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Il lavoro come invenzione e divertimento

19.12.2022

Primo comandamento: “Il lavoro non è una condanna ma un divertimento. Il più grande della mia vita”. (Viene in mente un vecchio motto: “Se sei contento il venerdì sera e scontento la domenica sera, è meglio che cambi lavoro”). Secondo comandamento: “Chi fa, sbaglia. Chi non fa, non sbaglia ma non combina nulla. Bisogna accettare i propri errori commessi, analizzarli, farne tesoro e migliorarsi per ripartire”. Terzo comandamento: “Io, alla mia età, continuo a scrivere, studiare, brevettare, sperimentare. E questo mi tiene sempre vivo”. E “la sua età” è un’età in cui molti – quasi tutti – hanno già smesso da un pezzo di scrivere, studiare, brevettare e sperimentare: hanno smesso, soprattutto e da un pezzo, di pensare al futuro. Perché l’età di questo signore che così fissa i primi tre comandamenti del suo decalogo di vita è 77 anni. Il suo nome è Franco Stefani.

E’, fra le tante cose che ha fatto, l’uomo che ha rivoluzionato la produzione delle ceramiche. Il primo uomo che ha applicato l’elettronica alla lavorazione delle ceramiche. L’uomo che ha inventato e prodotto la macchina che permette di “stampare” e decorare ceramiche di grandi dimensioni, ovvero “piastrellone” (l’orribile termine maccheronico è nostro, non suo, e lo usiamo per farci capire) ben più grandi di quelle tradizionali, 20 per 20 o 20 per 30. E’ un uomo che sta dedicando il suo tempo anche per trasmettere ai giovani il suo sapere, la sua esperienza, perché è uno di quei pochi che si preoccupano anche del mondo che verrà quando “noi non ci saremo”, come cantavano i Nomadi, che erano proprio di questa terra. Perché questa terra è l’Emilia, è il Modenese, è il distretto della ceramica, uno dei motori della nostra industria, uno dei traini del nostro pil.

Franco Stefani è il titolare, il fondatore della System Ceramics Spa, produttrice di componenti di macchinari. Siamo a Fiorano Modenese, un passo da Sassuolo. Ci riceve nella sua sede, un palazzone enorme, con fontana sempre attiva (“Ma autosufficiente dal punto di vista energetico”, chiarisce Stefani: “Funziona con l’energia solare”), ed è un palazzone che sembra nuovo di pacca. “Secondo lei di quand’è questa sede?”, ci chiede. Mah, veramente, diremmo un anno o due al massimo.

