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SINTESI IN PRIMO PIANO – 10 luglio

n evidenza sui principali quotidiani:

– Covid-19: arrivi vietati verso 13 Paesi; stato emergenza verso la proroga al 31 dicembre;
– Tensioni sociali: l’allarme del Ministro Lamorgese;
– Autostrade, trattative con l’Esecutivo;
– Eurogruppo: alla guida l’irlandese Donohoe;
– La Corte Suprema chiede a Trump di consegnare le dichiarazioni dei redditi;
– Accordo Siria-Iran sulla difesa aerea.

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Voltattorni Claudia 
Titolo: Arrivi vietati da 13 Paesi – L’Italia chiude a tredici Paesi «Stop anche ai voli indiretti»
Tema: Arrivi vietati da 13 Paesi

Armenia, Bahrein, Bangladesh, Brasile, Bosnia Erzegovina, Cile, Kuwait, Macedonia del Nord, Moldova, Oman, Panama, Perù, Repubblica Dominicana: vietato l’ingresso in Italia per chi arriva da questi Paesi o vi ha transitato negli ultimi 14 giorni. Vietati i voli diretti e indiretti, in arrivo e in partenza. I contagi aumentano e l’Italia chiude i confini a quei viaggiatori in arrivo dalle zone più a rischio, dove l’epidemia di coronavirus è tutt’altro che nella sua fase discendente con ancora migliaia di contagi e morti. La linea di «massima prudenza» è del ministro della Salute Roberto Speranza che ieri, in accordo con i ministri degli Esteri, dell’Interno e dei Trasporti, ha firmato l’ordinanza che prevede i divieti fino al 14 luglio. «Nel mondo la pandemia è nella sua fase più acuta. Non possiamo vanificare i sacrifici fatti dagli italiani in questi mesi», spiega Speranza. La decisione segue quella presa martedì di bloccare tutti i voli diretti in arrivo da Dacca, capitale del Bangladesh, dopo I controlli Fiumicino e Malpensa, rafforzati i controlli anche sugli altri voli intercontinentali l’esplosione di focolai nel Lazio con protagonisti cittadini rientrati dal Paese asiatico ancora in piena emergenza, molti dei quali positivi. Scelta che però non ha evitato l’arrivo a Roma e Milano di centinaia di bengalesi imbarcati su voli provenienti da altri Stati, tanto da costringere il governo a bloccarli e rimpatriarli poche ore dopo. E a proposito di questo, mercoledì Speranza aveva scritto al commissario Ue alla Salute Stella Kyrialddes e al ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, per chiedere una linea comune sulle «misure cautelative» sottolineando l’urgenza di «una politica comune nella gestione dell’emergenza».
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Canettieri Simone – Evangelisti Mauro 
Titolo: Il retroscena – Emergenza Covid verso la proroga – «Stato d’emergenza al 31 dicembre» Il premier si prepara alla proroga
Tema: Emergenza Covid verso la proroga

Prorogare lo stato d’emergenza in Italia fino al 31 dicembre. Per fare in modo che il premier possa ancora emanare, se ne ce fosse bisogno, nuovi Dpcm, gli ormai mitologici decreti del presidente del Consiglio che hanno accompagnato gli italiani durante la fase 1 e 2 del coronavirus. La spinta arriva dal Comitato tecnico scientifico e anche al Ministero della Salute sono consapevoli che sarà un passaggio necessario. Il tema è stato sollevato durante gli ultimi vertici a Palazzo Chigi con i capidelegazione. L’attuale stato di emergenza, proclamato lo scorso 31 gennaio, scade, o meglio termina, il 31 luglio. E dunque l’esecutivo a breve dovrà prendere una decisione. L’idea, appunto, è quello di prorogarlo almeno fino al prossimo 31 dicembre e visto come sta andando la pandemia – sia in Italia dove comunque siamo lontano dall’obiettivo di “zero casi” sia nel resto del mondo, dove la situazione si sta aggravando – non sembrano esservi alternative. Si tratta di un scenario che vede favorevole il M5S, a partire dal dicastero della scuola guidato da Lucia Azzolina, fino al Partito democratico. Più tiepida Italia Viva, che però davanti a ragioni sanitarie difficilmente si metterà di traverso. La decisione potrebbe essere anticipata dal premier Conte ai leader del centrodestra che la settimana prossima andranno a fargli visita per discutere del rilancio del Paese. Dalla Lega di Matteo Salvini, per esempio, trapela freddezza: «Non ne vedremmo l’esigenza», è la risposta davanti a questa evenienza. Di fatto l’indirizzo dell’esecutivo va in questa direzione. D’altronde, in molti hanno notato come in sede di conversione degli ultimi decreti siano stati tolti tutti i riferimenti temporali per citare la formula “fino alla fine dello stato d’emergenza”.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Arzilli Andrea 
Titolo: Lamorgese lancia l’allarme: «In autunno rischio concreto di tensioni sociali» – «C’è il rischio di tensioni sociali» Allarme di Lamorgese per settembre
Tema: L’allarme della Ministra dell’Interno

C’è un «rischio concreto» che la crisi economica legata al Covid produca tensioni sociali in autunno». La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, lancia l’allarme ad Agorà Estate, su Rai 3, segnalando il timore che la recessione possa sfociare in episodi di rabbia sociale. II quadro racconta di serrande abbassate, di aziende che chiudono, di interi settori in ginocchio, come commercio e turismo, e di un tasso di disoccupazione che cresce. Insieme a qualche ritardo nell’erogazione degli ammortizzatori sociali, ma soprattutto allo sciacallaggio delle mafie che si insinuano tra le difficoltà economiche di negozianti e imprenditori prestando soldi a usura, gli effetti della crisi sull’economia del Paese possono diventare l’innesco di un autunno particolarmente caldo. E quindi anche terreno fertile, è quanto si teme al Viminale, per chi avesse intenzione di cavalcare sotto il profilo politico le possibili proteste di piazza. «II rischio è concreto perché a settembre-ottobre vedremo gli esiti di questo periodo di grave crisi economica», dice Lamorgese prima di spiegare da dove nasce la sua preoccupazione. «Vedo negozi chiusi, cittadini che non hanno nemmeno la possibilità di provvedere ai propri bisogni quotidiani – riflette la titolare del Viminale .. Il governo ha posto in essere tutte le iniziative necessarie per andare incontro a queste esigenze, ma il rischio è concreto». Già qualche settimana fa la ministra aveva lanciato un appello agli imprenditori affinché si rivolgessero alle istituzioni, e non agli usurai, «perché in gioco non c’è solo la sopravvivenza delle vostre attività ma anche la salvaguardia dell’economia legale».
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Allegri Michela 
Titolo: Lamorgese: rischio tensioni Forze dell’ordine nel mirino
Tema: L’allarme della Ministra dell’Interno

