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SINTESI IN PRIMO PIANO – 10 aprile 2021

In evidenza sui principali quotidiani:
– Italia in arancione, da lunedì le prime riaperture
– Sostegni bis, nuovo decreto in arrivo
– Alitalia, Ita perde il marchio
– La morte di Filippo di Edimburgo

PRIMO PIANO

Politica interna

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Voltattorni Claudia 
Titolo: Italia in arancione, ecco cosa cambia – Altre sei regioni in arancione Da lunedì le prime riaperture
Tema: Italia in arancione

Da lunedì quasi tutta Italia sarà arancione. Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana e Calabria escono dalla zona rossa e si aggiungono alle arancioni Veneto, province autonome di Trento e Bolzano, Liguria, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata e Sicilia. La Sardegna diventa invece zona rossa, dopo che all’inizio di marzo e per tre settimane era stata la prima (e unica) regione bianca d’Italia con bar e ristoranti aperti anche la sera. Ma il suo indice di contagiosità è oggi il più alto del Paese — 1,554 — e anche gli altri indicatori, come la pressione sugli ospedali, preoccupano la cabina di regia di ministero della Salute e Istituto superiore di sanità che ieri ha deciso il lockdown dell’isola. Rimangono ancora in zona rossa Val d’Aosta (che registra l’incidenza di casi più alta d’Italia), Campania e Puglia. In rosso anche le province di Firenze, Prato, Palermo, Torino e Cuneo. Le ordinanze del ministro Speranza entrano in vigore lunedì e per alcune regioni, come la Lombardia, sarà un assaggio di libertà dopo un mese di zona rossa.  Ma i dati del monitoraggio settimanale della cabina di regia non possono ancora far calare l’attenzione, perché anche ieri sono stati registrati 460 morti (718 in totale con il ricalcolo dei decessi dei mesi scorsi in Sicilia), 18.938 nuovi casi e un tasso di positività salito a 5,21%. Le terapie intensive sono ancora sopra la soglia di guardia in 15 regioni su 20, però cala l’incidenza dei casi per la terza settimana consecutiva 210,8 su 100.000 contro i 232,74 della settimana precedente e anche l’Rt medio a 0,92, è sceso rispetto ad una settimana f«Le chiusure e le aree rosse stanno portando i primi risultati — dice il ministro Speranza —, ma il contesto è *** ancora molto complicato e dobbiamo essere molto prudenti».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Foschini Giuliano – Tonacci Fabio 
Titolo: Vaccini, tutto in 10 giorni “Serve una terapia d’urto” – Anziani al sicuro il governo accelera 3 milioni di vaccini in dieci giorni
Tema: vaccinazioni

Non c’è più tempo. I dati italiani sui decessi continuano ad essere i peggiori in Europa. Le terapie intensive sono congestionate da pazienti Covid-positivi ben oltre la soglia di guardia del 30 per cento dei posti disponibili. Numeri che non sono frutto del caso: la campagna vaccinale procede a velocità ridotta, i cittadini più fragili sono ancora troppo esposti. Sfioriamo le 300 mila iniezioni quotidiane quando in Francia il presidente Macron festeggia il record di 510 mila in un giorno solo e in Spagna sono arrivati a farne 453 mila. II premier Mario Draghi ha chiesto al Commissario straordinario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo un’accelerazione che assomiglia a una terapia d’urto. Abbiamo nei frigoriferi 3,2 milioni di vaccini fermi, devono essere somministrati tutti nei prossimi dieci giorni. Priorità tassativa ai più anziani. Stretta sui furbetti. E chi rifiuta la fiala AstraZeneca passa in fondo alla fila. C’è tutta l’urgenza della situazione nelle poche righe della nuova ordinanza di Figliuolo, diffusa ieri in tarda serata e inviata alle Regioni. «Procedere con la massima celerità a vaccinare coloro che risultano più vulnerabili qualora infettati dal virus», è la premessa. Quindi, nell’ordine: 1) over 80; 2) chi ha elevata fra gilità; 3) persone di età tra 70 e 79 anni e, a seguire, quelle di età tra 60 e 69 anni, «prevalentemente con AstraZeneca». L’ordinanza stringe anche le maglie delle prenotazioni, per arginare il fenomeno di chi si infila nelle categorie prioritarie.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Sarzanini Fiorenza – Trocino Alessandro 
Titolo: L’allarme per le scorte e i conti del commissario – Forniture in ritardo, Regioni in allarme: nei frigo restano tre milioni di dosi solo per i richiami
Tema: vaccinazioni

In questi giorni la campagna vaccinale sembra sempre più traballare: le scorte sono praticamente finite, ci sono tre milioni di dosi che restano in magazzino prudenzialmente per tenere una riserva per i richiami e molte regioni hanno hub, farmacisti e volontari in stand by perché manca la materia prima. Eppure, nonostante tutto, il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, il generale Francesco Paolo Figliuolo, perlustra il campo di battaglia spronando le truppe (le Regioni) e ostentando sicurezza: «Siamo in linea con il piano». I suoi dati non sembrano però combaciare con quelli delle Regioni. E dai governatori parte l’allarme. Nella sua ultima versione (prima era previsto a metà aprile), l’obiettivo è raggiungere 500 mila vaccinazioni al giorno a fine mese per arrivare a settembre a immunizzare il 70 per cento della popolazione. Giovedì sono state fatte 299 mila somministrazioni. Come recuperare le 200 mila che mancano? Ecco i calcoli del commissario. Le dosi previste da contratto per aprile sono 8 milioni, alle quali Figliuolo assicura che si aggiungerà un 15-20 per cento in più. A queste bisogna sommare le dosi consegnate a inizio aprile, relative al primo trimestre, e non ancora usate: il totale delle dosi disponibili ad aprile, dunque, dovrebbe essere di 12 milioni circa. Dal 1° all’8 aprile sono state fatte 1,9 milioni di vaccinazioni. Sottraendo 1,9 da 12 milioni, si hanno 10,1 milioni. Dividendo per 22  giorni, la media farebbe 460 mila circa al giorno. Ma ora siamo, come abbiamo visto, a 300 mila circa. Quindi a fine mese la disponibilità dovrebbe consentire, nell’ultima settimana, di avere 500 mila dosi al giorno.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Russo Paolo 
Titolo: Vaccini, verso il rinvio delle seconde dosi – Vaccini, Figliuolo conferma: “Subito gli anziani” È stallo sulla proposta di rinviare i richiami
Tema: vaccinazioni

