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Intervista a Brunello Cucinelli: “La mia Solomeo, città ideale”

03.01.2022

Due sole volte ne parlerà, e solo per accenni. La prima è sulla soglia del grande studio inondato di luce dalla parete di vetro, commentando maglie, giacche e tessuti buttati sul pavimento come una Venere di stracci di Pistoletto: «Sono i colori della prossima collezione, è bene averli sempre sotto gli occhi, si capiscono meglio». La seconda è alla fine dell’incontro, toccando il tessuto di una giacca che non viene dalla sua fabbrica, bonariamente: «È stupenda, ma la grammatura è troppo pesante, chi lavora in ambienti caldi non la pub tenere addosso». Fine. Di cashmere, il vello d’oro della Mongolia, che prende il nome da una regione in cui il mondo era concepito come un sogno che ricopre e nasconde l’assoluto, non si parla più di così. È il motore segreto, è il codice sorgente da cui tutto deriva, ma al quale si pub solo alludere. Perché Brunello Cucinelli preferisce parlare di libri che di tessuti, di visioni più che di tendenze, di secoli a venire più che di stagioni autunno-inverno. Che sia una scelta dettata da ragioni di marketing (nelle sue pubblicità non compare mai il “prodotto”) oppure una ritrosia quasi esoterica (l’uomo ha una tendenza tutta sua a leggere il mondo attraverso trame sottili come il filato che lavora e vende, a tacere ciò di cui non si può parlare e a nascondere dietro un citazionismo quasi ossessivo il suo pensiero dietro quello di autori e filosofi del passato), resta l’impressione che a spostare il discorso sul cashmere si finisca come il famoso stolto che anziché la luna guarda il dito che la indica. E la luna è qui, in effetti. Lunare è Solomeo, borgo umbro trasformato in cittadella ideale, in una terrestre isola di utopia (realizzata) in cui si lavora in grandi spazi tra grandi vetrate nel verde riseminato a perdita d’occhio, si mangia in un ristorante che chiamare mensa sarebbe un insulto al buon senso oltre che agli altri cinque, ci sono scuole di sartoria post-diploma, un teatro, busti, statue ed epigrafi di Epicuro, Platone e Adriano. E presto una biblioteca con 54 mila volumi in una villa settecentesca che in due anni sarà ristrutturata. La Bibliotea Solemaica, non casualmente assonante con quella alessandrina dei Tolomei, è il pretesto di questo incontro: che cosa sarà e come saranno scelti i libri. Ma naturalmente le vere domande che si porta dietro da sempre questo “imprenditore sovversivo” (copyright Michele Serra) sono quelle che si pone non solo chi è interessato alla cultura ma chiunque sia alla ricerca di un altro modo di concepire il mondo. Anzitutto, ma non esclusivamente, quello del lavoro. La vera domanda infatti è e continua a essere: è possibile in pieno Ventunesimo secolo, in piena globalizzazione e dittatura dell’uno per cento, nell’intrecciarsi di crisi climatica, sanitaria ed economica, un capitalismo umano e umanistico? Davvero un imprenditore pub reinvestire la sua ricchezza per il benessere del territorio e per promuoverne la bellezza, seguendo l’insegnamento dei filosofi antichi più che la lezione di Adam Smith o Schumpeter? È credibile che in questo cambio di paradigma post-Covid, con tutte le sue medievali inquietudini apocalittiche, stia spuntando, piccolo, circoscritto e realizzato, il germe di un nuovo Rinascimento? Insomma, chi è Bruno Cucinelli: un geniale dilettante della cultura, un imprenditore che si atteggia a mecenate o l’espressione contemporanea del miglior genius locf italico, quello del “signore” umanistico? «L’attenzione per l’ambiente non è più soltanto una moda», dice piuttosto sorprendentemente uno che di moda vive, «è lo spirito del tempo: compreremo meno, ripareremo, riutilizzeremo. Questo sarà il secolo dell’oro. Oggi il nuovo contratto sociale è con il creato».

E come si coniuga il nuovo contratto sociale con il profitto che lei realizza?

«Vuole una formula del giusto profitto?».

Prego.

«Un’azienda deve crescere di 4 o 5 punti, con le tasse significa 1110. Questo è crescere in modo garbato. Se cresci del 20, cioè in realtà del 35-40, significa che moltiplichi per 13 volte il costo. Questo è sbagliato. Lo sappiamo tutti che cosa è giusto».

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Articolo pubblicato su La Repubblica il 31/12/2021

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