degli alleati. Altri raid più nel profondo dovrebbero ogni volta essere autorizzati dal presidente in persona. Ma si presentano enormi difficoltà logistiche. I limiti di condurre la guerra soltanto dall’aria erano già apparsi quando l’ex presidente Barack Obama cercò di debellare i talebani e Al Qaeda dispersi nelle «zone tribali» pakistane una decina d’anni fa.
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Testata:  Manifesto 
Autore:  Negri Alberto 
Titolo: L’«odore» afghano del ritorno americano
Tema: missioni italiane all’estero

L’ammainabandiera italiano in un desolante hangar di Camp Arena a Herat – neppure si è osato farlo all’aperto – è stata la striminzita scenografia del fallimento di una generazione di politici e strateghi da strapazzo che porta la responsabilità di centinaia di migliaia di morti civili, di soldi buttati al vento, di risorse umane e materiali bruciate. In Afghanistan dopo 20 anni il Paese rischia di cadere di nuovo sotto i talebani, in Iraq la guerra del 2003 contro Saddam Hussein fece precipitare il Paese e il Medio Oriente nel caos, la guerra in Libia del 2011 a Gheddafi ha portato il Paese alla frammentazione, con la Turchia e la Russia a spartirsi Tripolitania e Cirenaica, in Siria la guerra con i jihadisti ad Assad ha spinto Mosca sulle coste del Mediterraneo. Per non parlare dello Yemen dove l’Occidente ha foraggiato fino sauditi ed emiratini per fare stragi soprattutto di civili. Quanto all’Italia – basti pensare alla Libia – da questi interventi militari ha ricevuto solo danni e beffe dai suoi stessi alleati che hanno fatto fuori il suo maggiore partner nel Mediterraneo sprofondando nel caos la sponda sud fino in fondo al Sahel. Ma noi italiani ci caschiamo ancora. Perché la ditta per «l’export della democrazia e della stabilità» non ha ancora chiuso del tutto i battenti. Anzi sta lavorando a nuove imprese. E lo sapremo magari dall’incontro bilaterale tra Biden e Draghi ai margini del G7 della Cornovaglia che comincia oggi. Intanto il presidente Usa fa sapere che insisterà sul rilievo dell’articolo 5 della Nato, quello che prevede l’entrata in guerra se un alleato viene attaccato da un «nemico». Una certezza l’abbiamo. L’Italia adesso si prepara ad andare in Sahel, aprendo una base militare a Niamey capitale del Niger, e a schierare elicotteri d’attacco in Mali per dare una mano ai francesi che chiudono la missione Barkhane, e alle nazioni africane impegnate contro il jihadismo, ma in una situazione paradossale. Perché non sappiamo neppure bene chi governa questi Paesi, dal Chad, dove Idris Deby è stato fatto fuori, al Mali dei generali golpisti che fanno e disfano governi sotto l’impulso delle correnti fondamentaliste.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Castelletti Rosalba 
Titolo: Putin avverte l’Occidente “Niente intromissioni” Nuova stretta su Navalnyj
Tema: Russia

La politica interna russa non è in discussione. E un eventuale sì all’adesione Nato dell’Ucraina sarà una “linea rossa” inaccettabile per Mosca. Mancano ancora cinque giorni al vertice bilaterale di Ginevra con il presidente statunitense Joe Biden, ma Vladimir Putin ha già reso chiara la sua agenda. Che non ammetterà ingerenze negli affari interni, il leader del Cremlino lo ha ribadito già la scorsa settimana davanti alla prestigiosa platea del Forum economico internazionale di San Pietroburgo, il “Davos russo”. «Le opinioni sul nostro sistema politico possono differire», ha detto ai direttori delle agenzie di stampa internazionali. «Riconosceteci almeno il diritto, per favore, di determinare come organizzare questa parte della nostra vita». A chi gli chiedeva conto della repressione, ha ricordato gli arresti dei rivoltosi che invasero il Campidoglio a Washington lo scorso gennaio. «Date un’occhiata ai tristi eventi negli Usa, dove la gente si è rifiutata di accettare i risultati delle elezioni e ha preso d’assalto il Congresso. Perché a interessarvi è solo la nostra opposizione non sistemica?», ha risposto, riferendosi ai gruppi politici non rappresentati in Parlamento. Già vessati, ora cadono come birilli sotto il colpo delle leggi anti-dissenso rafforzate o varate in vista delle cruciali parlamentari di settembre. Oppositori sono stati incarcerati, come Andrej Pivovarov, direttore esecutivo di Otkrytaja Rossija (Russia Aperta, anche nota come Open Russia), ong oramai defunta vicina all’ex oligarca in esilio Mikhail Khodorkovskij, o costretti all’esilio come Dmitrij Gudkov, iniziatore del movimento “Democratici Uniti” che nel 2017 portò all’elezione di deputati municipali indipendenti. Il media online VTimes ha chiuso dopo essere stato bollato «agente straniero». Persino la storica organizzazione per i diritti umani Memorial sta valutando di cessare le attività. Mentre Google e altri colossi hi-tech sono minacciati di multe o rallentamenti se non rimuovono i contenuti “vietati”.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Dragonesi Fabrizio 
Titolo: «Organizzazioni estremiste»: la Russia vieta l’attività politica agli oppositori
Tema: Russia