L’allarme è serio e arriva dopo un’escalation di violenza e di esasperazione che potrebbe montare durante l’estate ed esplodere in autunno, quando la crisi provocata dall’emergenza sanitaria e dal lockdown si manifesterà in tutta la sua durezza. Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, teme un settembre all’insegna della rabbia e della tensione sociale: è un «rischio concreto», dice, e rinnova l’invito ai Prefetti a monitorare il territorio e quello al Governo per mettere in atto tutte le misure idonee a sostenere economicamente i cittadini. A preoccupare Intelligence e forze di polizia sono le scadenze imminenti – ammortizzatori, sussidi, contratti – che dopo l’estate potrebbero aggravare la situazione di famiglie e imprese, a un passo dal fallimento. A il timore deriva anche dal crescendo di tensione che si è visto in queste settimane, in particolare con episodi di intolleranza e protesta nei confronti delle forze dell’ordine. «A settembre-ottobre – spiega il ministro – vedremo gli esiti di questo periodo di grave crisi economica. Vediamo negozi chiusi, cittadini che tante volte non hanno nemmeno la possibilità di provvedere ai propri bisogni quotidiani. II Governo ha posto in essere tutte le iniziative necessarie per andare incontro a queste esigenze, ma il rischio è concreto». «Vedo – sottolinea ancora la titolare del Viminale – un atteggiamento di violenza contro le forze di polizia assolutamente da condannare». Il timore del Viminale è che ci siano gruppi eversivi decisi a strumentalizzare la situazione di crisi che vivono molti italiani, alimentando i sentimenti di insofferenza per creare disordini e tensioni sociali. Da qui un nuovo appello ai Prefetti, riprendendo la direttiva dello scorso marzo, nella quale il ministro chiedeva una maggiore vigilanza sui territori.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Al. Ar. 
Titolo: Migranti, dalla Consulta stop al decreto Sicurezza – Decreto sicurezza, il no della Consulta
Tema: Sentenza della Consulta

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma dei decreti Sicurezza che preclude l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo. La decisione è stata presa ieri dalla Consulta, che ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcuni tribunali. La preclusione all’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo era stata introdotta con il primo decreto Sicurezza, fortemente voluto dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere che la disposizione censurata non è stata ritenuta dalla Corte in contrasto con l’articolo 77 della Costituzione sui requisiti di necessità e di urgenza dei decreti legge. I giudici hanno però dichiarato l’incostituzionalità per violazione dell’articolo 3 della Carta costituzionale sotto un duplice profilo: «Irragionevolezza» e «irrazionalità intrinseca». Immediata la reazione di Salvini: «Anche sui decreti Sicurezza qualche giudice, come accade troppo spesso, decide di fare politica sostituendosi al Parlamento». Il leader leghista ha poi aggiunto: «Un richiedente asilo in oltre il 509 dei casi viene riconosciuto come clandestino dalle commissioni prefettizie, senza quindi nessun diritto di rimanere in Italia: secondo la Corte dovremmo quindi premiare chi mente e infrange la legge? La sicurezza e il benessere degli italiani, degli immigrati perbene e dei veri richiedenti asilo, vengono prima di tutto». Per il viceministro dell’Interno Matteo Mauri (Pd): «La Corte costituzionale conferma l’assurdità di alcune delle scelte propagandistiche volute dall’ex ministro Salvini i cui decreti hanno prodotto molti effetti negativi per tutti. Escludere dall’iscrizione anagrafica i richiedenti asilo era irragionevole e controproducente, oltre che incostituzionale».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Ziniti Alessandra 
Titolo: “Residenza per i migranti Il decreto sicurezza viola la Costituzione”
Tema: Sentenza della Consulta

La Corte Costituzionale è arrivata prima con un verdetto quasi provvidenziale per spingere la maggioranza verso quell’accordo che sembra a portata di mano ma tarda a concretizzarsi. In attesa che lo faccia il governo ieri sono stati ancora i giudici (e al massimo livello) a demolire un altro pezzo dei decreti sicurezza. E dunque: vietare l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo, come previsto dal primo decreto Salvini, è incostituzionale «per violazione dell’articolo 3 della Costituzione» che prevede l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Norme «irragionevoli», le bollano i giudici della Consulta chiamati a pronunciarsi sulle questioni di legittimità sollevate dai tribunali di Ancona, Milano, Salerno, solo alcuni dei tanti che dal 2018 hanno comunque accolto decine di ricorsi di richiedenti asilo ordinando ai Comuni la loro iscrizione all’anagrafe. «Irrazionalità intrinseca», perché la norma prevista da Salvini non ha alcun molo nelle finalità di controllo del territorio dichiarate dal decreto, e «irragionevole disparità di trattamento» perché rende ingiustificatamente più difficile ai richiedenti asilo l’accesso ai servizi che devono essere loro garantiti. Superato di fatto prima dalla disubbidienza civile di molti sindaci e poi dalle sentenze di giudici civili e amministrativi, il divieto di iscrizione all’anagrafe per richiedenti asilo era già scomparso dalla prima bozza del nuovo decreto immigrazione proposta dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese al tavolo di maggioranza che la prossima settimana ( dopo il rinvio di ieri) potrebbe finalmente trovare il punto di caduta sul testo definitivo.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lauria Emanuele – Lopapa Carmelo 
Titolo: Prodi agita Pd e 5Stelle scontro sulla legge elettorale
Tema: Legge elettorale