Alla fine l’attesa ordinanza del generale Figliuolo inviata in nottata alle Regioni non si discosta di una virgola dall’ultima versione del piano vaccinale del governo, se non fosse per il fatto che questa volta a impartire l’ordine ai governatori è un commissario con stellette e mostrine. L’ordine di priorità resta infatti: vaccinare «prevalentemente con AstraZeneca» gli over 80, poi i due milioni di estremamente vulnerabili, compresi familiari conviventi e caregiver, a seguire le persone di età compresa tra 70 e 79 anni, infine quelli tra 60 e 69. Con l’indicazione di completare in parallelo l’immunizzazione già avviata del personale sanitario e socio sanitario. Precisando che le dosi vanno riservate a chi tra loro è «in prima linea nella diagnosi, nel trattamento e nella cura del Covid-19 e che opera in presenza presso le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private». Il generale sa bene che il nodo era e resta sempre quello della fascia di età 70-79 anni, colpita dal più alto tasso di mortalità ma con solo il 16% ad aver ricevuto la prima dose e appena il 2,3% il richiamo. In tutto quasi 5 milioni di anziani da immunizzare che diventano sei e mezzo con gli over 80 che devono ancora fare la puntura. Anche se il data base del ministero della Salute rivela che con gli oltre 8 milioni di dosi previste in consegna questo mese si potrebbero vaccinare tutti. Se le Regioni privilegeranno d’ora in avanti i nonni nelle vaccinazioni. Intanto i super esperti più vicini a Draghi e Speranza si dividono su una mossa che potrebbe dare una bella accelerata alla campagna vaccinale. A lanciare l’idea è il coordinatore del Cts, Franco Locatelli: «Ci sono dati che indicano come sia possibile allungare l’intervallo da 21 a 42 giorni per il richiamo del vaccino Pfizer senza perdere l’efficacia della copertura vaccinale. E questo consentirebbe di incrementare il numero delle persone che possono ricevere la prima dose».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Martini Fabio 
Titolo: Intervista a Stefano Bonaccini – “Oggi nelle Regioni mancano i vaccini in sei anni ho tenuto uniti i governatori
Tema: vaccinazioni

Per il governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini «è sempre più evidente che a mancare sono i vaccini più che l’organizzazione. C’è un piano vaccinale ed è nazionale. Ho appena concluso un sopralluogo agli hub vaccinali di Bologna e Ferrara insieme al generale Figliuolo e al capo della Protezione civile Curcio: entrambi hanno potuto apprezzame l’efficienza, la coerenzadel lavoro rispetto alle priorità indicate dal governo, l’entusiasmo e la professionalità di operatori sanitari e volontari. Non dimentichiamoci che all’Italia è stato consegnato il 60% in meno dei vaccini previsti: qui a doversi fare un esame di coscienza serio sono le multinazionali farmaceutiche. In Emilia-Romagna di clientelare non c’è proprio niente». Cinquantaquattro anni, emiliano di Campogalliano Bonaccini ha lasciato al presidente del Friuli Venezia Giulia, il leghista Massimiliano Fedriga, la presidenza della Conferenza Stato-Regioni, incarico che aveva assunto nel 2015 e che ha mantenuto anche in anni più recenti quando i governatori di centrodestra erano schiacciante maggioranza. Bonaccini aveva da tempo messo il suo mandato a disposizione mail presidente dell’Abruzzo Marsilio ha bruscamente chiesto a Bonaccini di lasciare il suo incarico.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Palmerini Lina 
Titolo: Politica 2.0 – Draghi e i partiti: tre sfide con vista sul Quirinale
Tema: tenuta governo

Basta leggere il numero delle vittime di ieri per capire che la strada è ancora in salita. È vero che tra i 718 morti sono stati aggiunti quelli dei giorni scorsi e che – probabilmente – abbiamo toccato il plateau ma il peso dei decessi resta alto. Non c’è stata, finora, la svolta attesa tant’è che Draghi ha convocato una conferenza stampa – l’altroieri – in cui ha messo all’indice le Regioni che non danno priorità agli anziani e stanno trattando la campagna di vaccinazione quasi come fosse una campagna elettorale. Favori a corporazioni e amici messi nella categoria “Altro” dove, a oggi, su 12 milioni di vaccinati, sono stati inseriti quasi 2 milioni e mezzo a vario titolo. E dunque il succo di quell’incontro voluto dal premier con i giornalisti era di dare una scossa al sistema regionale e darla pure ai partiti che governano i territori e non possono sentirsi estranei rispetto a ritardi e abusi. Ecco in questa fase, sembra che il rapporto con le forze politiche sia diventato un po’ meno laterale per Draghi, forse perché ha preso atto di un’iniziale debolezza nell’interlocuzione con loro. E quello di cui ha bisogno è di non subirli come invece stava accadendo con Salvini. È stato questo il senso della sua difesa a Speranza – «lo stimo» – contro gli attacchi del capo leghista in cui si è ripreso il ruolo di premier consapevole che deve anche orientare una dialettica politica visto che nelle prossime due settimane si gioca un pezzo di credibilità. Così tra ieri e giovedì ha avuto una serie di faccia a faccia: prima Salvini e Bersani, ieri Letta ma pure il commissario Ue Gentiloni con cui ha parlato della campagna di vaccinazione in Europa e di Next Generation Eu per il rilancio economico.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Verderami Francesco 
Titolo: Settegiorni – Perché Draghi (a sorpresa) convince anche i sovranisti – Europa e politica internazionale La linea del premier convince (anche) i sovranisti
Tema: governo e sovranisti

La destra di governo, e per alcuni aspetti persino quella di opposizione, si identifica nell’azione di Draghi, riconosce in certi suoi discorsi lo sdoganamento di alcune loro parole d’ordine. E finisce per testimoniarlo. È vero, c’è un punto di divergenza, e non è di poco conto. E’ legato alla questione delle riaperture, che sta mettendo in difficoltà Salvini con il suo elettorato e con la sua rivale per la leadership nella coalizione. Ma per ora il capo del governo — che deve fare i conti con il virus — non può concedere al segretario della Lega una data certa per la ripartenza. Anche se l’intero centrodestra ha apprezzato la scelta di palazzo Chigi di sostituire Arcuri con Figliuolo per fronteggiare l’emergenza, preferendo al maglioncino (e alla gestione) del manager la divisa (e il piano) del generale, che mette paura a certi intellettuali di sinistra. Ma è soprattutto sull’Europa che i sovranisti stanno abbracciando Draghi, per il modo in cui ha avvertito Bruxelles a cambiare registro, «o per i vaccini bisognerà andare per conto proprio». Per quanto i commenti di Salvini e Meloni siano a tinte forti, c’è una certa assonanza tra le loro critiche all’Ue e il giudizio tagliente del premier sui contratti «leggeri» firmati con le Big Pharma: «I prossimi andranno fatti meglio». Non sarà una linea conflittuale, ma è una postura non convenzionale che piace al centrodestra, perché si riflette anche sulla trattativa con la Commissione per il rilancio di Alitalia. Ad affascinare i sovranisti è l’idea che — grazie a Draghi — l’Italia abbandona I panni dell’Italietta, eterno vaso di coccio tra vasi di ferro a Bruxelles, e terra di conquista di potenze straniere.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Cremonesi Marco – Falci Giuseppe_Alberto 
Titolo: Asse Letta-Salvini «Opposti, ma uniti per il governo» – Letta-Salvini, l’incontro della tregua «Tifiamo insieme per il governo»
Tema: asse Pd-Lega

