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Veronesi: Oltre quota 3 miliardi non bisogna porsi limiti: Cina, Usa e altro shopping

27.03.2023

Dalla vetta degli oltre tre miliardi di fatturato non sarebbe strano avere le vertigini. Ma Sandro Veronesi, alias il «signor Caledonia», l’imprenditore che dal 1986 a oggi ha rivoluzionato interi settori dell’abbigliamento, dalle calze all’intimo ai costumi, fino a mettere in piedi uno dei gruppi tra i più diversificati e originali d’Europa, dal vino agli abiti da sposa al prêt-à-porter, di vertigini non soffre. «Se mi immaginavo di arrivare qui? Ho iniziato a lavorare con tre dipendenti, adesso ne abbiamo 44 mila. La volontà di crescere c’è sempre stata. Così come quella di inventare prodotti nuovi e aprire mercati nuovi. Per molti colleghi il primo limite alla crescita è psicologico: ci si autolimita commenta Veronesi, classe 1959, presidente e maggiore azionista del gruppo Caledonia, creato a partire da zero, dopo una breve esperienza in Golden Lady —. Lo dico sempre ai miei responsabili di negozio. Quando un cliente entra, voi non sapete quanto è disposto a spendere. Bisogna scommettere sul massimo».

Strategie

Ed è puntando a quel «massimo» che il gruppo di Dossobuono di Villafranca, provincia di Verona, è arrivato a costruire un portafoglio di più di cinquemila negozi e otto brand — Caledonia, Intimissimi, Intimissimi Uomo, Tezenis, Falconeri, Atelier Emé, Signorvino e l’ultimo rilevato Antonio Marras, marchio sardo del lusso, in cui Veronesi è entrato con l’80% l’anno scorso —, con i158,5% di fatturato realizzato all’estero e una crescita di punti vendita nel solo 2022 pari a 252 negozi, quasi tutti (196) all’estero. Dalle «calze da sogno» ma economiche, prima intuizione del visionario imprenditore nordestino, a un gruppo che ha fatto della diversificazione la sua forza e peculiarità e che controlla tutto il ciclo di vita del prodotto, dall’ideazione, alla produzione alla distribuzione, con un’attenzione particolare alla comunicazione, sempre più raffinata e strategica. Come l’ultimo lancio di Intimissimi: dopo Julia Roberts e Sarah Jessica Parker, quest’anno è Jennifer Lopez la nuova global ambassador del marchio. Nel 2022 sono stati investiti 28o milioni di euro sia sul fronte commerciale, potenziando e rinnovando il canale retail e integrandolo sempre più al canale ecommerce, che sul fronte logistico e produttivo.

«Nella vita dell’azienda bisogna essere contenti di quello che si è stati rapaci di costruire, ma anche desiderosi di fare di più e di meglio —riflette Veronesi —. Da qui nasce la voglia di crescere. Piccolo è bello? Non ne sono convinto. Chi è piccolo ha meno risorse, avere meno risorse complica tutti i processi, e il tempo gioca a sfavore in un mondo complesso come questo. Vedo molti imprenditori con la paura di perdere il controllo dell’azienda, di buttare il cuore oltre l’ostacolo. Quando abbiamo iniziato, ci siamo spinti a fare anche quello che non conoscevamo. Una dose di incoscienza serve sempre». Veronesi ha da subito impostato il gruppo lavorando per differenza, fin da quando è iniziata l’espansione, nei primi anni No- vanta e Duemila. «Il format di quasi tutti i competitor era ed è di comprare in Cina ed occuparsi di distribuzione e comunicazione — spiega il presidente —. Noi invece disegniamo e produciamo direttamente i nostri prodotti per avere il controllo su qualità e stile». Un altro snodo importante che Veronesi individua, e che è diventato obiettivo costante e sfidante nel tempo, è l’espansione all’estero. «All’inizio abbiamo sofferto — ammette il presidente — ma abbiamo anche imparato tanto. Una lezione importante ce l’ha data il confronto con Inditex in Spagna. Oggi siamo l’unica azienda italiana di retail presente in Spagna, Portogallo e Greda». Il gruppo negli anni si è ben radicato in Europa, mentre negli Usa ha aperto 6o negozi.