Fibrillazioni nella maggioranza giallorossa, una scossa nel centrodestra. L’onda lunga suscitata dall’apertura di Romano Prodi a Silvio Berlusconi da Bologna, teatro della Repubblica delle idee, raggiunge i palazzi romani e surriscalda le telefonate fra i leader. Ha effetto sul vero snodo di questa legislatura, la legge elettorale. Succede che MSS, all’improvviso, comunichi ai maggiorenti del Pd che la nuova norma di impronta proporzionale, il cosiddetto Brescellum, difficilmente potrà vedere il via libera della Camera prima delle ferie estive. Troppi nodi ancora da sciogliere e un calendario di Montecitorio fittissimo: ecco l’esigenza di un rinvio. «Non se ne parla neanche»: questa la risposta che Dario Franceschini e Graziano Delrio, secondo fonti dem, hanno dato agli alleati. Dopo aver ricordato che la legge elettorale costituisce l’impegno in cambio del quale il Pd sostenne ad ottobre il taglio dei parlamentari. Il ministro grillino Federico D’Incà in serata fa sapere che i margini per un’approvazione della riforma entro agosto ci sono ancora. Ma il rischio dello stallo rimane. Come l’irritazione, dalle parti del Nazareno. Anche perché fra i dem c’è il sospetto che i 5S vogliano rallentare proprio come risposta al patto con Berlusconi auspicato da Prodi. Un patto che Nicola Zingaretti vede solo come'<collaborazione istituzionale» sulla scia dell’invito alla concordia espresso un mese fa, ma che nel Pd piace a molti: «Prodi ha ragione, tutti gli europeisti devono stare dalla stessa parte», dice il capogruppo in Senato Andrea Marcucci. Sull’altro fronte, a comprendere prima degli altri i rischi di contraccolpi a destra, e di un possibile accordo di Forza Italia con i giallorossi sul proporzionale, è Matteo Salvini.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – Cosa c’è dietro i segnali del Cavaliere al governo
Tema: Berlusconi-Conte

Se Salvini ieri si è accostato a Enrico Berlinguer – nei valori e nella rappresentanza – se Romano Prodi due giorni fa ha dismesso il “tabù” Berlusconi accogliendo la disponibilità del Cavaliere a dare una mano a Conte e se l’ex premier azzurro si sente di staccarsi da Salvini e Meloni per votare insieme ai giallo-rossi sul Mes, vuol dire che davvero questa è la legislatura in cui gli steccati politici sono più nominali che sostanziali. Si dirà che non c’era bisogno di questa prova visto che proprio Salvini, per primo, abbandonò il recinto di centro-destra per tentare l’avventura con i 5 Stelle salvo ripensarci un anno dopo. E a maggior ragione vale per un Movimento e per un premier che hanno dimostrato quanto l’etichetta – destra o sinistra – sia una formalità. Oggi lo spartiacque corre lungo l’asse europeista ed è in fondo questo che spinge il Professore ad apprezzare la volontà di collaborare del suo ex avversario. Ieri l’entourage del leader azzurro ha sentito la necessità di scansare le voci di inciucio – che non ci sarà anche per l’ostilità dei gruppi parlamentari azzurri molto freddi dinanzi alle aperture del Cavaliere – ma ci sono dei vantaggi che comunque il capo di Forza Italia vede in questa sua strategia. Innanzitutto aver ridato un profilo più autonomo al suo partito – che sembra venga premiato nei sondaggi – dopo essersi mostrato eccessivamente subalterno al Capitano al punto che in molti davano tutti i suoi parlamentari in fuga verso la Lega.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Mieli Paolo 
Titolo: Il principio di realtà rifiutato
Tema: Gli aiuti europei all’Italia

Conta poco che noi quei soldi non sappiamo neanche bene come spenderli. E che probabilmente una parte li butteremo via. L’importante è prenderli. Fino a quando? All’infinito? Ammesso che fosse ammissibile ragionare in questo modo a marzo, aprile, nell’esaurimento nervoso da crisi pandemica, oggi forse dovremmo definire meglio cosa noi, con le nostre forze, siamo pronti a fare per il nostro Paese oltre a spendere i soldi che riusciremo a farci dare dall’Europa. Al momento non si vede all’orizzonte neanche un’idea di qualcosa che ci imponga di risanare ciò che va risanato. Siamo solo capaci di spendere facendo debito, debito e ancora debito. Un’attitudine che almeno trenta o quarant’anni fa serviva a render saldi gli accordi tra partiti. Oggi non c’è più neanche quello. Nessun’intesa è in grado di reggere. Neanche quelle di impianto etico. Vari ministri avevano annunciato mesi fa che nel caso sulle nostre coste fossero approdati dei migranti li avremmo accolti e parzialmente smistati in altri Paesi (grazie ad accordi internazionali presi dalla ministra Lamorgese). Invece quando questi migranti arrivano, restano tuttora al largo per una decina di giorni con la sola differenza che non ci sono più scrittori o parlamentari che vadano su quelle navi a portar loro conforto. Qualcosa deve essere cambiato nella sensibilità dei soccorritori che si mobilitarono l’estate scorsa. Neanche sulla modifica dei cosiddetti decreti Salvini sembra esserci all’orizzonte uno straccio di intesa. Né su una decina o più di punti che non stiamo qui ad elencare. Su un solo dettaglio l’accordo tra Pd e Cinque Stelle appare granitico: quello di un sistema elettorale che renda l’attuale stato delle cose immodificabile.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Rogari Marco 
Titolo: Via libera della Camera Decreto blindato all’esame del Senato – Decreto Rilancio, arriva il via libera della Camera
Tema: Dl Rilancio, la parola passa al Senato

Il decreto rilancio lascia la Camera con 278 voti favorevoli e 187 contrari vola al Senato per l’approvazione definitiva. Sarà soltanto una ratifica lampo delle correzioni apportate dai deputati quella che i senatori dovranno realizzare in meno di 9 giorni. La maxi-manovra da 55 miliardi ha una data di scadenza: entro il 18 luglio, infatti, il Capo dello Stato sarà chiamato a firmare il più grande decreto legge omnibus ed eterogeneo della storia repubblicana. Nei suoi 343 articoli con cui il provvedimento d’urgenza è uscito ieri da Montecitorio (erano già un record i 265 articoli di partenza) le materie di interesse censite e raccontate in tutti i loro dettagli dall’Ufficio studi della Camera sono almeno 22 e spaziano dalla sanità al lavoro, dal fisco alla sicurezza, dalla famiglia agli enti territoriali, dalla giustizia alla pubblica amministrazione, ma solo per citarne alcuni dei più interessanti. Ma tra tutte le materie trattate a dominare la scena nelle ultime ore sono state le concessioni e le proroghe automatiche introdotte dalla Camera su più fronti. La conferma fino al 2033 di quelle balneari ha provocato l’immediata reazione di Bruxelles con la Commissione europea che ieri ha invitato l’Italia a rispettare il diritto comunitario sulla materia e dunque l’obbligo di messa a gara per l’assegnazione delle concessioni balneari. Rinnovi per 12 anni fino al 2032 anche per le concessioni di posteggio per l’esercizio del commercio su aree pubbliche che scadono entro il 31 dicembre 2020, sempreché non siano già state riassegnate. Oltre alle concessioni tra le principali novità introdotte dalla Camera l’attenzione è tutta o quasi sulla misura principe del provvedimento che punta a rilanciare il sistema produttivo e i consumi del Paese, ossia il superbonus del 110% per interventi di efficientamento energetico e di messa in sicurezza degli edifici.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Fubino Federico 
Titolo: Intervista a David Sassoli – «L’Italia sia più veloce» – Sassoli: «Qui a Bruxelles c’è fiducia nell’Italia Ma non può agire come prima del Covid»
Tema: Recovery Fund