Nel giorno in cui Enrico Letta incontra Mario Draghi, il segretario del Pd blinda l’esecutivo insieme a Matteo Salvini. Con un’ora e un quarto di faccia a faccia il cui senso è: «Non facciamoci del male». L’idea è che sia Letta che Salvini condividano, almeno per un po’, le sorti: «II successo dell’uno è il successo dell’altro» osserva un leghista. Salvini la dice così: «Entrambi abbiamo interesse perché il governo Draghi sia un successo per l’Italia e gli italiani». In realtà, il faccia a faccia era nell’aria da giorni, ma gli impegni di entrambi (o le rispettive tattiche) l’avevano ritardato. Fino a un whatsApp di ieri mattina che fissa l’incontro nella sede dell’Arel, il centro studi fondato da Beniamino Andreatta. Osserva Letta: «Con la Lega andremo alle elezioni su fronti contrapposti ma in questo momento insieme sosteniamo il governo Draghi, tifiamo per il governo Draghi per far uscire l’Italia dalla pandemia con i vaccini e la ripresa economica». Il perno del patto è il decreto che aiutera la ripartenza delle imprese. Salvini lo sottolinea: «Si chiamerà decreto imprese». L’accordo si rafforza dopo che Letta, nel pomeriggio, incontra il premier Mario Draghi. Un colloquio «lungo e approfondito» in cui il segretario dem illustra al premier la proposta di decreto figlia dell’accordo con Salvini. Poi, il capo del governo e il segretario pd affrontano il tema dello stato di salute della coalizione. II segretario del Nazareno garantisce: «Cercheremo sempre il terreno della responsabilità nazionale». E quello che aveva discusso poco prima con Salvini: «Fermi restando che siamo su fronti contrapposti, oggi è il momento della tregua, oceorre individuare le priorità e sostenerle con forza». Spiega Salvini: «Abbiamo parlato dei temi su cui c’è accordo: salute, decreto impresa, lavoro. Se mettiamo gli elementi divisivi sul tavolo non facciamo un bene al Paese». Come dire che di ius soli e legge Zan non si parlerà più? Nella Lega ostentano convinzione, nel Pd molto meno. ì
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Lopapa Carmelo – Vitale Giovanna 
Titolo: L’intesa Letta-Salvini sugli aiuti alle imprese “Ma restiamo agli opposti”
Tema: asse Pd-Lega

Un gioco di sponda con Mario Draghi per “imbrigliare” Matteo Salvini, mettere al riparo il governo dalle incursioni leghiste che rischiano di destabilizzarlo, velocizzare le misure a sostegno di imprese e lavoratori piegati dalla pandemia. Prende corpo la strategia di Enrico Letta — che ieri ha incontrato prima il segretario del Carroccio, quindi il presidente del Consiglio. Draghi il giorno precedente aveva a sua volta visto Salvini — coll’intento di fare del Pd l’architrave dell’esecutivo di salvezza nazionale voluto da Mattarella, nonché l’argano in grado di tirar fuori il Paese dal buco nero in cui il Covid l’ha precipitato. Il tutto, in triangolazione con Paolo Gentiloni, il commissario europeo in visita in mattinata a Palazzo Chigi per discutere col premier di crisi economica e Recovery plan, vera occasione di ricostruzione per l’Italia. Gli stessi temi del confronto pomeridiano Letta-Draghi, incentrato sulle tre priorità dem: giovani, donne e Sud, in una cornice di sostenibilità sociale e ambientale. È questo lo spirito che nelle ultime settimane ha portato l’inquilino del Nazareno faccia a faccia con tutti i leader politici — da Conte e Di Maio a Renzi, Tafani e Meloni — lasciando per ultimo proprio il capo della Lega, il più refrattario ai rapporti istituzionali su cui invece Letta intende insistere per rafforzare l’azione riformatrice del governo. Un lavoro di tessitura che non poteva certo prescindere dalla “tregua” con l’ex ministro dell’Interno siglata a mezzogiorno all’Arel, il centro studi fondato da Beniamino Andreatta, dove il primo colloquio a quattrocchi tra i due è filato via senza slanci né intoppi. Entrambi d’accordo sul fatto che le sorti dei rispettivi partiti dipendono dai risultati del Gabinetto Draghi: «Sul piano ideologico siamo agli antipodi, ma sui temi concreti ci possiamo ritrovare», la riflessione comune, «in questa vicenda ci mettiamo la faccia, è chiaro che la vittoria dell’esecutivo sarebbe anche una vittoria dei nostri partiti». Da qui l’impegno a darsi da fare innanzitutto per sostenere cornpartite Iva e artigiani messi in ginocchio dalla crisi: un mondo che sta molto a cuore al Pd, non solo alla Lega.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Franco Massimo 
Titolo: La Nota – Convergenza obbligata da Covid ed economia
Tema: asse Pd-Lega

Sentire usare a Enrico Letta e Matteo Salvini l’avverbio «insieme» è abbastanza raro. Eppure, i segretari del Pd e della Lega ieri hanno siglato qualcosa che somiglia a una tregua. Non perché si stiano avvicinando politicamente o pensino di allearsi. Prosaicamente, prendono atto che debbono andare d’accordo perché i loro partiti sono entrambi nel governo di Mario Draghi. E fino a quando la pandemia del coronavirus non sarà arginata, e Palazzo Chigi non aiuterà le imprese a risollevarsi, andare avanti senza azzuffarsi diventa obbligato. Si tratta insomma di una presa d’atto della fase d’emergenza che attraversa il Paese; e dell’esigenza di non contribuire all’incertezza con polemiche politiche che suonerebbero incomprensibili. Non è dato sapere se l’impegno preso da Letta e Salvini reggerà all’urto delle prossime settimane Ma è la conferma di un impegno a non creare problemi artificiosi al governo. Alle elezioni, quando ci saranno, Pd e Lega saranno sui fronti opposti. Ma oggi, ha ribadito Letta, «tifamo per il successo del governo Draghi». Si nota una convergenza perché siano dati quanto prima «aiuti al mondo dell’economia e alle piccole imprese», ha spiegato il segretario dei Pd, che nel pomeriggio ha visto Draghi. Lo stesso Salvini, che pure nei giorni scorsi non aveva lesinato critiche all’esecutivo per le chiusure e le restrizioni della libertà di movimento, ha cambiato tono.
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Economia e finanza

Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mobili Marco – Trovati Gianni 
Titolo: Sostegni bis: nuovo decreto in arrivo Criteri invariati, ma più fondi ai piccoli – Sostegni bis, criteri uguali ma più aiuti ai piccoli
Tema: aiuti alle imprese

