Menu

Intervista a Franco Bernabè: “Tempesta perfetta ma ne usciremo”

29.12.2021

«L’emergenza dei prezzi rientrerà nel prossimo anno, dunque ora bastano misure temporanee di sostegno al sistema industriale italiano. In particolare, condizioni di acquisto dell’energia equiparate a quelle delle imprese di altri Paesi dove si è già intervenuti con gli aiuti. Così si eviterà il paradosso della chiusura delle fabbriche mentre la domanda tira».

Quindici anni nell’Eni, fino alla poltrona di amministratore delegato dalla quale ha guidato, tra l’altro, la privatizzazione del “cane a sei zampe”. Tredici anni nel consiglio d’amministrazione del colosso cinese PetroChina. La biografia manageriale di Franco Bernabè, oggi presidente di Acciaierie d’Italia (la ex Ilva) dopo un paio di esperienze nella stanza dei bottoni di Telecom, è punto d’osservazione privilegiato per raccontare cosa sta succedendo ai mercati globali dell’energia, una “tempesta perfetta” che rischia di compromettere la rincorsa dell’economia mondiale. Anche se lui  si dice ottimista: «Il gas liquefatto arrivato in Europa con le navi americane e la prospettiva di rialzo delle temperature, favoriranno la discesa dei prezzi nell’immediato. Sono convinto, poi, che presto la ragionevolezza avrà la meglio e la Germania sbloccherà il gasdotto North Stream 2, creando così ulteriori condizioni per un raffreddamento dei prezzi».

Un anno fa un megawattora costava circa 50 euro, oggi siamo a oltre 440. Come ci si è arrivati?

«Una convergenza di fattori storicamente anomala per il mercato dell’energia: la forte ripresa economica in Asia, accentuata dalla decisione cinese di tagliare le emissioni di Co2 in vista delle Olimpiadi; il poco vento nel mare del Nord che ha condizionato la produzione eolica; la chiusura dei giacimenti olandesi; la decisione della Russia, che copre il 50% del fabbisogno europeo di metano, di non immettere gas sul mercato spot. Insomma, l’incrocio malefico tra forte domanda in Asia e bassa offerta in Europa che ha fatto decollare i prezzi».

Non crede che abbia influito anche l’accelerazione del Green Deal? Gli investimenti nelle fonti tradizionali sono crollati.

«Quanto accaduto nell’ultimo decennio ha a che fare piuttosto con l’avvento sui mercati di un gigantesco esportatore come gli Stati Uniti con il loro shale gas (il metano intrappolato nella porosità delle rocce, ndr). Le grandi compagnie in crisi hanno tagliato gli investimenti sull’estrazione. Certo, anche la prospettiva green ha il suo peso, ma da un altro punto di vista: la svolta è iniziata quando i grandi decisori economico-finanziari, dalla Banca d’Inghilterra al fondo Black Rock, fino alla tassonomia della Ue, hanno cominciato a spostare l’attenzione sugli investimenti sostenibili».

Si sta facendo il passo più lungo della gamba?

«Bisogna chiedersi se è possibile cancellare nel giro di poco 250 anni di fonti fossili. Dalla rivoluzione industriale in poi c’è stata una crescita costante del benessere sociale e economico».

Scusi, sta contestando la svolta green del mondo?

«Assolutamente no. Dico solo che nei prossimi anni ci sarà ancora bisogno delle fonti fossili per coprire buona parte del fabbisogno energetico. Dunque serve un approccio meno ideologico».

Vale a dire?

«Ad esempio distinguere il gas dagli altri idrocarburi. Anche perchè solare ed eolica devono ancora realizzare le innovazioni che le porteranno ad essere fonti di elezione e mancano della continuità essenziale per l’industria e per gli usi civili. Senza il gasdotto Tap, tanto per dire, la crisi di queste settimane sarebbe stata più drammatica».

Leggi l’articolo

 

Articolo pubblicato il 29/12/2021 su La Repubblica

SCARICA L'APP