Sassoli ha passato giorni sulle carte della proposta di Recovery Fund della Commissione europea , prima di confrontarsi mercoledì a porte chiuse con gli altri presidenti: Ursula von der Leyen per la Commissione, Charles Michel per il Consiglio europeo che riunisce i governi e la cancelliera Angela Merkel, perché la Germania ha il suo turno di presidenza in questo semestre decisivo. Che impressione si è fatto sul negoziato? «Michel si è impegnato a presentare una bozza di accordo in tempi strettissimi. Lui ha la necessità di trovare l’unanimità dei governi. Non vorremmo che ciò diminuisse il livello di ambizione». C’è irritazione per il fatto che la proposta di Michel arriva solo a pochi giorni dal vertice Ue del 17-18 luglio? «Credo che l’interesse sia soprattutto volto a capire se ci saranno tagli rispetto alla proposta della Commissione e dove. Di quanto e dove, lui non lo ha indicato. C’è convergenza sul riuscire ad avere un accordo che sia utile alla ripresa, tenendo insieme il piano di ripresa e i programmi tradizionali a lungo termine dell’Unione. Un buon vento accompagna anche l’idea di inserire nuove risorse proprie dell’Unione Europea: è una priorità del Parlamento, utile a creare una capacità di autofinanziamento dell’Unione». I Paesi nordici chiedono un controllo sulle riforme che i beneficiari del Recovery Fund faranno. «Questa è una stagione di investimenti e riforme, e vale per tutti. Abbiamo bisogno di rilanciare l’economia e di un impegno dei governi con riforme che irrobustiscano e rilancino il mercato europeo». Anche sulla giustizia e l’amministrazione? «Tutte le riforme che consentano ai 27 mercati di integrarsi di più: giustizia, istruzione, ricerca, mercato del lavoro. Grandi riforme strutturali, nessuno può esimersi».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Mastrobuoni Tonia 
Titolo: Intervista ad Armin Laschet – Laschet “L’Italia usi il Recovery Fund per fare le riforme”
Tema: Recovery Fund

È il delfino di Angela Merkel e il favorito nella corsa per la presidenza della Cdu. E nella pandemia, Armin Laschet è stato l’ispiratore, in Germania, della linea più morbida delle restrizioni al posto del lockdown. Ma in quest’intervista esclusiva, il governatore del Nordreno-Westfalia spiega perché l’Italia ha salvato la Germania. E perché l’Ue ha bisogno del Recovery Fund e noi di riforme. Ma anche, come si convincono i Paesi di Visegrad ad accettare i profughi. Soprattutto: perché è un brutto momento per i populismi. Laschet, il prossimo Consiglio Ue decide sul Recovery Fund. Sarà possibile difenderlo nell’attuale equilibrio tra trasferimenti e crediti? «L’Europa ha bisogno del Recovery Fund: solo insieme possiamo riemergere dalla crisi da pandemia. L’Ue sarà forte solo se lo saranno l’Italia, la Spagna e altri Paesi. Deve prevalere il sentimento di fratellanza». Che aspettative ci sono nei confronti dell’Italia? «Non si tratta di avere aspettative nei confronti di singoli Paesi. Dobbiamo concordare ovviamente dei criteri per distribuire quei soldi. E non devono risolvere vecchi problemi di debito. Si tratta di fare investimenti di lungo respiro nel futuro e nel mercato unico. È nell’interesse di tutti. L’Europa deve diventare più competitiva. Perciò abbiamo Il Mes ha fatto un buon lavoro. Grecia e Spagna sono uscite bene dalla crisi dei debiti anche grazie a quello bisogno di una buona infrastruttura, di investimenti in ricerca e nuove tecnologie per convertirci all’economia digitale». Ci sono anche altri strumenti anti-crisi come il Mes, ma i 5Stelle non vogliono accedervi. «Il Mes ha fatto un buon lavoro. La Grecia o la Spagna sono uscite bene dalla crisi dei debiti anche grazie ad esso. Ma la situazione attuale è totalmente nuova. Non è una crisi dei debiti, è una pandemia. Perciò gli Eurobond o il Mes sono sbagliati. Lo strumento giusto è il Recovery Fund».
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Romano Beda 
Titolo: Donohoe presidente Eurogruppo – L’irlandese Donohoe presidente dell’Eurogruppo, Nord decisivo
Tema: Eurogruppo, Donohoe alla guida

Sarà Paschal Donohoe, 45 anni, a guidare l’Eurogruppo nei prossimi due anni e mezzo. L’uomo politico è stato eletto ieri dai ministri delle Finanze della zona euro dopo due combattuti turni di votazione. Il ministro irlandese sarà chiamato a gestire il completamento dell’unione bancaria e il rafforzamento dell’integrazione europea in un drammatico contesto economico e mentre i governi nazionali stanno valutando se e come modificare il Patto di Stabilità. In una conferenza stampa dopo la sua elezione, il nuovo presidente dell’Eurogruppo ha spiegato di essere «pienamente consapevole delle preoccupazioni dei cittadini in questa fase di crisi acuta» provocata dalla pandemia. Ha poi assicurato «il desiderio di lavorare a stretto contatto con tutti i ministri nell’affrontare le sfide sul tavolo». Riferendosi al negoziato in corso su un nuovo bilancio comunitario 2021-2027, ha aggiunto di voler avere «un ruolo costruttivo». L’irlandese, membro del Fine Gael e quindi del partito popolare europeo, ha battuto la socialista spagnola Nadia Calviño e il liberale lussemburghese Pierre Gramegna. Nel 2018, dinanzi a una presa di posizione di alcuni Paesi del Nord Europa, la ministra spagnola aveva affermato che non avrebbe reagito perché si trattava di «piccoli Paesi con un piccolo peso». Da molti, a cominciare dall’Olanda, la candidatura è stata ritenuta troppo controversa, a differenza di quella di Donohoe, che la stampa irlandese chiama il “Prudent Paschal”, proveniente da un Paese che in questi mesi ha fatto spesso da tramite fra le diverse sensibilità europee. L’elezione di ieri è giunta dopo che il presidente uscente Mário Centeno si è dimesso da ministro delle Finanze del Portogallo, scegliendo quindi di non ripresentarsi alla guida dell’Eurogruppo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca 
Titolo: Eurogruppo: la spunta l’irlandese Donohoe
Tema: Eurogruppo, Donohoe alla guida

