Menu

Madia: “Al lavoro per l’Italia del futuro”

Con Marianna Madia, ministro per la Semplificazione e Pubblica amministrazione, abbiamo approfondito i contenuti della riforma con la quale il Governo punta a produrre cambiamenti reali nella vita dei cittadini e a facilitare lo sviluppo delle imprese. A cominciare dal Sistema pubblico di identità digitale, grazie al quale ci lasceremo alle spalle file e faldoni. Questa intervista è stata pubblicata sul numero di gennaio 2016 della rivista “Civiltà del Lavoro”.

Marianna Madia

Marianna Madia

La riforma della Pubblica amministrazione è legge, ma affinché esplichi i suoi effetti occorrono i decreti attuativi, di cui i primi sono già approvati. Quanti ne mancano e quando sarà completato il processo di approvazione?

La riforma della Pubblica amministrazione non è una misura di settore, ma è la riforma delle riforme, perché consente di dare certezze e rapidità a tutte le altre politiche pubbliche: dalla sanità alla scuola, alla sicurezza, alle politiche industriali. È una riforma per il Paese, per dare certezza di regole e tempi ai cittadini e alle imprese. Per restituire a ciascuno più tempo per lavorare, per produrre, per fare impresa non solo nel senso di farla nascere, ma anche di farla crescere. In una parola per vivere. La legge 124 del 2015 è il cuore di questo sforzo e prevede circa una ventina di decreti legislativi. I primi undici decreti sono stati emanati lo scorso 20 gennaio e stanno raccogliendo i pareri delle Camere, delle Regioni e del Consiglio di Stato, per poi tornare in Consiglio dei ministri per l’approvazione definitiva. Il primo pacchetto ha tre obiettivi: la cittadinanza digitale come principale strumento per semplificare la vita delle persone; la certezza di regole e di tempi per i cittadini e gli operatori economici; la qualità dei servizi pubblici. Tutti gli undici decreti, dal nuovo CAD alla Conferenza dei servizi alla riduzione delle società partecipate, sono all’interno di questi principi guida. I restanti decreti guardano all’interno dell’amministrazione. Vogliono migliorare il modo di lavorare della Pubblica amministrazione: penso alla riforma del Testo unico del pubblico impiego, che affronterà nodi come quello del reclutamento, con il passaggio dal sistema delle piante organiche a quello dei fabbisogni, che guarda alle vere necessità di chi usufruisce del servizio. Il nostro obiettivo è completare l’attuazione di tutta la riforma nei tempi dettati dalla legge delega.

A quali organi spetterà il potere di controllo per verificare il corretto recepimento della riforma?

Appartengo ad una generazione cresciuta politicamente con il mito delle riforme e, proprio per questo, ritengo sia importante partire dalla consapevolezza che una riforma non si misura sulla base della quantità di leggi che si approvano, ma rispetto ai cambiamenti che riesce a produrre nella vita delle persone, nello sviluppo delle imprese. Per questo il processo riformatore non può dirsi esaurito con l’attuazione dei decreti attuativi, quanto piuttosto occorrerà mettere la stessa attenzione anche all’implementazione della riforma per fare sì che dall’attuale eccesso di complicazione che oggi segna i rapporti tra i cittadini e le pubbliche amministrazioni, si passi a più semplicità e trasparenza. L’obiettivo della riforma della Pubblica amministrazione è quello di perseguire un progetto di cambiamento: quindi potremo dire che sarà recepita solo quando cittadini e imprese constateranno nella loro vita quotidiana significativi cambiamenti. Penso, ad esempio, a “Italia login”: con il pin unico, ad esempio, un cittadino sarà in grado di rivedere la notifica di una multa sullo smartphone e pagarla con un clic. Senza più ricevute e senza più file. In ogni caso abbiamo previsto meccanismi di chiusura per fare in modo che la riforma sia efficace. Come il decreto sulle partecipate, che prevede che se un Comune non chiude le partecipate che non rientrano nei parametri stabiliti, sarà il Ministero dell’Economia a farlo.

A suo tempo la Riforma Brunetta venne mediaticamente percepita soprattutto come la cosiddetta “lotta ai fannulloni” nel settore pubblico. Cosa prevede in materia la nuova riforma?

