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Paolo Merloni: Investiamo su idrogeno e produzione In Italia

22.03.2021

Da Albacina, frazione a nove chilometri da Fabriano, all’Italia e poi ai mercati globali, costruendo un «polmone verde» che alimenterà con nuovi prodotti rinnovabili l’attività di Ariston Thermo, un campione italiano con 1,7 miliardi di ricavi nel comfort termico hi tech. Per usare le parole del Cavaliere del Lavoro Paolo Merloni, «è il futuro della nostra azienda e avrà come perno l’Italia e l’Europa».

«Albacina e le Marche saranno uno dei centri industriali e di sviluppo più importanti, qui si studierà la connettività per fare dialogare caldaie e sistemi di riscaldamento con l’utente finale. Ma stiamo già andando oltre. Bisogna proiettarsi nel domani. Pensiamo anche all’idrogeno verde per la combustione, siamo parte di una catena industriale che nella Penisola punta sulle rinnovabili. II nostro obiettivo era di portare all’80% la nostra produzione ad altissima efficienza energetica e alimentata da rinnovabili entro il prossimo anno. Ormai ci siamo arrivati». Merloni vuole fare di quell’area di Albacina — rilevata tre anni fa dalla Whirlpool in ritirata dall’Italia — uno dei nuovi fronti di sviluppo «in una fase in cui tutti devono contribuire ad accelerare la ripartenza puntando su sostenibilità e digitale», dice l’imprenditore, 53 anni, presidente esecutivo della multinazionale, che punta sulla crescita anche recuperando un’ex attività di una famiglia, che è parte dell’ossatura del capitalismo industriale italiano. Da imprenditore che ha imparato la lezione impartita dalla pandemia ha deciso anche di riportare sul territorio nazionale alcune attività di pregio all’estero. Una delle nuove parole d’ordine è il reshoring in Italia e in Europa.

Confermate gli investimenti? «C’è un messaggio positivo che vorrei dare: abbiamo mantenuto gli impegni sopra gli 8o milioni anche nel 2020, un anno difficile ma che per noi è stato anche l’occasione di dimostrare, agli altri ma anche a noi stessi, la resilienza dell’impresa. L’Italia rappresenta solo il io% dei nostri ricavi ma nel Paese concentriamo la metà dei nostri investimenti e il 409 delle attività produttive che poi si trasformano in esportazioni».

Paolo Merloni è il figlio del Cavaliere del Lavoro Francesco, 95 anni, tuttora presidente onorario della società, che nel 1953 aveva ereditato il ramo dell’azienda di suo padre Aristide nel riscaldamento delle abitazioni. Suo nonno era nato ad Albacina, e il primo vero stabilimento di quella che sarebbe diventata la dinastia Merloni-Ariston l’aveva costruito lì. Il settore elettrodomestici, con la Indesit Company, era invece andato al fratello di Francesco, Vittorio Merloni che poi aveva ceduto alla Whirlpool. Paolo è anche l’unico esponente della dinastia che continua a fare impresa. Lo fa con 26 fabbriche — «sette in Italia, tra le più importanti» — in quindici Paesi.

A tre anni dall’acquisto dell’ex fabbrica da Whirlpool a che punto è il progetto?
«È un grande cantiere perché si tratta di fare ripartire una storia industriale iniziata 6o anni fa, quando mio padre e il nonno avevano fondato il primo impianto Ariston per le cucine e i forni a gas. Abbiamo già assunto cento persone e investito una ventina di milioni. Rappresenta un presidio di frontiera tecnologica, che punta anche all’altissima formazione di chi lavora con noi.