I Paesi che rappresentano l’80% del Pil dell’Eurozona sono stati battuti dal fronte del Nord. Perché nell’elezione del presidente dell’Eurogruppo, che riunisce i 19 ministri finanziari dei Paesi che hanno adottato la moneta unica, uno vale uno e vige la maggioranza semplice. E’ stato eletto al secondo round l’irlandese Paschal Donohoe, 45 anni, del partito liberal-conservatore Fine Gael, famiglia Ppe. Prende il posto di Mário Centeno. La candidata socialista data per favorita, la spagnola Nadia Calviño sostenuta dai quattro big Spagna, Italia, Francia e Germania, non ce l’ha fatta. E nemmeno l’eterno sfidante, il lussemburghese liberale Pierre Gramegna (già sconfitto a suo tempo da Centeno). Alla vigilia del voto tra i socialisti del Parlamento Ue si erano manifestati dei timori dopo le dichiarazioni del Ppe, intenzionato a occupare anche quella casella nonostante nella ripartizione delle cariche Ue sulla base delle famiglie politiche fosse destinata al gruppo socialista. II voto è segreto. Donohoe, grande sostenitore della tassazione agevolata alle imprese in vigore in Irlanda (che ha sollevato molte polemiche all’interno dell’Ue), e contrario all’introduzione della web tax (una delle nuove risorse proprie in discussione con cui finanziare il Recovery Fund), aveva incassato solo il sostegno esplicito dell’Austria e quello politico del Ppe.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Galvagni Laura 
Titolo: Autostrade, Benetton pronti a scendere – Benetton pronti a diluirsi: aumento in Aspi
Tema: Autostrade

Pronti a un passo indietro, anche rilevante. Per i Benetton il controllo di Autostrade per l’Italia non è un tema che potrebbe far saltare l’eventuale trattativa con il governo nel caso in cui si volesse trovare un punto di incontro. Questo purché la discesa di Atlantia, controllata di Edizione e a sua volta primo azionista di Aspi con l’88% del capitale, avvenga secondo uno schema preciso: innanzitutto mettendo in pista un aumento di capitale; inoltre che il socio o i soci che eventualmente faranno capolino nell’azionariato abbiano le spalle finanziariamente larghe e infine che ci sia piena condivisione rispetto all’ambizioso piano di investimenti da 14 miliardi messo a punto da Autostrade, o quantomeno che ci sia accordo unanime sulla necessità di dare una forte spinta agli interventi sulla rete. A queste condizioni, i Benetton e a cascata Atlantia, non avrebbero alcuna remora a mettere sul piatto la maggioranza di Aspi. Purché, come si diceva, la discesa avvenga tramite l’iniezione di mezzi freschi. Una novità che potrebbe rivelarsi determinante nella dinamica della trattativa tra la compagnia e l’esecutivo. Una simile manovra avrebbe infatti un duplice effetto positivo: sul piano politico l’idea potrebbe essere ben accolta considerato che i Benetton vedrebbero scendere sensibilmente il loro peso senza però avere alcuna contropartita in denaro; contemporaneamente sul piano economico la ricapitalizzazione porterebbe a un rafforzamento patrimoniale della società. Aspetto, quest’ultimo, cruciale stante la situazione in cui versa l’azienda: il rating spazzatura a cui è stata declassata Aspi a valle del Milleproroghe rende quasi impossibile per la società andare a finanziarsi sul mercato dei capitali.
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Testata:  Mf 
Autore:  Leone Luisa 
Titolo: Benetton fuori senza incasso – Il governo detta l’agenda ad Aspi
Tema: Autostrade

Il giorno in cui il titolo Atlantia affonda in borsa (-8,29% a 13,11 euro), il governo detta l’agenda ad Autostrade per l’Italia. Dopo la decisione della Consulta, che ha messo il bollino di costituzionalità sul decreto Genova, l’esecutivo ha rialzato la testa nella trattativa sul destino della concessione e nell’ incontro di ieri al ministero delle Infrastrutture ha dato un ultimatum alla società: le proposte finora avanzate non sono accettabili, ne presenti una definitiva entro lunedì 13 o l’iter di revoca andrà avanti. Al tavolo, di fronte all’amministratore delegato di Atlantia, Carlo Bertazzo, e a quello di Aspi, Roberto Tomasi, c’erano i capi di Gabinetto dell’Economia (Luigi Carbone) e delle Infrastrutture (Alberto Stancanelli) e il segretario generale della Presidenza del Consiglio (Roberto Chieppa). L’incontro si sarebbe concentrato solo sulla revisione della concessione. Tuttavia, secondo indiscrezioni, ai piani alti della catena di controllo della concessionaria si sta studiando anche il modo per chiudere l’altra partita, quella sul cambio di proprietà, chiesto a gran voce dai Cinquestelle. In particolare si starebbe pensando alla possibilità di mettere sul piatto di Palazzo Chigi, che segue direttamente il dossier, una sostanziale uscita di scena della famiglia di Ponzano Veneto tramite un aumento di capitale di Autostrade. Una soluzione che oltre a ricapitalizzare la società, che oggi viaggia in territorio junk, permetterebbe al M5s di rivendicare di aver preteso il cambio di controllo senza dare un euro ai Benetton, da due anni sotto il fuoco di fila dei grillini di ogni ordine e grado. L’idea sarebbe provare a mettere in un unico pacchetto sia una nuova proposta sul fronte della modifica della concessione sia quella sul cambio di proprietà. Per questo c’è cautela sulla possibilità di riuscire a rispettare la scadenza di lunedì indicata dal governo.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  De Rosa Federico 
Titolo: La partita su Open Fiber e le mosse di Tim sulla rete
Tema: Il grande piano per la banda ultralarga

