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L’imprenditore che irriga i deserti e dona acqua agli assetati del mondo

20.12.2022

Tre uomini, con le mani “sporche” di fatica, ma il sorriso aperto, perché chi dona devo farlo con gioia. Tre testimoni della carità verso gli ultimi: il francescano padre Hanna Jallouf, Gian Piero, detto Wué, un clochard e Silvano Pedrollo, industriale di Verona. Oggi, nel giorno del suo 86° compleanno, il Papa premia così due laici e un religioso, in prima fila nel servizio ai poveri.

« Un cristiano di fronte alla povertà non può agiarsi dall’altra parte, la solidarietà è un impegno. All’inizio decidevo io a chi dare aiuti, ma che diritto ho di scegliere chi merita ? Alla fine li aiuti tutti». Così l’imprenditore veronese Silvano Pedrollo, intervistato da Avvenirein più occasioni, rendeva semplice la cosa più complessa, guardare all’umanità come a una famiglia composta da fratelli spesso più sfortunati di lui, e quindi con i quali condividere gli utili della sua azienda: «Rispetto a quanto ho ricevuto faccio anche poco – ha sempre sostenuto – lo dico con la coscienza e con il cuore».

Presidente dell’omonima azienda, oggi leader mondiale nella costruzione di pompe idrauliche, Pedrollo ha iniziato la sua avventura con in valigia solo tanta inventiva e zero mezzi economici: «Negli anni ’70 ero un giovane diplomato in elettrotecnica, lessi per caso un articolo che aveva dell’incredibile, diceva che entro qualche decennio la vera ricchezza per l’umanità sarebbe stata l’acqua e che per averla si sarebbero combattute guerre. A Dubai, allora una landa desertica, costava più del petrolio. Andai a vedere se era vero». Lì promise agli emiri arabi di far sgorgare l’acqua dal deserto e questi gli diedero carta bianca, ma soprattutto le lettere di credito. Fu un successo e dopo Dubai arrivarono India, Africa, America Latina, Bangladesh e qui un’altra svolta: «In Bangladesh a tirare su l’acqua a mano per ore sotto il sole erano le donne – continua Pedrollo -. Riuscii a ideare una pompa idraulica che costava come due pizze ma tirava su mille litri al minuto. Era il 1985, dopo sei mesi arrivai in Bangladesh e in aeroporto trovai 60 giornalisti ad attendermi: anziché due raccolti di riso, quell’anno ne avevano fatti tre».

Donare l’acqua è il suo lavoro, un mestiere che metaforicamente collima con dare da bere agli assetati, ma Pedrollo, che non è uomo da metafore, lo fa coincidere con uno stile di vita, e man mano che l’azienda cresce (oggi fattura 230 milioni, esporta in 160 Paesi e dà lavoro a 800 persone) tiene fede al proposito di non incassare gli utili ma reinvestirli in parte in azienda, per incrementare le tecnologie e garantire serenità alle famiglie dei lavoratori, in parte in solidarietà: dalla A di Albania alla Z di Zimbabwe sono migliaia i progetti in cui è intervenuto per cambiare le sorti di chi non aveva una tazza di acqua pulita Supportato dalla moglie e dai due figli, ha continuato ad erigere ospedali, scuole, chiese, case di accoglienza, e soprattutto a Ear sgorgare l’acqua, condizione necessaria per per mettere la vita ma anche la crescita di coltivazioni e l’allevamento di animali, quindi creare una nuova società dove non c’era nulla.

«Lavoro con i missionari perché so dove i soldi vanno a finire e riescono a fare miracoli, le suore poi non le ferma nessuno», assicura Ma anche in Italia lo stile di vita di Pedrollo lo ha reso più un fratello maggiore che un datore di lavoro per i suoi dipendenti, italiani e immigrati. In 47 annidi attività «non li ho mai messi in cassa integrazione, piuttosto avrei riempito i magazzini di merce invenduta, ma nessuno avrebbe perso il lavoro», e ogni volta che ha visto uno dei “suoi” ragazzi pagare mutui da usura per avere un tetto è intervenuto personalmente: «Ora tutti possiedono una casa, anche i nostri immigrati, altrimenti è caos, non è accoglienza».