Ha parlato anche di reshoring…
«Abbiamo già fatto una mossa in questo senso —e altre ne potrebbero seguire — riportando in Italia attività produttive localizzate in Svizzera, frutto di un’acquisizione anni fa di un’azienda che produce pompe di calore premium. Abbiamo voluto concentrare la produzione in un unico sito, creare un sistema che lavori assieme. Tenere la produzione sotto un’unica cabina di regia consente di gestire meglio le attività, anche questo lo ha insegnato la pandemia. Abbiamo cinque fabbriche in provincia di Ancona, pochi chilometri di distanza le une dalle altre, così come le aveva volute mio padre, mantenendo un importante impegno sul territorio d’origine».

La presidente Ue Ursula von der Leyen ha ricordato che con il NextGenerationEU, l’Europa investirà nell’idrogeno pulito come mai prima d’ora.
«Oltre alle pompe di calore, l’idrogeno può essere un mezzo perfetto per raggiungere il nostro obiettivo di neutralità climatica. Può alimentare le industrie pesanti, le auto, ma può anche riscaldare le nostre case. Tutto questo con emissioni quasi zero. Per questo lavoriamo anche su questo fronte con tutti gli interlocutori di una catena industriale lunga, dagli operatori di rete fino alle aziende del real estate impegnate nella costruzione ma anche nella rigenerazione degli edifici urbani per immaginare il comfort termico del futuro. Stiamo progettando una caldaia tecnologica nel centro Atit, l’Ariston Thermo Innovative Technologies di Agrate, il polo della nostra ricerca più avanzata».

Arriveranno del fondi per la transizione ecologica. La vostra filiera cambia. Avete un dialogo aperto con aziende quali Snam, Italgas ed Enel?
«Noi dialoghiamo in Italia come in Europa con chi si occupa di energia e reti di distribuzione e anche con chi lavora su connettività e cloud. È una filiera che diventerà sempre più articolata e si estende all’Europa per raggiungere obiettivi ambiziosi. Non basta più ragionare solo come sistema Paese. Le radici restano in Italia ma i rami devono svilupparsi con una logica più ampia perché la nostra casa è l’Europa. Abbiamo avviato dialoghi per portare l’idrogeno come combustibile nelle case degli italiani, rafforzare la diffusione delle pompe di calore e far crescere la smart home. Puntiamo su partnership chiave, come quella con il Politecnico di Milano per le sfide del futuro. 11 comfort termico rappresenta oltre il 25% dei consumi Ue di energia, ha una dimensione economica più piccola rispetto a quello della mobilità, ma l’impatto sul clima non è dissimile. Per ora questo è un tavolo di lavoro tra aziende, ora aspettiamo le linee guida dal governo del presidente Mario Draghi».

Com’è andato il 202o?
«C’è stato un calo del 2,6% del fatturato, quindi l’azienda ha tenuto, l’ebitda è addirittura cresciuto dell’8,6% a 244 milioni, l’utile netto è salito da 89 a 97 milioni, e non certo perché non abbiamo investito. Anzi, abbiamo dimostrato velocità nella risposta grazie all’impegno e alla flessibilità delle nostre persone. Quando la Cina veniva travolta dall’epidemia siamo riusciti a rifornire i clienti attraverso gli stabilimenti fuori dall’Asia. Poi, abbiamo aumentato del 30% gli investimenti nelle energie green e nel digitale».

Alla Borsa continuate sempre a non pensarci proprio?
«Non è detto, la quotazione resta sempre una bella modalità di crescita e facciamo in modo che Ariston Thermo si faccia trovare pronta in qualsiasi momento».

Che cosa potrebbe fare scattare il momento giusto? «Un’operazione rilevante, per esempio. Siamo stati e vorremmo essere parte attiva nel consolidamento del settore. È un ruolo che abbiamo sempre svolto attraverso le acquisizioni. L’ultima — quella della startup tedesca Kesselheld — l’abbiamo chiusa all’inizio dello scorso anno in pieno lockdown, con un negoziato svolto tutto a video. Abbiamo comprato oltre 15 aziende negli ultimi dieci anni. È inevitabile investire e crescere, anche in modo organico, se si vuole pensare di esistere ancora nei prossimi dieci anni».

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