Il cerchio inizia a stringersi. «Il grande piano per la banda ultralarga» di cui ha parlato il premier Giuseppe Conte pochi giorni fa, annunciando un’ imminente svolta sulla rete, oltre a segnalare l’attenzione del governo per una partita strategica, da molti è stato letto come un «appello» a trovare rapidamente una via d’uscita a un impasse che dura da troppo tempo. Via d’uscita che continua a ruotare attorno all’integrazione tra l’infrastruttura di Tim e la rete di Open Fiber, la società partecipata pariteticamente da Enel e Cdp, su cui restano pochi dubbi, ma ancora diverse perplessità su come arrivarci. Di certo le cose si stanno muovendo. Tim per il momento ha deciso di valorizzare la rete di secondaria in rame, strutturando un’operazione insieme al fondo Kkr per creare una nuova società in cui far confluire l’infrastruttura e poi sostituire il rame con la fibra ottica. Ieri l’agenzia Bloomberg ha riferito di un interesse della Cdp a investire nella nuova società. In teoria, avendo Il 9% di Tim, la Cassa è già azionista «teorico» della rete secondaria. Non risulta tuttavia che al momento ci sia una trattativa. Che invece sarebbe in procinto di partire con Fastweb. La società controllata da Swisscom starebbe studiando il conferimento della sua quota in Flash Fiber, la joint venture sull’ultimo miglio che ha con Tim, in cambio di una partecipazione di minoranza nella società delle rete secondaria. Il prossimo 4 agosto è in programma un consiglio di Tim e il ceo Luigi Gubitosi aggiornerà il board sulle trattative e sugli altri dossier aperti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Olivieri Antonella 
Titolo: Intervista a Marco Tronchetti Provera – Tronchetti Provera: un piano Paese per i fondi Ue – «Dopo la crisi un piano Paese utilizzando tutti gli aiuti europei»
Tema: Intervista al ceo di Pirelli

Da imprenditore come ha vissuto l’emergenza Covid? “È stato chiaro, venendo dall’esperienza della Cina, che stavamo entrando in un mondo diverso. Abbiamo reagito accelerando la transizione verso il lavoro da remoto e adattando la strategia di business. In questa situazione cash is king, bisogna lavorare sugli stock evitando di farli aumentare. Ora stiamo lavorando sulla gamma dei prodotti. Devo dire che è stato un momento intenso per tutti, con una chiara condivisione delle priorità da parte del management”. Ma la crisi sanitaria ha addirittura inciso sul prodotto? “Ridurre i costi era una priorità da prima del Covid. Il rallentamento dell’economia era già in atto anche a causa delle tensioni tra Usa e Cina. Abbiamo accelerato sull’innovazione e, anche grazie a simulazioni e modelli matematici, stiamo riducendo tempi di sviluppo e costi di industrializzazione, eliminando la gamma di prodotti meno redditizia”. La riapertura come è stata? “Un processo graduale. Abbiamo riaperto con molta cautela cercando di minimizzare i rischi”. Che risultati prevedete per Pirelli? “Il secondo trimestre, in particolare il mese di aprile, resterà nella storia. Con oltre 4 miliardi di persone inlockdown l’economia si è fermata. Per quanto riguarda Pirelli, come abbiamo annundato al mercato, prevediamo per l’intero esercizio un calo del fatturato dell’ordine del 18-20%, ma con generazione di cassa positiva: siamo gli unici nel settore ad avere dato indicazioni quantitative sulle conseguenze del Covid”. Arginata per ora la crisi sanitaria, il problema diventa affrontare la crisi economica. Anche lei pensa che avremo un autunno terribile? “In autunno vedremo gli effetti di quanto successo negli ultimi mesi. Ma il problema è come tomare ad avere una crescita sostenibile. Tutti i Paesi usciranno più indebitati dall’emergenza sanitaria e, se non si trova il modo di aumentare la crescita in misura analoga, lo squilibrio non sarà sostenibile”.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Biondi Andrea 
Titolo: Intervista a Fabio Vaccarono – Google: «Investiremo 900 milioni in Italia» – «Google investirà sull’Italia, 900 milioni per la ripartenza»
Tema: Google investirà su “Italia in digitale”

«Con l’uso giusto delle leve a disposizione e mettendosi a fare sul serio l’Italia ha talmente tanto terreno da recuperare che il digitale può rappresentare un’arma formidabile per uscire dalla crisi». Fabio Vaccarono, 48 anni e da 8 managing director di Google per l’Italia oltre che componente del board Emea di Big G, guarda all’annuncio degli investimenti in Italia – 900 milioni di dollari in 5 anni – come aun momento di svolta, per lo slancio che potrà trame il tessuto delle Pmi del Paese (destinatarie privilegiate degli interventi pensati da Google), ma anche per l’attestazione del rilievo dell’Italia nella geografia del gigante Usa. Non è un caso che ad annunciare il programma “Italia in digitale” sia in un pos tufficiale sul blog del colosso di Mountain View il ceo di Alphabet in persona, Sundar Pichai: «Google è orgogliosa di essere partner della ripresa economica dell’Italia. Per aiutare a trasformare le aziende italiane grandi e piccole, investiremo oltre 900 milioni di dollari in 5 anni, che includono l’apertura delle due Google cloud region in partnership con Tim». Evidente la soddisfazione di Fabio Vaccarono per un progetto che, scornmettendo sulle leve della formazione e dell’implementazione tecnologica, per il numero uno di Google in Italia ha tutte le carte in regola per fornire un assist alla ripartenza «L’adozione del digitale nel tessuto economico rappresenta la differenza vera fra Paesi che torneranno a brillare e altri che faticheranno. Il progetto nasce per supportare italiani e imprese in questa fase di ripartenza».
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Sole 24 Ore 
Testata:  Sole 24 Ore 
Titolo: Panorama – Fisco, la Procura avrà le dichiarazioni di Trump
Tema: Trump