Mercoledì un tribunale ha definito «organizzazioni estremiste» tutti i gruppi che fanno capo ad Aleksej Navalny, il principale oppositore. Quindi nessuno potrà correre contro i candidati del potere nelle consultazioni politiche del prossimo autunno o in qualsiasi altro appuntamento elettorale. In più, tutti coloro che fanno parte dei movimenti locali che si richiamano a Navalny così come chi lavora alla Fondazione Anticorruzione potranno essere perseguiti penalmente se proseguiranno la loro attività. Con il rischio di essere condannati fino a 10 anni di carcere. In previsione della decisione, gli oppositori avevano già sciolto tutti gli organismi interessati. I rappresentanti più in vista del movimento che lotta contro il Cremlino sono fuggiti all’estero, o almeno ci hanno provato. Un dirigente di un’altra organizzazione, Open Russia, che si era già imbarcato dieci giorni fa su un aereo della compagnia polacca Lot a San Pietroburgo, era stato fatto scendere dall’apparecchio ed era stato portato via dagli agenti di sicurezza. Lo stesso Navalny ha commentato lapidario la decisione del tribunale russo: «Quando la corruzione è la base del potere statale, coloro che la combattono sono estremisti». Molto critici sia la Ue («decisione che non ha alcun fondamento») che la Casa Bianca: «La Russia ha de facto criminalizzato uno dei pochi gruppi indipendenti rimasti nel Paese». Alle elezioni che verranno il movimento ha deciso di continuare a ricorrere al sistema del «voto intelligente» che ha già dato frutti in passato. Gii elettori saranno invitati a esprimere il consenso per qualunque candidato di qualsiasi formazione, purché abbia una possibilità di battere gli uomini del potere, siano essi nelle liste di Russia Unita (il partito formalmente pro-Putin) o si presentino come indipendenti. Ma le strutture statali hanno iniziato ad affrontare anche questa strategia, Imponendo ai social di non diffondere inviti al «voto intelligente».
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Testata:  Giornale 
Autore:  Ragona Marchese Fabio 
Titolo: II Papa e lo stop a Marx: «Dobbiamo chiedere la grazia della vergogna»
Tema: Vaticano

«Caro fratello, vai avanti come arcivescovo di Monaco e Frisinga, non accetto le tue dimissioni». Un invito a continuare sulla strada delle riforme per superare la piaga della pedofilia e un’amara riflessione sul fatto che tutta la Chiesa sia in crisi. Papa Francesco risponde con una lunga lettera scritta in spagnolo al cardinale tedesco Reinhard Marx, ultra-progressista 67enne, suo stretto collaboratore, che lo scorso maggio nel corso di un’udienza privata aveva offerto al Pontefice le sue dimissioni dalla guida della diocesi. Una mossa politica, ponderata, un «gesto di corresponsabilità» per lanciare un forte segnale d’insofferenza su come la Chiesa tedesca sta gestendo la piaga degli abusi su minori, con sacerdoti e vescovi che non si assumono le proprie responsabilità, fedeli delusi e riforme rimaste al palo. «Mi dici che stai attraversando un momento di crisi», scrive Bergoglio al porporato che guida anche il Consiglio per l’Economia della Santa Sede, «non solo tu ma tutta la chiesa in Germania lo sta vivendo. Tutta la Chiesa è in crisi per il problema degli abusi. E da soli non se ne esce, ma solo in comunità. La politica dello struzzo – continua Francesco – non porta a nulla; di più ancora, la Chiesa oggi non può fare un passo avanti senza farsi carico di questa crisi. Dobbiamo chiedere la grazia della vergogna». Il Papa ringrazia Marx per «il coraggio cristiano che non teme la Croce» e insiste sul tema della riforma, che sia «non a parole ma in atteggiamenti che hanno il coraggio di affrontare la crisi», soprattutto in quella Germania dove l’arcivescovo, già Presidente della Conferenza Episcopale, con un sinodo nazionale biennale ancora in corso, ha aperto una discussione su celibato sacerdotale, unioni gay e donne.
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PRIME PAGINE

IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA REPUBBLICA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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LIBERO QUOTIDIANO
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IL FATTO QUOTIDIANO
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***gica/

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