Il bis dei «sostegni» prova ad accelerare e soprattutto a evolversi. Con l’obiettivo di aiutare di più le piccole partite Iva e i settori più colpiti dalla crisi, e di cominciare a guardare alla ripresa introducendo misure più selettive su fronti caldi come il rinvio dei pagamenti fiscali, il blocco dei licenziamenti e quello degli sfratti. Lo spiega Claudio Durigon, il sottosegretario leghista all’Economia chiamato anche a gestire in prima persona la pioggia di emendamenti in arrivo (se ne attendono più di 3mila) al primo «Dl sostegni» ora al Senato. La sua replica è destinata a superare i 32 miliardi di deficit movimentati dal primo provvedimento, per attestarsi almeno a quota 35 miliardi (ma non è per nulla escluso che si arrivi in zona 40 miliardi). In discussione, oltre alla cifre, resta anche il calendario: quello ufficiale prevede Def e scostamento in Aula il 22 aprile, con la delibera in consiglio dei ministri la settimana prossima, e un via libera al nuovo decreto intorno al 24 aprile. Anche se questa corsa desta per ora qualche perplessità al Mef. A Palazzo Chigi si punta ad accorciare i tempi per dare risposte il prima possibile alle tante categorie al centro di una sofferenza che si sta trasformando in fretta in tensione sociale. E la risposta, prima di tutto, è rappresentata dal nuovo giro di aiuti. «Va sottolineata la grande efficienza dell’impianto costruito con Sogei e agenzia delle Entrate – spiega Durigon – che ha permesso di far partire i pagamenti giovedì scorso. Cambiare criterio, per parametrare per esempio gli aiuti sui costi fissi, significherebbe allungare i tempi e chiedere ai diretti interessati nuovi dati non sempre facili da raccogliere. Ma in questa fase il tempo ha un valore».
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Testata:  Stampa 
Autore:  Baroni Paolo 
Titolo: Sostegni, in Lombardia il record di domande il turismo incassa più di tutti, autonomi in coda
Tema: aiuti alle imprese
Il commercio, i bar e i ristoranti e il turismo la fanno da padroni. Gli autonomi presentano una valanga di domande ma raccolgono poco. La Lombardia ha il record di richieste, quasi 100 mila (16,4%), ma a livello provinciale a svettare è Roma con 54.262; in coda Udine con appena 9 domande, peraltro liquidate con la somma minima di mille euro. Il Nord produttivo, dove la densità di imprese ed il numero di partite Iva sono più alti, e le regioni del Mezzogiorno, dove si contano più attività individuali e di piccolo taglio, e in generale tutte le aree dove la crisi morde di più, si dividono il grosso dei rimborsi previsti dal decreto Sostegni varato dal nuovo governo. Le città turistiche spuntano i contributi più alti, le professioni autonome quelli più bassi. È questa la fotografia che esce analizzando in dettaglio la prima ondata di bonifici relativi ai nuovi indennizzi a fondo perduto che partite Iva, professionisti e imprese si troveranno bonificati in conto corrente in questi giorni. In tutto 604.534 istanze di pagamento per un totale di 1,9 miliardi. Quasi la metà di questo primo tesoretto va al settore del commercio, a bar e ristoranti ed al turismo, a riprova che questi sono i settori più colpiti dalla crisi. Ben 421 milioni (22%) del totale vanno alle attività di alloggio e ristorazione, che in tutto nella prima settimana ha presentato 89.943 domande e riceveranno un assegno di 4.682 euro contro una media nazionale di 3.156. Al commercio, sia ingrosso che dettaglio, vanno altri 397,2 milioni (20,8%) a fronte di 123.169 richieste (assegno medio 3.244 euro).
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Fiammeri Barbara 
Titolo: Recovery, per Draghi e Gentiloni priorità accelerare le procedure
Tema: Recovery
Il passaggio a Palazzo Chigi di Paolo Gentiloni è stato reso noto solo dopo che il colloquio con Mario Draghi si era concluso. Il faccia a faccia tra il presidente del Consiglio e il commissario per gli Affari economici della Ue è durato circa un’ora. Un tempo sufficiente per fare il punto tanto sul fronte italiano che su quello europeo dell’«attuale situazione economica». Le prossime settimane saranno decisive a Roma come a Bruxelles. Le incognite sulla campagna vaccinale restano e si proiettano sulle prospettive di ripresa del continente. Ma per l’Italia ce ne è una in più ed è la realizzazione del Recovery plan. Draghi e il commissario europeo parlano la stessa lingua. «Dobbiamo cambiare tutto», ha detto il premier giovedì alle Regioni e lo stesso ha ripetuto in conferenza stampa facendo riferimento alle modalità, ai meccanismi, alle pastoie burocratiche che nel corso dei decenni hanno minato la «credibilità» dell’Italie sulla capacità di realizzare gli investimenti. «Ora dobbiamo recuperarla», ha ammonito il premier, ricordando che ci sono centinaia di miliardi appostati in bilancio e rimasti inutilizzati. Un concetto che con parole quasi identiche – «servono nuove procedure, leggi che consentano di accelerare gli investimenti» – più volte ha ribadito anche Gentiloni. La preoccupazione di entrambi è sulla capacità di realizzare gli obletrivi e i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il tempo stringe e il Piano è tutt’altro che definito.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Bisozzi Francesco – Cifoni Luca 
Titolo: Tagli al Recovery spese in eccesso per 30 miliardi – Nel Recovery dei ministeri trenta miliardi di troppo
Tema: Recovery

Il numero lo ha fatto direttamente il Ragioniere generale dello Stato, uscendo per una volta dalla sua tradizionale riservatezza: le richieste dei ministeri in vista del Recovery Plan, ha detto Biagio Mazzotta, superano di 30 miliardi le risorse disponibili. Per eliminare o ridimensionare i programmi in eccesso ci sono venti giorni o anche qualcosa di meno, visto che il presidente del Consiglio ha intenzione di portare a Bruxelles il documento finale con uno o due giorni di anticipo rispetto alla scadenza fissata a fine mese. L’ultimo passaggio in Parlamento è previsto per il 26-27 e a quel punto il testo sarà già completato e messo in bella copia, con tanto di cronoprogrammi e schede di dettaglio. Il ministro dell’Economia aveva già fatto sapere che una parte delle voci scartate potranno essere comunque finanziate in altro modo: quindi con fondi europei ordinari, con nuovi stanziamenti del bilancio dello Stato, ma anche attraverso il recupero di voci già destinate in precedenza ad esempio alle Infrastrutture, che possono essere dirottate su obiettivi differenti. Va detto che la suddivisione della spesa totale tra i vari ministeri può non essere univoca, visto che alcuni voci sono trasversali ai progetti: se si parla di digitalizzazione della pubblica amministrazione ad esempio ci sono progetti che coinvolgonp sia il dicastero guidato da Brunetta che quello di Colao. Il principale criterio che guiderà la selezione delle voci sarà quello dell’aderenza ai vincoli – piuttosto rigidi – dell’operazione Next Generation Eu. L’obiettivo è evitare che parti del Piano nazionale di ripresa e resilienza vengano bocciate da Bruxelles, con conseguente rischio di perdere le relative risorse. D’altra parte come evidenziato da vari ministri i contatti informali con la commissione sono praticamente quotidiani e dunque i vari capitoli vengono aggiustati in corso d’opera, per poter risultare immediatamente operativi.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Monticelli Luca 
Titolo: La Corte dei Conti boccia il condono “Spinta a evadere”
Tema: condono