“Ha tren abbiamo voluto farla così, bella perché chi ci lavora deve stare nella bellezza, e resistente al tempo perché bisogna sempre guardare avanti”. E’ uno di quei personaggi che andiamo a incontrare per smentire (soprattutto a noi stessi) l’immagine di un paese in declino, finito, senza futuro e bla bla bla come da dominante retorica autolesionista. “Sono nato a Prignano, sui colli, a sedici chilometri da qui, il 5 febbraio del 1945. La guerra non era ancora finita. Sono figlio di un casaro: mio padre faceva il parmigiano reggiano. E il mio parco giochi, da bambino, erano gli strumenti di lavoro del babbo. “Nel 1957 arrivo a Sassuolo. Faccio i tre anni di professionali: elettrotecnica all’Istituto Don Dorino Magnani. A 16 anni mi impiego alle Ceramiche Marazzi di Sassuolo. E comincio a vedere l’ambiente industriale, a studiarlo, ad applicarmi nel pensare a piccole automazioni. Mi divertivo. Era il mio hobby: applicare l’elettronica ai processi industriali. Allora non lo faceva nessuno”. Studi particolari in materia? “Mi ero abbonato a una rivista che facevano a Torino. Si chiamava `Sistema pratico’ e si occupava di aeromodellismo, fisica, elettronica… Guardi qui, le conservo ancora, quelle riviste. Le ordinavo al mio edicolante, costavano 50 lire l’una e io le pagavo a rate, 20 o 30 lire per volta. Alla Marazzi mi hanno assunto perché nel palazzo dove abitavo stava anche il suo dirigente del reparto elettrico: ha visto che cosa facevo e mi ha dato fiducia. Insomma sono un autodidatta: ma guardi che un vero autodidatta non smette mai di studiare. “A vent’anni sono andato da mio padre e gli ho detto: `Babbo, mi metto per me cont’, come si dice da queste parti, e che vuol dire per conto mio, in proprio. Allora si diventava maggiorenni a ventun anni: e io, appena li ho compiuti, mi sono assunto la responsabilità di un’avventura e sono diventato imprenditore. Ho aperto la Coemss, che vuol dire Costruzioni Elettromeccaniche Stefani Sassuolo. Dopo quattro anni ho fondato la System”. Che aveva, allora, dodici dipendenti. Oggi i dipendenti di Stefani sono 6.800, in tutto il mondo, perché la System lavora per tutto il mondo: “Sono esportatore abituale. Sa che cosa vuol dire esportatore abituale? Che si esporta oltre il 50 per cento del fatturato. “Ho creato quattro aziende, che insieme hanno raggiunto il miliardo di euro di fatturato annuo. In 54 anni di lavoro ho versato al fisco più di trecento milioni di euro. E non ho mai fatto ricorso alla cassa integrazione. Mai, neanche un giorno, neanche nei momenti più difficili. Ho fatto tutto questo da solo. Mai avuto un socio, neanche quando ho aperto l’attività in Cina e tutti dicevano che per lavorare con la Cina occorreva un socio per avere le spalle grosse. Io di spalle ho solo le mie, gli ho caricato sopra uno zaino pesante e ho attraversato tutti i mercati del mondo da solo. Ho sempre avuto la curiosità di cercare nuovi mercati perché vuol dire scoprire nuovi popoli, nuove culture. “Mai avuto neppure un consulente, anche se ogni giorno della mia vita prendo dalle cinque alle dieci decisioni. E mai avuto neanche uffici legali: ho sempre deciso facendo ricorso al buon senso e assumendomene la responsabilità. Solo per la parte finanziaria ho dei collaboratori, perché la mia formazione è molto tecnica”. Errori? “Tanti. Certo che li ho commessi. Ma gli errori mi sono sempre serviti per imparare la strada giusta, per correggermi. E mi lasci dire una cosa: se ho potuto fare tutto questo, è anche perché ho avuto una moglie che mi è sempre stata vicina. Le debbo molto”. La svolta, il colpo di genio, fu appunto l’invenzione di una macchina ad alta compressione che può essere utilizzata su grandi superfici di ceramica, la quale viene resa robusta come l’acciaio, inscalfibile. E che viene così decorata: la System è leader mondiale nelle stampanti digitali. “Produco queste macchine e le vendo a chi fa ceramica”. E quello della ceramica è un settore che tira pure quest’anno, anche se la guerra in Ucraina ha frenato un po’. “Il processo ceramico è molto energivoro”, spiega Stefani, “e oggi l’energia ci costa dalle cinque alle dieci volte più di un anno fa. Il metano era 50 euro a megawatt, oggi è a 500”. E così arriviamo alla crisi, alla paura, al pessimismo tanto diffuso. Anche motivato? “Ho attraversato altre congiunture difficili, ma questa obiettivamente è molto diversa.

Per l’incertezza. Veda, noi abbiamo avuto la fortuna di settantasette anni senza una guerra. Ora siamo in mezzo a un conflitto di cui non si riesce a vedere la fine. C’è una grande confusione, nessuno si prende la responsabilità di dire: adesso basta. Da quando faccio l’imprenditore, questo è sicuramente il momento più incerto”. Per la guerra? “Non solo. Guardi, le faccio un discorso che parte un po’ da lontano, ma cerco di farmi capire. Fino a duemila anni fa l’uomo viveva estraendo ciò che la terra gli offriva. Poi è nata l’agricoltura: abbiamo cominciato a seminare noi a seconda del nostro fabbisogno. Poi abbiamo cominciato a produrre il carbone dagli alberi, deforestando. Poi abbiamo cominciato ad estrarlo, il carbone, dal sottosuolo, dove la natura l’aveva collocato. E così è stato per il petrolio, estratto dai fondali marini in cui la natura l’aveva collocato. Vuole che la natura non si ribelli? “Oggi ci siamo accorti che non possiamo più produrre CO2, e allora abbiamo deciso di passare all’elettrico. Già. Ma come? Si è deciso di passare all’auto elettrica, ma senza alcuna pianificazione”.