Leggi l’articolo

Articolo pubblicato il 17 dicembre da Avvenire

« Un cristiano di fronte alla povertà non può agiarsi dall’altra parte, la solidarietà è un impegno. All’inizio decidevo io a chi dare aiuti, ma che diritto ho di scegliere chi merita ? Alla fine li aiuti tutti». Così l’imprenditore veronese Silvano Pedrollo, intervistato da Avvenirein più occasioni, rendeva semplice la cosa più complessa, guardare all’umanità come a una famiglia composta da fratelli spesso più sfortunati di lui, e quindi con i quali condividere gli utili della sua azienda: «Rispetto a quanto ho ricevuto faccio anche poco – ha sempre sostenuto – lo dico con la coscienza e con il cuore».

Presidente dell’omonima azienda, oggi leader mondiale nella costruzione di pompe idrauliche, Pedrollo ha iniziato la sua avventura con in valigia solo tanta inventiva e zero mezzi economici: «Negli anni ’70 ero un giovane diplomato in elettrotecnica, lessi per caso un articolo che aveva dell’incredibile, diceva che entro qualche decennio la vera ricchezza per l’umanità sarebbe stata l’acqua e che per averla si sarebbero combattute guerre. A Dubai, allora una landa desertica, costava più del petrolio. Andai a vedere se era vero». Lì promise agli emiri arabi di far sgorgare l’acqua dal deserto e questi gli diedero carta bianca, ma soprattutto le lettere di credito. Fu un successo e dopo Dubai arrivarono India, Africa, America Latina, Bangladesh e qui un’altra svolta: «In Bangladesh a tirare su l’acqua a mano per ore sotto il sole erano le donne – continua Pedrollo -. Riuscii a ideare una pompa idraulica che costava come due pizze ma tirava su mille litri al minuto. Era il 1985, dopo sei mesi arrivai in Bangladesh e in aeroporto trovai 60 giornalisti ad attendermi: anziché due raccolti di riso, quell’anno ne avevano fatti tre».

Donare l’acqua è il suo lavoro, un mestiere che metaforicamente collima con dare da bere agli assetati, ma Pedrollo, che non è uomo da metafore, lo fa coincidere con uno stile di vita, e man mano che l’azienda cresce (oggi fattura 230 milioni, esporta in 160 Paesi e dà lavoro a 800 persone) tiene fede al proposito di non incassare gli utili ma reinvestirli in parte in azienda, per incrementare le tecnologie e garantire serenità alle famiglie dei lavoratori, in parte in solidarietà: dalla A di Albania alla Z di Zimbabwe sono migliaia i progetti in cui è intervenuto per cambiare le sorti di chi non aveva una tazza di acqua pulita Supportato dalla moglie e dai due figli, ha continuato ad erigere ospedali, scuole, chiese, case di accoglienza, e soprattutto a Ear sgorgare l’acqua, condizione necessaria per per mettere la vita ma anche la crescita di coltivazioni e l’allevamento di animali, quindi creare una nuova società dove non c’era nulla.

«Lavoro con i missionari perché so dove i soldi vanno a finire e riescono a fare miracoli, le suore poi non le ferma nessuno», assicura Ma anche in Italia lo stile di vita di Pedrollo lo ha reso più un fratello maggiore che un datore di lavoro per i suoi dipendenti, italiani e immigrati. In 47 annidi attività «non li ho mai messi in cassa integrazione, piuttosto avrei riempito i magazzini di merce invenduta, ma nessuno avrebbe perso il lavoro», e ogni volta che ha visto uno dei “suoi” ragazzi pagare mutui da usura per avere un tetto è intervenuto personalmente: «Ora tutti possiedono una casa, anche i nostri immigrati, altrimenti è caos, non è accoglienza».

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Articolo pubblicato il 17 dicembre da Avvenire

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