Si riaccende lo scontro sullo stralcio delle cartelle esattoriali. Dopo gli attacchi di Cgil, Cisl e Uil al condono inserito nel Decreto Sostegni, arrivano le critiche di Banca d’Italia, dell’Ufficio parlamentare di bilancio e della Corte dei Conti. La sanatoria fu il primo grande motivo di tensione all’interno del governo Draghi e obbligò il premier a una lunga e delicata mediazione per rompere lo stallo che si era creato tra due schieramenti: Lega e Movimento 5 stelle da una parte, Pd e Leu dall’altra. Il braccio di ferro però continua perché l’anima gialloverde dell’esecutivo spinge per ampliare la platea dei beneficiari mentre la sinistra punta a una riforma della riscossione. Il provvedimento del 22 marzo sui ristori prevede l’eliminazione delle sanzioni per le irregolarità riscontrate nelle dichiarazioni del 2017 e del 2018 delle partite Iva che abbiano subito un calo del fatturato di almeno il 30 per cento nel 2020. E, soprattutto, l’annullamento delle cartelle fino a 5 mila euro relative al periodo tra il 2000 e il 2010, peri soggetti con reddito inferiore a 30 mila euro. Norme, spiega Bankitalia nella memoria sul Decreto Sostegni depositata in occasione dell’esame del Senato, che «si prospettano come condoni, con le connesse conseguenze in termini di incentivi negativi per l’affidabilità fiscale degli operatori economici e disparità di trattamento nei confronti dei contribuenti onesti». Severo il giudizio della Corte dei Conti che teme «una spinta all’evasione». Secondo la Corte il beneficio viene «erogato a un vastissimo numero di soggetti, molti dei quali presumibilmente non colpiti sul piano economico dalla crisi, generando disorientamento e amarezza per coloro che pagano». La sanatoria ha un impatto anche sui conti dell’Inps. Il presidente dell’Istituto, Pasquale Tridico, quantifica in due miliardi il buco legato ai contributi previdenziali evasi.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Tria Giovanni 
Titolo: Bussola & timone – Minimum tax globalizzata per il dopo pandemia – Una minimum tax globalizzata per il dopo pandemia
Tema: tassazione internazionale

La proposta avanzata dalla nuova amministrazione americana sulla riforma del sistema di tassazione internazionale delle società (corporate tax) potrebbe sbloccare una trattativa internazionale che va avanti da vari anni e che punta a due obiettivi principali. Il primo è sottoporre i profitti dei giganti del web, che sono prevalentemente americani, a tassazione nei Paesi in cui operano e in cui realizzano i loro profitti. Il secondo è rispondere alle tecniche di competizione fiscale aggressiva adottate da alcune giurisdizioni a danno di altre e frenare in tal modo la corsa al ribasso nella tassazione delle società multinazionali che si spostano nei Paesi che offrono le aliquote più basse. Ai due obiettivi corrispondono i due pilastri della riforma in corso di negoziazione e il cui disegno era demandato all’Ocse. Il primo pilastro implicava cambiare in parte il principio adottato nella tassazione internazionale secondo il quale le società sono tassate nel luogo di produzione e, quindi, nei Paesi dove sono collocate le loro attività fisiche di produzione. Il problema della tassazione dei giganti del web, o di altre società tecnologiche, è che queste svolgono attività nei vari Paesi senza avere asset tangibili. Per tassarle è quindi necessario superare il principio generale e determinare in altro modo dove producono ricavi e profitti pur non avendo attività fisiche individuabili. Sostanzialmente significa rivoluzionare il principio vigente e tassare le società dove “vendono” i loro servizi, in pratica adottare una tassa sulle vendite e non sulla produzione. Questa era, ed è, sostanzialmente la proposta eureopea, o almeno di parte dei Paesi europei, alla base della web tax già timidamente adottata in alcune giurisdizioni, tra cui quella italiana.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Colombo Davide 
Titolo: Tridico: dopo Quota 100 puntare sugli anticipi per i lavoratori fragili
Tema: previdenza

