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Nerio Nesi: Qui serve una nuova Iri

13.06.2020

Pensayo di aver visto e sopportato tutto. La crisi del sistema economico, la continua diminuzione del potere della classe operaia, il terrorismo delle Brigate Rosse, terremoti e nubifragi, l’incredibile nascita di eredi del fascismo, l’antisemitismo in tutta Europa. Non avrei mai immaginato di dover affrontare anche una peste di portata mondiale. Esordisce così Nerio Nesi, raggiunto da MF-Milano Finanza nella sua casa di Torino. Bolognese, classe 1925, partigiano, politico di lungo corso, presidente della Bnl, ministro dei Lavori Pubblici nel governo Amato II, saggista, (l’ultima pubblicazione, sulla Banca d’Italia, è uscita pochi mesi fa), Nesi mantiene uno sguardo lucido sul presente, tenendo sempre a mente la lezione di Maynard Keynes e Federico Caffè, e la guida di Edoardo Volterra e Riccardo Lombardi, che considera i suoi maestri.

Domanda. L’emergenza Covid ha riportato il potere economico allo Stato. L’intervento pubblico a sostegno delle imprese è una soluzione tampone, o diventerà strutturale?
Risposta. Finita la paura della peste, è iniziata quella del cosiddetto statalismo, cioè dell’intervento dello Stato nella gestione dell’economia. Mai, scrivono i più fanatici privatisti. Si, ma solo temporaneamente, precisano i moderati. Ci sono infine i più audaci che, pur ammettendo che in alcuni settori la presenza pubblica è necessaria, ritengono che essa debba manifestarsi attraverso dei controlli, ma non attraverso la proprietà. Oggi gli strumenti di intervento pubblico si sono affinati e la nazionalizzazione può apparire un meccanismo superato. Rimane tuttavia l’esigenza di una guida dell’economia a vantaggio della collettività. In sostanza: le esigenze da cui nasceva la nazionalizzazione permangono, anche se possono essere affrontate in modi diversi. Vorrei aggiungere due episodi di questi giorni: gli azionisti di Lufthansa, la più grande compagnia aerea europea, hanno ceduto allo Stato tedesco il 209(- del capitale, dopo aver ricevuto un prestito pubblico di 9 miliardi di euro. E mi ha colpito anche il più importante capitalista italiano, Leonardo Del Vecchio, che vuole aumentare la sua influenza nel principale gruppo assicurativo italiano, le Generali, ma ha precisato di escludere a priori fusioni con la compagnia francese Axa e la tedesca Zurich. E ciò perché (cito testualmente) non vuole «compromettere l’italianità delle Generali, polmone finanziario sul quale il nostro Paese ha bisogno di poter contare».

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