Ma veramente le energie rinnovabili, e i Verdi… “I Verdi? L’ecologia è una cosa seria. Parlano dell’eolico: ma l’eolico va consumato sul posto. Parlano del fotovoltaico, che è ottimo come sistema diurno. Ma ha bisogno di un accumulo che duri almeno dodici ore, ha un costo importante e una scadenza perché il ricevitore a base di silicio, quindi la cella fotovoltaica, dura 25 anni. Poi va sostituita e bisogna rinnovare tutto”. E quindi? “E quindi l’unica possibilità per dar da mangiare a sette miliardi di umani è l’atomica. Ma su questo c’è ancora un pregiudizio anacronistico. In Francia vivono grazie alle centrali nucleari, progettate dai nostri ingegneri, che sono i migliori: ci stiamo rovinando con le nostre mani. E’ una fonte di energia pericolosa? Il nucleare di quarta generazione non inquina ed è sicurissimo: anche se la centrale viene bombardata”. Battaglia persa? “No, io sono ottimista perché sono partite almeno cinquanta società che stanno facendo ricerca sul mini-nucleare: piccole centrali da mettere ai confini delle città. Sei di queste mini-centrali fanno funzionare una metropoli da dieci milioni di abitanti: riscaldamento, condizionatori, industria, tutto”. Stefani, perché la retorica sul paese finito, se poi abbiamo – fra l’altro – i migliori ingegneri nucleari del mondo? “E’ il disfattismo italiano. E viene dalla classe politica di questo paese. Chiunque vada al governo è contestato: dal popolo ma soprattutto dalla minoranza parlamentare. L’opposizione da noi non è mai costruttiva: si contesta a prescindere.

C’è una litigiosità, in Italia, che impedisce a chiunque di governare. Una litigiosità politica e ideologica”. E’ sempre stato così? “No. Fino al 1960 non è stato così. La classe politica degli anni `47-’60 veniva dalla guerra e dalla miseria e ha collaborato per ricostruire il paese. Aveva a cuore l’interesse degli italiani. Poi ci si è messi sempre a litigare per questioni di bottega. E così siamo fermi all’inizio degli anni Sessanta: forse solo con Craxi c’è stato un tentativo di ridare uno slancio al paese. Ma proprio ai tempi di Craxi è cominciata la demonizzazione della politica. “E poi c’è una cultura negativa diffusa, anche nei confronti degli imprenditori. Bisogna sempre avere un sospetto, bisogna sempre dire che c’è un `loro’ che ti frega. Così, ciascuno scarica la colpa su un fantomatico nemico e assolve sé stesso, si crea un alibi. “Io sono socialista. Ma non perché ho sperato in Craxi. Sono socialista per le mie origini, per il senso dei principi di vita che mi hanno insegnato. Avere a cuore gli interessi della società. Avere a cuore l’uomo. Guardi, lo so che detto da un imprenditore può sembrare strano, ma la cosa più importante della mia vita sono state le persone che ho incontrato. I miei dipendenti. Io cerco sempre di parlare con tutti, e so che da tutti possono imparare qualcosa che non so.

“Sto dedicando gli ultimi anni della mia vita a parlare ai giovani, nelle scuole. Hanno bisogno di ascoltare chi ha avuto una vita di lavoro e ha costruito qualcosa, perché devono vedere che è possibile costruire. Hanno bisogno di qualcuno che, con l’esempio, possa offrire loro una speranza. “L’altra sera ero in un ristorante e un ragazzo si è alzato dal suo tavolo per venire a salutarmi. `Anni fa – mi ha detto – lei è venuto a parlare al Don Magnani di Sassuolo, dove io studiavo. Mi ricordo bene che cosa ci disse. Oggi ho una famiglia e un’azienda. Volevo dirle grazie’. Ecco, ci sono soddisfazioni più grandi?”.

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Articolo pubblicato il 5 dicembre da il Foglio

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