Alla fine dei primi tre mesi dell’anno le domande di pensionamento agevolato con “Quota 100” accolte dall’Inps sono state 286mila in termini cumulati, ovvero dall’inizio della sperimentazione partita nel 2019. Per oltre il 70% dei casi i beneficiari sono uomini, a conferma della forte penalizzazione di genere implicita in questa forma di anticipo pensionistico il cui termine è a fine 2021. Le adesioni sono circa la metà del previsto, ha confermato ieri il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. E la spesa finora sostenuta è di 1,8 miliardi nel 2019 e 4,8 miliardi nel 2020, mentre per l’anno in corso non si dovrebbe andare oltre 14,2 miliardi. Tridico ha affermato che per il dopo “Quota 100”, piuttosto che pensare a nuovi “scalini” bisognerebbe invece pensare ad un’uscita anticipata per i lavoratori “fragili”, gli immunodepressi o gli oncologici. E poi si dovrebbe pensare a un prepensionamento per i disoccupati espulsi dalla crisi. «Per questi ultimi anziché a 63 anni stare in Naspi – ha detto – probabilmente si potrebbe pensare a un prepensionamento». È vero che servono risorse – ha continuato – ma «dipende dalla platea che si deve proteggere, una platea circoscritta a lavoratori fragili non è eccessiva, non mette a rischio alcunché, sicuramente è inferiore al quotisti di “Quota 100”: qualche decina di migliaia di interessati, non c’è una stima di copertura ma l’ordine di grandezza rispetto a Quota 100, che interessa 250-300mila persone, è di qualche decina di migliaia per i fragili».
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Cillis Lucio – D’Argenio Alberto 
Titolo: Alitalia, pronto l’accordo con la Commissione Ue Ma il marchio va all’asta
Tema: Alitalia
Alitalia, è l’ora del disgelo con l’Unione europea. La trattativ avrebbe imboccato la strada giusta ed è probabile che la soluzione possa giungere già nei primi giorni della prossima settimana. I tecnici di Bruxelles stanno analizzando la nuova offerta inviata dal governo italiano mentre a inizio settimana il Tesoro manderà ulteriori dettagli tecnici agli esperti della Commissaria Ue Margrethe Vestager. La prossima settimana, a quanto si apprende a Bruxelles (probabilmente già da martedì) partirà una trattativa a oltranza per chiudere. Una volta siglato l’accordo informale, il ministero dell’Economia notificherà il progetto Ita alla Commissione che dopo qualche giorno, tra fine aprile e inizio maggio, prenderà quattro decisioni che – se tutto andrà da copione – permetteranno alla nuova compagnia di decollare. In particolare riconoscendo la discontinuità tra la vecchia e la nuova compagnia di bandiera. Al momento, l’unico rischio potrebbe essere rappresentato da un’opposizione dei sindacati o dell’amministrazione straordinaria di Alitalia. Ita sarà così la nuova linea aerea nazionale mentre cala il sipario su Alitalia. Il primo sacrificio riguarda il brand Alitalia: dopo 75 anni di vita se ne va in pensione, o meglio, in stand by. La nuova compagnia si chiamerà Ita e spariranno o saranno modificati sia il logo sia il vecchio nome, anche se non viene preclusa la possibilità di partecipare alla gara per riconquistare il nome. Nella lettera di Roma sono descritte le proposte di tagli per la flotta: sarà ridotta del 41% per un totale di 43-45 aerei, partendo dalla base attuale di 103-110 velivoli. I dipendenti saranno il 26% di quelli oggi in forza alla Alitalia in liquidazione: avranno un nuovo contratto e passeranno una selezione.
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Testata:  Messaggero 
Autore:  Mancini Umberto 
Titolo: Niente più Alitalia Ita perde il marchio ma si tiene gli slot – Ita abbandona il marchio Alitalia ma salva molti degli slot a Linate
Tema: Alitalia
Scomparirà la “A” tricolore di Alitalia dalla coda degli aerei di Ita. Ma la nuova compagnia guidata da Fabio Lazzerini manterrà una buona fetta di slot a Milano-Linate, potrà contare su 3 miliardi di risorse finanziarie e su 60 aerei, almeno in questa prima fase. Il taglio degli slot, la linfa vitale dei permessi per volare, sarà infatti solo del 7-9 per cento. Sono i primi punti fermi nella trattativa con Bruxelles che si stanno delineano in queste ore e che consentiranno al vettore nazionale di decollare ufficialmente, come chiesto dal premier Mario Draghi, il primo luglio. Lo schema dell’intesa in itinere prevede la rinuncia non certo indolore allo storico brand che dalla fondazione caratterizza aerei, divise e identifica una delle più antiche compagnie europee. Sul punto la commissaria Margrethe Vestager non ha voluto sentire ragioni e, come già accaduto per Sabena e German Wings, ha chiesto e ottenuto una forte discontinuità con il passato. Una richiesta, va detto, che non ha preso in contropiede Ita che dispone di un piano B pronto da tempo, con un nuovo logo «I» e i colori tradizionali della bandiera italiana, da proporre al mercato. Il passo indietro sul brand, ma un piccolo spiraglio per mantenerlo ancora esiste finche l’accordo non sarà chiuso, ha messo la trattativa su un binario più scorrevole.
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Societa’, istituzioni, esteri

Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Basso Francesca – Ricci Sargentini Monica 
Titolo: Turchia e Ue spengono lo scontro Il gelo tra von der Leyen e Michel
Tema: Italia-Turchia

Abbassare i toni. Sembra essere questo l’atteggiamento dopo che Mario Draghi aveva definito Recep Tayyip Erdogan un «dittatore». Giovedì sera Ankara aveva chiesto all’ambasciatore italiano Massimo Gaiani, convocato in fretta e furia al ministero degli Esteri, «d’immediato ritiro» delle «dichiarazioni populiste e inaccettabili» sul presidente turco. Ma ieri le scuse non sono arrivate. Draghi non è più tornato sull’argomento. E Erdogan, nella sua unica uscita pubblica di giornata, all’inaugurazione di un museo a Istanbul, ha parlato d’altro. Sceglie una risposta diplomatica la Commissione europea: «Non spetta all’Ue quaiificare un sistema e una persona. La Turchia è un Paese che ha un Parlamento eletto e un presidente eletto», ha detto un portavoce, sottolineando pero «una serie di preoccupazioni, che riguardano la libertà di espressione, i diritti fondamentali, il sistema giudiziario» e ricordando la cooperazione «in molti settori». Nessuna dichiarazione dalle principali cancellerie d’Europa. «Non commentiamo affermazioni di capi di Stato e di governo», spiega da Berlino la portavoce di Angela Merkel. Il premier Draghi e stato, di fatto, l’unico leader Ue a difendere pubblicamente la presidente Ursula von der Leyen, umiliata da Erdogan. E il presidente Charles Michel sta pagando il suo comportamento nel Sofagate (l’avere occupato l’unica sedia preparata accanto a Erdogan durante la visita ad Ankara). I tentativi di sentire von der Leyen sono andati a vuoto e fino a ieri non erano previste telefonate tra i due presidenti.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Pelosi Gerardo 
Titolo: Nessun contatto Draghi-Erdogan Ma le diplomazie sono al lavoro
Tema:-Italia-Turchia

Le diplomazie italiana e turca sono ora al lavoro ma che il clima non sia dei migliori lo ha capito benissimo Il nostro ambasciatore in Turchia, Massimo Gaiani, convocato «con un breve preavviso» giovedì sera dal viceministro degli Esteri turco e direttore degli Affari Ue, Faruk Kaymakd il quale ha subito chiesto che «siano ritirate le inaccettabili dichiarazioni del presidente del Consiglio italiano». Nessun contatto diretto vi è stato nel frattempo tra Draghi ed Erdogan. Quest’ultimo aveva tra l’altro espresso l’intenzione di venire a Roma l’11 giugno per la partita inaugurale degli Europei Turchia-Italia. Il rischio è che Ankara replichi con l’Italia i toni ultimativi usati con la Francia mesi fa richiamando l’ambasciatore turco. Ma anche Roma ha interesse a ricucire per questioni bilaterali e per il lavoro comune sulla stabilizzazione e sicurezza nel Mediterraneo orientale, a cominciare da Siria e Libia, dove i turchi sono pur sempre íl Paese che ha evitato la distruzione di Tripoli per mano di Haftar e dei russi.
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Testata:  Sole 24 Ore 
Autore:  Mancini Giovanna 
Titolo: Legami da oltre 15 miliardi
Tema: Italia-Turchia