Donald Trump incassa una sconfitta dalla Corte Suprema che apre nuovamente la strada a inchieste sulle sue finanze eapotenziali nuovi scandali. Gli alti magistrati hanno dato via libera alla procura distrettuale di Manhattan per ottenere anni di dichiarazioni fiscali e documentazione finanziaria del presidente e continuare così a indagare sulla sue rete di interessi e affari, a cominciare dal sospetto di pagamenti illeciti per comprare il silenzio di donne che lo accusavano di relazioni extraconiugali prima del voto del 2016. La Corte ha bocciato seccamente la rivendicazione della Casa Bianca di ampia immunità da procedimenti penali. Esito migliore per Trump ha avuto un parallelo scontro legale con la Camera a maggioranza democratica: la Corte Suprema, con una seconda decisione, ha respinto la richiesta di tre Commissioni parlamentari di ordinare la consegna di documenti fiscali e finanziari legati a Trump, a suoi familiari e collaboratori per far luce su eventuali conflitti d’interesse, influenza indebita di Potenze straniere o evasione fiscale. La Corte ha qui indicato che il Congresso non ha adeguatamente considerato la separazione dei poteri. Nel primo caso, la procura ha chiesto documenti anzitutto alla società contabile Mazars; nel secondo la Camera ha contattato anche le banche Deutsche Bank e Capital One.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Gaggi Massimo 
Titolo: Corte Suprema, schiaffo a Trump Ma le sue tasse non sono pubbliche
Tema: Trump

La sentenza è storica perché nega la pretesa di Donald Trump di essere considerato, in quanto presidente, al di sopra della legge. La sua reazione contro la Corte Suprema è furiosa, anche perché a votargli contro, stabilendo che lui non si può opporre alla diffusione dei dati delle sue dichiarazioni dei redditi, sono stati anche i due giudici arciconservatori da lui nominati: Brett Kavanaugh e Neil Gorsuch. Importanti sul terreno dei principi, i pronunciamenti di ieri dei giudici costituzionali non cambiano, però, nulla rispetto alla campagna per le elezioni presidenziali del 3 novembre: il Congresso non avrà accesso ai dati fiscali del leader mentre la procura di New York che sta indagando su spese sospette di Trump e delle sue aziende (potrebbe aver pagato il silenzio di una pornostar e di una ex modella con la quale avrebbe avuto affari sessuali, da lui negati) potrà conoscere rapporti col Fisco dell’immobiliarista divenuto presidente ma non li potrà rendere pubblici. E, in ogni caso, i magistrati non potranno sapere se Trump ha pagato le tasse e in che misura prima del voto: riconosciuto che lui non è legibus solutus, la Corte Suprema ha rinviato ai tribunali ordinari ogni decisione su tempi e modalità di accesso agli archivi della Mazars LLP, la società di consulenza che ha gestito il profilo tributario del presidente.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Mastrolilli Paolo 
Titolo: La Corte Suprema frena le mire di Trump “Consegni le sue dichiarazioni dei redditi”
Tema: Trump

Trump ha perso, però ha vinto. Ha perso, perché la Corte Suprema ha rifiutato l’argomento secondo cui il presidente è immune alle inchieste giudiziarie e sostanzialmente al di sopra della legge. Nella sostanza però ha vinto, perché i giudici hanno rinviato alle corti di grado inferiore le richieste della procura di Manhattan e del Congresso di vedere le sue dichiarazioni dei redditi, che quindi quasi certamente non verranno pubblicate prima delle elezioni del 3 novembre. Trump è il primo capo della Casa Bianca in epoca moderna a rifiutarsi di far conoscere agli elettori la sua situazione finanziaria. Lui si è giustificato col fatto che la sua azienda è sotto inchiesta da parte del fisco Irs, e quindi non può pubblicare le dichiarazioni dei redditi fino a quando la disputa sarà risolta. Nel 2016 gli elettori lo sapevano, lo hanno votato comunque, e quindi a suo giudizio la questione è chiusa. Questo però ha alimentato il sospetto che il presidente abbia qualcosa da nascondere. Il procuratore di Manhattan Cyrus Vance, figlio del segretario di Stato di Jimmy Carter, sta indagando sui pagamenti fatti alla pornostar Stormy Daniels e alla coniglietta di Playboy Karen McDougal, per farle tacere sui rapporti sessuali avuti con Donald. Perciò ha chiesto alla compagnia che gestisce le sue finanze, Mazars, di consegnargli le dichiarazioni dei redditi della Trump Organization, per indagare su eventuali spostamenti illeciti di denaro. Tre commissioni della Camera hanno fatto altrettanto, allargando la richiesta anche alla Deutsche Bank e Capital One, perché avevano prestato soldi al presidente.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Olimpio Guido 
Titolo: Il corsivo del giorno – Siria-Iran, patto che guarda all’interno
Tema: Siria-Iran

Un patto per parare le minacce esterne, ma dalle implicazioni interne. E’ questo il senso dell’accordo, firmato ieri, che accresce la cooperazione Siria-Iran nella difesa aerea. I due Paesi sono alleati, Teheran ha svolto un ruolo cruciale nel ribaltare le sorti del conflitto civile, considera il territorio siriano un avamposto nel confronto con Israele e nella proiezione verso il Mediterraneo. Presenza contestata da Israele (insieme agli Usa) responsabile di centinaia di raid contro target iraniani proprio in Siria. L’intesa potrebbe portare nuovi sistemi per cercare di contrastare le incursioni nemiche avvenute senza che le batterie gestite dai russi le abbiano fermate in modo efficace. Certamente l’aviazione israeliana ha grandi capacità, ma probabilmente Mosca non si è impegnata troppo quando i bersagli erano collegati alle forze di Teheran. Inoltre tra Netanyahu e Putin esiste un rapporto pragmatico. Arriviamo così alla lotta di influenza. Il Cremlino, l’altro grande protagonista del conflitto grazie alla decisiva azione del suo contingente, vuole mantenere un ruolo preminente a Damasco. Dispone di basi e porti, ha ruolo, gestisce le carte e pone le sue condizioni. In parallelo ci sono gli ayatollah e i pasdaran, anche loro decisi a capitalizzare un intervento comunque sanguinoso.
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Testata:  Manifesto 
Autore:  Negri Alberto 
Titolo: Dall’Iran alla Siria, alla Libia, ecco il tiro al bersaglio
Tema: Siria-Iran