«Una presenza ancora piccola ma importante — rimarca Veronesi —: gli Stati Uniti sono molto diversi da noi ma ci permettono di capire anche come evolveremo in Europa. Li abbiamo sempre guardati con una dose di timore, ma oggi abbiamo siamo grandi abbastanza per affrontarli». Da Ovest a Est, la Cina è l’altro osservato speciale. «Siamo stati bloccati per il Covid — dice il presidente —, oggi siamo presenti con cento negozi, ancora poco. Dobbiamo trovare la chiave per entrare nel Paese, superando anche difficoltà oggettive come il fatto che le cinesi non vanno al mare… In ogni mercato in cui abbiamo trovato la fusione della nostra cultura aziendale con l’esigenza del posto abbiamo avuto successo». Da osservazioni come questa si capisce perché la diversificazione è un mantra per Veronesi, che ha di recente portato a termine l’acquisizione della cantina La Giuva, in Valpolicella. «Ho sempre pensato che puntare su un solo prodotto sia rischioso — commenta l’imprenditore —, anche se diversificare costa. Il gruppo è cambiato tanto e cambierà ancora. Si è evoluta anche la cultura aziendale. Avevo pianificato tutto? No, certe cose accadono, altre si pianificano. L’imprenditore non deve mai perdere il gusto della sfida».

Nell’agenda di Veronesi ci sono dunque il potenziamento dei brand «con l’obiettivo che ciascuno tocchi un miliardo di ricavi», così come il sorpasso in mercati come Francia e Germania. «Falconeri può svilupparsi ancora molto, Signorvino si espanderà nella direzione dell’italian life style, ci verticalizzeremo anche in quel segmento e acquisiremo altre cantine». È vperò inutile chiedere all’imprenditore come immagina il gruppo tra dieci anni. Il focus è — e resta — sul presente. «Ci sono tante cose da fare. L’idea guida è che ogni brand abbia la sua forza — spiega il presidente —. Dovremo anche fare un ragionamento sul nome. Non ci chiameremo per sempre Calzedonia, perché siamo cambiati». Sullo sbarco in Borsa, Veronesi è cauto. «Siamo riusciti a crescere molto anche senza, ce la faremo ancora per un po’, ma prima o poi ci penseremo. È anche una questione generazionale». La seconda generazione è infatti già in azienda: i tre figli di Veronesi, Marcello, Matteo e Federico, trentenni, sono operativi ciascuno a capo di un marchio. «Avevano voglia di farlo e io penso che l’imprenditore non debba ritenersi eterno.

Non si può fermare la crescita dell’azienda, a maggior ragione per tutti i giovani che ci lavorano». Degli oltre 44 mila dipendenti del gruppo, il go% sono donne e il 57% hanno meno di trent’anni. «I rapporti con le persone sono cruciali — dice l’imprenditore —. Devono tutti sentirsi parte dell’azienda, per questo investiamo molto in formazione, abbiamo l’asilo aziendale da 25 anni, lavoriamo sul team building. Il messaggio principale è che non serve la perfezione: serve fare meglio dei competitor». Ma l’Italia, questo l’ha capito? «Siamo un Paese di belle imprese, che amano il prodotto e i loro team, qui esiste un attaccamento all’azienda che non vedo in altri Paesi del mondo. Ma abbiamo un limite culturale e storico: siamo individualisti. È il nostro dna, forse anche per questo siamo più fantasiosi. I francesi hanno costruito i grandi gruppi del lusso con i brand italiani, ma hanno più visione finanziaria, più coraggio. Noi siamo ancora giovani, nel vino, come nella moda. Abbiamo tutto il potenziale per allungare il passo. Sono convinto che cela faremo».

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Articolo pubblicato il 27 marzo da L’Economia

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