Macchinari industriali, automotive, tessile-abbigliamento e lavorazione alimentare. Ma anche prodotti chimici e industria del servizi, in primis quella bancaria. La presenza di imprese italiane in Turchia, in termini sia di interscambio commerciale, sia di attività produttive, è radicata e importante, con oltre 1500 imprese italiane attive e investimenti diretti che nel 2018 hanno raggiunto 1523 milioni di euro. Attratti in questi anni soprattutto dalla presenza nel Paese di una manodopera giovane e molto qualificata, a costi contenuti rispetto alle medie Ue. In territorio turco operano, direttamente o attraverso società controllate, alcuni tra i principali gruppi della nostra industria, tra cul Sallni-WeBuild, Astaldi, Barilla, Ferrero, Benetton, Ermenegildo Zegna, Luxottica, Piaggio, Iveco, Stellantis, Intesa Sanpaolo e Unicredit. Fiat ad esempio è presente in Turchia dal 1969, quando, con il gruppo turco Koc, diede vita alla Tofas, società a capitale misto per l’assemblaggio di autovetture, con stabilimento in Anatolia e sede a Istanbul. Attualmente è l’unica presenza Stellantis nel Paese, occupa circa 900mila dipendenti e ha una capadtà produttiva che si aggira sul mezzo milione di veicoli all’anno. Secondo gli ultimi dati forniti dall’agenzia Ice (elaborati su base Istat), l’interscambio tra i due Paesi ammontava, prima della pandemia, a quasi 18 miliardi (con 8,3 di esportazioni italiane verso Ankara e 9,4 di importazioni), mentre lo scorso anno è sceso a poco più di 15 miliardi, con un crollo delle importazioni (-21,2%) superiore a quello delle esportazioni (-74%). Le relazioni commerciali tra i due Paesi restano tuttavia importanti: la Turchia è uno dei died Paesi in cui si prevede la crescita maggiore dell’export di made in Italy nel prossimo biennio.
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Testata:  Stampa 
Autore:  Sforza Francesca 
Titolo: Il retroscena – La linea Draghi traccia nuovi scenari In gioco gli interessi nel Mediterraneo
Tema: Italia-Turchia

Oltre agli americani, tradizionalmente su questa posizione, il premier Draghi incontra il sostegno dell’opinione pubblica e dell’intero arco parlamentare italiano e ieri ha anche incassato il sostegno del Ppe, che con Manfed Weber ha dichiarato: «Con la Turchia meglio parlare chiaro e togliere dal tavolo la procedura di allargamento dell’Unione». Tutto bene dunque? Insomma, perché i nostri interessi con la Turchia ammontano al momento a circa 20 miliardi di interscambio l’anno — ambienti vicini a Leonardo vedevano in bilico, ieri, la commessa per l’acquisto di 15 elicotteri, tanto per cominciare — e poi ci sono i nostri interessi geopolitici nel Mediterraneo. Negli ultimi anni, a fatica, con la tecnica di due passi avanti e uno indietro, l’Italia era comunque riuscita a ritagliarsi uno spazietto strategico nell’area, che con la Libia da ricostruire aveva i margini per diventare più largo. L’imperfetto però a questo punto è d’obbligo, perché in quella zona sono due i Paesi con cui bisogna dialogare: uno è l’Egitto — con cui i rapporti sono congelati per via del caso Regeni—e l’altro è la Turchia. I sostenitori della linea moderata, che tradizionalmente sul dossier turco dimorano al Ministero degli Esteri, hanno già cominciato a mettere sul tavolo possibili soluzioni. Ma anche lì, si fatica a trovare una traiettoria, almeno stando a una delle poche dichiarazioni rilasciate: «Coordineremo tutte quelle iniziative che si devono coordinare», ha detto il ministro Di Maio nel corso di una trasmissione tv.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Ippolito Luigi 
Titolo: Addio a Filippo, sempre un passo dietro la regina – Il «guardiano» della famiglia reale Tra gaffe e istinto per la modernità
Tema: la morte di Filippo di Edimburgo

Sempre un passo indietro: per tutta la sua vita. Questo è stato il destino di Filippo, consorte di Elisabetta: compagno della regina, ma non suo pari. Un ruolo che il duca di Edimburgo  ha sempre interpretato con rispetto e dignità: ma anche con la libertà concessa a chi non portava il peso della corona sul capo. Principe delle gaffe, per certi versi, se si ricordano tutte le sue uscite sopra e fuori le righe: che poi gaffe non erano, ma piuttosto la maniera di esternare l’inevitabile insofferenza per le costrizioni cui veniva sottoposto. Ma anche principe modernizzatore, artefice nel corso dei decenni di molte aperture della monarchia britannica. Un animo tormentato, al fondo, dietro la maschera di giullare che talvolta indossava, specie nella tarda età. Perché la sua famiglia aveva sofferto: e lui con essa. Nipote del re di Grecia, aveva visto la monarchia ellenica rovesciata dalla rivoluzione; sua madre, la principessa Alice, aveva trascorso l’esistenza tra crisi mistiche e ricoveri in manicomio; sua sorella era morta in un incidente aereo e lui aveva dovuto presenziare al funerali, appena sedicenne. Gia, la famiglia di Filippo: un po’ danesi e un po’ tedeschi, tutte le sue sorelle sposarono nobili germanici e finirono, chi più chi meno, compromesse col nazismo. Ma l’influenza più grande su di lui la esercitò lo zio, Louis Mountbatten, nipote della regina Vittoria e ultimo viceré d’India: che lo considerò sempre alla stregua di un figlio, lo volle con sé in Inghilterra e fece in modo di propiziare il matrimonio con Elisabetta, erede al trono britannico e lontana cugina di Filippo. Con l’incoronazione della moglie, lui entra nel cono d’ombra: e deve perfino rinunciare a dare iI proprio cognome, Mountbatten, ai suoi figli. Ma è lui che ha l’idea di mostrare in televisione la cerimonia solenne: aprendo così per la prima volta la monarchia allo sguardo dei sudditi.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Severgnini Beppe 
Titolo: Il commento – Ruolo di lusso, ma non facile La sua morte chiude un’epoca – Un ruolo di lusso, ma non facile Con la sua morte finisce un’epoca
Tema: la morte di Filippo di Edimburgo