Usa e Israele hanno colpito siti nucleari iraniani, Israele in Siria prende di mira ogni giorno pasdaran e Hezbollah con il «sì» di Mosca che ormai li ritiene alleati scomodi. E Francia ed Emirati bombardano i turchi nelle loro nuove basi libiche. Ecco il tiro al bersaglio nel Mediterraneo e in Medio Oriente in vista delle elezioni Usa. E quando non agiscono le armi colpiscono gli embarghi, contro l’Iran ma anche con il rafforzamento delle sanzioni americane a Damasco che stanno affossando pure la fallimentare economia libanese. Guerre davanti agli occhi di tutti con attori che fingono di nascondere la mano. È paradossale ma l’Italia partecipa alla missione navale europea Irini per il rafforzamento dell’embargo contro la Libia insieme a Paesi come la Francia (che si è appena ritirata) impegnata a compiere raid in Libia: in pratica Parigi da una parte frena l’invio di armi turche a Tripoli e dall’altra sostiene il suo alleato Haftar con i Mirage della Dassault. Noi partecipiamo a queste missioni come cavalli in corsa con il paraocchi, sperando che poi in scuderia i nostri partner ci scodellino la «biada» che non arriva mai. Aspettiamo, tacendo, i colpi di mano altrui. È il caso dell’Iran dove americani e israeliani sono pronti a scatenare attacchi aerei, missilistici, con i droni, come contro Soleimani il 3 gennaio scorso, ma anche con la cibernetica, come nel 2010 quando venne lanciato il virus Stwmet tra le più importanti operazioni di guerra cibernetica della storia.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Mondello Mauro 
Titolo: Ora Duda sfida Putin “Più forti con il canale sul Baltico” – La grande opera sovranista Così Duda sfida Putin e prova a sedurre i polacchi
Tema: Polonia

Sul porticciolo di Krynica Morska si alza un vento tiepido in arrivo dal Baltico. Le bandiere polacche si allungano verso la banchina, mentre decine di famiglie si accalcano alla ricerca di un tavolo libero per la cena. La stagione estiva è appena ricominciata e questa piccola striscia di terra rimane una delle mete di vacanza preferite dai polacchi. È a dieci chilometri dal centro di Krynica Morska, un’ora e mezza a Est di Danzica, all’estremità Nord della Polonia, che il governo conservatore appoggiato dal presidente Duda ha deciso di realizzare l’opera pubblica più imponente della sua gestione, un canale artificiale che collegherà la laguna della Vistula con il Mar Baltico. Un progetto grandioso, che includendo i lavori di ammodernamento del porto di Elblag, sfiora i 3 miliardi di euro, e che prevede lo sbancamento di 1 chilometro e mezzo di foresta e la frattura netta della Vistula Spit, la meravigliosa riserva naturale che si estende fino all’enclave russa di Kaliningrad: i lavori, di cui si stanno occupando la multinazionale delle costruzioni Besix e la polacca Ndi, dovrebbero concludersi entro la fine del 2022. Il canale, sostiene l’esecutivo, rafforzerà l’indipendenza e la libertà della Polonia, le cui imbarcazioni non dovranno più attraversare lo stretto di Baltiysk per accedere alla laguna, chiedendo il permesso alla Russia. «E un’opportunità non soltanto per lo sviluppo della regione, ma per l’intero Paese – ha dichiarato il primo ministro Morawiecki -. La Polonia rinforzerà la sovranità sul suo territorio».
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Testata:  Repubblica 
Titolo: Intervista a Bernice King – Luther King, la figlia dice no ai tagli alla polizia – Bernice King “L’America non tagli i fondi alla polizia Ma le ingiustizie restano”
Tema: Intervista a Bernice King

Quanto rimane rilevante l’insegnamento di suo padre per affrontare razzismo e ingiustizie nell’America di oggi? «La sua filosofia e strategia politica fondata sulla non violenza resta rilevante e praticabile. Purtroppo quel che diceva 50 anni fa sul razzismo e altre ingiustizie rimane vero anche oggi. Il suo ultimo libro s’intitolava: Dove andiamo da qui, verso il caos o la comunità? Quel libro di mio padre è una guida molto concreta, per rendere veritiere le promesse disattese della nostra democrazia, costruire il senso di comunità, non fomentare la divisione». Nella giovane generazione che si è distinta nei cortei di questi ultimi 40 giorni, traspare un senso di sfiducia verso quel passato, come se le battaglie di suo padre fossero avvenute invano. Ed è stato messo a tacere chi ammoniva che le tattiche violente negli Anni ’60 portarono alla Casa Bianca Nixon. «Il movimento non violento per i diritti civili guidato da mio padre diede risultati tangibili, e cambiò qualcosa anche dal punto di vista delle relazioni tra bianchi e neri. La segregazione venne abrogata. Dalle campagne di Montgomery per il diritto al voto, alla marcia di Selma, fu sempre la filosofia della non violenza a consentire che le grandi riforme fossero approvate e applicate: il Civil Rights Act del 1964 e il Voting Rights Act del 1965».
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Testata:  Libero Quotidiano
Autore:  Feltri Vittorio 
Titolo: Caro Francesco, vada all’inferno chi uccise Gheddafi – Caro Francesco, all’inferno ci deve andare chi uccise Gheddafi
Tema: Papa Francesco

Papa Francesco sostiene giustamente che la Libia è un inferno. Ma sorvola sui diavoli che l’hanno resa tale. Noi invece abbiamo buona memoria e ricordiamo cosa accadde nella nostra ex colonia, il cui capo da diversi anni era Gheddafi, il quale bene o male aveva governato tenendo il Paese africano sotto controllo in modo assai efficace. Andreotti, Craxi e Berlusconi in particolare riuscirono ad avere buoni rapporti con il rais intessendo con lui una serie di affari d’oro, non solo in senso petrolifero. Prendiamo la questione della immigrazione. Finché il dittatore libico ebbe in mano il potere e trattò con i nostri governanti alla pari, l’Italia non ebbe molti problemi con i clandestini, che erano tenuti a bada da Gheddafi in base ad accordi diplomatici. Così per lungo tempo. II colonnello fu ospite a Roma su invito del Cavaliere, che fu criticato dai soliti progressisti nostrani per motivi suppongo ideologici. La visita del rais avvenne in un clima folcloristico, però servì a consolidare una amicizia fruttifera. Poi accadde che la Francia imbizzarrì e volle aggredire la Libia allo scopo di saccheggiarla. Su ordine di Parigi partirono bombardieri: da quel momento Gheddafi e il suo popolo furono in difficoltà e costretti a una sorta di resa.
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PRIME PAGINE

IL SOLE 24 ORE
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CORRIERE DELLA SERA
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LA STAMPA
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IL MESSAGGERO
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IL GIORNALE
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IL FATTO QUOTIDIANO
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