Non credo nella retorica dei fannulloni, che racconta una Pubblica amministrazione fatta di lavoratori disonesti e inefficienti. La Pubblica amministrazione è in gran parte un corpo sano. E proprio a tutela dei tanti lavoratori che ogni giorno lavorano con efficienza e dedizione abbiamo reso più rapido e certo, con uno dei decreti, il procedimento disciplinare per chi è sorpreso con prove inconfutabili a ingannare sulla presenza al lavoro. Un provvedimento che anticipa il Testo unico sul pubblico impiego dove sarà affrontata la riforma dei procedimenti disciplinari, oggi regolati con norme talmente farraginose e incongruenti da risultare inefficaci. Detto questo, governare la Pubblica amministrazione non vuol dire occuparsi solo di sanzioni. Sanzionare chi fa male è una precondizione, come l’onestà per chi fa politica. Ma il vero e più importante obiettivo è guardare alle esigenze dei cittadini e delle imprese, restituendogli tempo e semplicità.

Uno dei punti più importati è la riduzione delle società pubbliche, soprattutto locali, dalle attuali ottomila a mille con forte riduzione di inefficienze e sprechi. Ma il processo sarà lungo. Quando si vedranno i primi effetti e come pensate di superare le inevitabili resistenze?

Con il Testo unico sulle società partecipate si introducono norme chiare e semplici, ma soprattutto si distinguono due momenti: per il presente è prevista una drastica riduzione delle società partecipate e per il futuro ci sarà un meccanismo di controllo che eviterà quello che è accaduto in passato. Non ci saranno più scatole vuote, società inutili, quelle troppo piccole, quelle inattive, quelle che svolgono doppioni di attività all’interno dello stesso Comune, quelle che negli ultimi anni hanno fatto registrare quattro esercizi in perdita, quelle che svolgono attività non strettamente necessarie ai bisogni della collettività (come ad esempio i prosciuttifici). Per quanto riguarda i tempi sono lunghi ma non lunghissimi. La fase transitoria, infatti, non durerà più di un anno e mezzo. Entro sei mesi dall’entrata del decreto le amministrazioni che non li hanno ancora fatti dovranno predisporre piani di razionalizzazione, le altre dovranno obbligatoriamente aggiornarli. Entro un anno i piani di razionalizzazione dovranno essere attuati, pena la liquidazione coatta delle quote.

Può indicare alcune novità che semplificheranno nella pratica la vita delle imprese e dei cittadini? Da quando saranno effettive?

Alcune sono norme auto-applicative, come il silenzio assenso tra amministrazioni e la riforma dell’autotutela, in vigore già da agosto dello scorso anno. Sono misure che influiscono positivamente sulla vita di cittadini e imprese perché danno certezze sui tempi delle autorizzazioni. “Costringiamo” le amministrazioni ad assumersi le loro responsabilità. Perché una mancata assunzione di responsabilità – come avvenuto in questi anni, c’erano termini ordinari ma l’amministrazione non rispondeva – è sempre una mancata risposta al cittadino e all’imprenditore. Altre misure entreranno in vigore dopo l’approvazione definitiva dei decreti attuativi. Penso alla nuova conferenza dei servizi, la Scia unica (Segnalazione certificata di inizio attività, ndr) ; il taglio dei tempi del 50% per i grandi investimenti. Quale è il filo rosso? Un cittadino/imprenditore se vuole fare qualcosa (dal togliere un tramezzo ad aprire un centro commerciale) ha diritto di sapere se può farlo, con quali regole e quali sono i tempi esatti che l’amministrazione si prende per decidere. C’è poi tutto il mondo della cittadinanza digitale. Proprio l’otto marzo è partita una nuova grande infrastruttura immateriale dell’Italia, un percorso che implica grandi cambiamenti perché ogni cittadino potrà richiedere un’identità digitale con oltre trecento servizi online delle pubbliche amministrazioni. Il nostro obiettivo è “Italia login”: un pin unico che dovrà diventare per tutti quello che è adesso il codice fiscale e che consentirà di lasciarci alle spalle la doppia “F”, ovvero file e faldoni. Spid (Sistema pubblico di identità digitale, ndr) ci consente, infatti, di usare l’innovazione legandola non alla parola obblighi, bensì alla parola diritti.

Quale può essere stimato l’impatto economico della riforma sul Paese?

Non voglio giocare con i numeri e fare previsioni di questo tipo, che spesso lasciano il tempo che trovano. Stiamo ponendo le basi per come sarà l’Italia tra dieci anni e per le generazioni future. La ripresa economica passa attraverso uno Stato semplice e aperto all’innovazione. I primi segnali già si vedono. Già con le prime misure stiamo scalando tutti i ranking internazionali, come la trasparenza, che servono a determinare la fiducia degli investitori internazionali e quindi a portare più investimenti e occupazione nel Paese. Non c’è imprenditore, italiano o straniero, che non affermi che la Pubblica amministrazione sia uno dei principali freni all’attrazione di investimenti. Vogliamo rovesciare questa percezione.

Silvia Tartamella

La rivista Civiltà del Lavoro

SCARICA L'APP