Nella serie televisiva The Crown — che The Economist giudica più realistica della stessa famiglia reale — c’è una battuta eloquente e meravigliosa, e tocca proprio a Filippo. Parlando della regina Elisabetta sua moglie dice: «Lei è il sole, noi siamo i pianeti che le girano intorno». Ora il pianeta Filippo — un po’ greco e un po’ danese, molto inglese — si è spento, alla vigilia dei cento anni, e dispiace. Insieme a lui se ne va un’epoca. Un’epoca di uniformi e cerimonie, parenti e silenzi, rotocalchi e rumours, riti agresti e nuore incomprensibili. Pensateci: per il principe Filippo, come per la regina Elisabetta, usiamo ancora tradurre il nome. Per i loro figli maschi (Carlo, Edoardo, Andrea), talvolta. Per i loro nipoti e le loro spose, non più William e Kate, non Guglielmo e Caterina; Harry e Meghan, non Enrico e Margherita. Ammettiamolo: il mestiere di Filippo di Edimburgo non era semplice. Marito e padre, presente e distante, accompagnatore e indossatore, funzionario e missionario. All’inizio ha faticato ad accettare un ruolo inevitabilmente subalterno. Ma poi ha capito. Il pianeta Filippo ha trovato l’orbita, il ritmo, perfino il gusto di fare le cose. La monarchia è una forma di servizio. Un servizio di lusso, certo. E Filippo lo ha accettato. All’interno della famiglia reale britannica il duca di Edimburgo è stato tra i personaggi più difficili da raccontare, proprio perché non ci teneva a essere raccontato. Ma l’uomo era attento, quando non sceglieva di essere svagato. Cauto, se non aveva deciso di abbandonare le cautele. Per i giovani inglesi era un bisnonno lontano. Per i meno giovani, una figura affettuosa, misteriosa, un po’ eccentrica.
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Testata:  Repubblica 
Autore:  Guerrera Antonello 
Titolo: Buckingham Palace fra dolori e divisioni “Il futuro sarà diverso”
Tema: la morte di Filippo di Edimburgo
E ora Elisabetta abdicherà? No, giurano i “Royal watcher”, gli esperti dei Windsor: «Potrebbe certo lasciare più spazio ai successori Carlo e William», spiega Robert Lacey, lo storico reale che ha collaborato con la serie-culto “The Crown”, «ma la regina resterà la regina. Fino alla fine». Del resto, da tempo ci si prepara qui in Regno Unito alle maestose celebrazioni per i suoi 70 anni di regno nel 2021, quattro giorni di festa nazionale che arriveranno dopo il lutto di ieri, marcato da giornalisti in lacrime e abiti scuri, bandiere a mezz’asta, sudditi vecchi e giovani che ieri hanno portato fiori, poesie e lacrime a Buckingham Palace e a Windsor e dalla gigantografia di Filippo in una Piccadilly Circus semi deserta causa Covid. Difficilmente la sovrana, che il 21 aprile compirà 95 anni, vorrà mancare l’appuntamento. Ma una cosa è certa: la morte di Filippo cambierà Elisabetta e la famiglia reale. Per sempre. La loro figlia, la principessa Anna, ieri sera l’ha accennato: «La vita senza papà sarà assolutamente diversa». Per vari motivi. Innanzitutto, sarà una sfida enorme per Elisabetta II, che ha condiviso quasi 80 anni dei suoi imminenti 95 con Filippo, l’unico e indiscusso uomo della sua vita. Non si sa come reagirà a questo dramma. Il duca di Edimburgo, anche per la sua schiettezza e l’ironia scorretta, è spesso stato il collante della famiglia reale e forse il lato più accessibile e umano dei Windsor, rispetto all’infallibile Elisabetta. Filippo era capace di far sorgere un sorriso a chiunque e ha popolarizzato la Casa Reale.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Di Landro Armando 
Titolo: Ha mentito sul piano pandemico» Indagato Guerrea, numero 2 dell’Oms
Tema: Covid

Il direttore vicario dell’Oms Ranieri Guerra è indagato dalla Procura di Bergamo per false dichiarazioni. I pm gli contestano di aver negato, in un lungo interrogatorio del 5 novembre, qualsiasi pressione sul capo dei ricercatori dell’ufficio di Venezia dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Francesco Zambon, per chiedergli di correggere un delicato passaggio sul Piano pandemico italiano non aggiornato, contenuto nel report che l’Oms aveva pubblicato a maggio 2020 sul sito della sezione europea, ma che era scomparso nel giro di 24 ore: eliminato per sempre. In più, secondo il pool che indaga per epidemia colposa con il supporto della Guardia di finanza, in quello stesso interrogatorio Guerra aveva spiegato che durante il suo incarico di direttore della Prevenzione del ministero della Salute, dal 2014 a fine 2017, non c’era stato bisogno di aggiornare il Piano pandemico, perché non c’erano stati eventi tali da richiedere nuove linee guida. Ma, ha ricostruito la Procura, nel 2013 l’Oms aveva chiesto un aggiornamento, che poi non ci fu. La scomparsa del report ha portato a una rogatoria internazionale della Procura verso l’Oms, a Ginevra.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Taino Danilo 
Titolo: Marò, risarcimenti alle famiglie: l’India chiude il caso
Tema: Il caso dei marò

Ora, il processo ai due marò potrà essere istruito. In Italia, come deciso dalla Corte permanente di arbitrato dell’Aja lo scorso luglio. Ieri, la Corte Suprema di Delhi ha stabilito, sulla base di quanto chiedeva la sentenza di dieci mesi fa, che il contenzioso tra India e Italia sulla vicenda della morte di due pescatori del Kerala nel 2012 si chiuderà quando Roma avrà versato cento milioni di rupie alle famiglie dei marittimi uccisi. Una cifra, pari a un milione e centoventimila euro, che è stata concordata dai due governi. Dopo una settimana dal versamento, la disputa su quale giurisdizione dovesse processare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, l’indiana o l’italiana, sarà definitivamente finita: la Corte Suprema chiuderà il caso in India, la procura di Roma dovrà istruirne uno e avviare il procedimento.
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Testata:  Corriere della Sera 
Autore:  Santevecchi Guido 
Titolo: Nord Corea allo stremo, Kim lancia l’Ardua Marcia contro la nuova carestia
Tema: Corea del Nord

Non ha potuto dare alcuna buona notizia al suo popolo Kim Jong-un nell’ultimo anno, ha preso anche l’abitudine di scusarsi per le sofferenze «imposte dalle circostanze e da errori della burocrazia». Ma ora la crisi deve essere terribile in Nord Corea se il Maresciallo ha deciso di paragonarla a quella degli Anni 90, quando la carestia uccise centinaia di migliaia di persone. Kim ha evocato quella tragedia dal palco dell’assemblea dei 10 mila capi sezione del partito unico, ammonendoli che dovranno guidare una nuova «Ardua Marcia per alleviare il patimento delle masse davanti alla peggiore situazione di sempre». Ardua Marcia è l’espressione partorita dal regime per descrivere la tragedia degli Anni 90, esplosa con il crollo dell’Unione Sovietica che fino ad allora aveva puntellato economicamente il regime (la Cina non era la superpotenza di oggi). In quegli anni le incapacità organizzative della Dinastia Kim, impegnata solo nella pianificazione militare, sommate a una serie di alluvioni e siccità devastarono anche l’agricoltura causando la carestia. Solo nel 1995 Pyongyang chiese soccorso all’Onu: 225 mila nordcoreani erano già morti di fame su una popolazione di 24 milioni di abitanti. Alcune stime fissarono a un milione il numero delle vittime tra il 1994 e il 1998. Le agenzie umanitarie scoprirono che per effetto della malnutrizione cronica i nordcoreani erano in media più bassi dei sudcoreani di 3-8 centimetri. Ancora nel 2012 il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite rilevava che un bambino su tre portava i segni della denutrizione.
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