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Fondazione Benetton, oltre la funzione didascalica della fotografia

Fondazione Benetton Studi Ricerche inaugura negli spazi Bomben di Treviso la mostra fotografica Un triennio di investigazione tra ambiente e fotografia del collettivo Synap(see), composto da fotografi provenienti da diverse regioni d’Italia che, da tre anni, hanno scelto di svolgere in modo corale indagini su temi che riguardano l’ambiente, la natura, la gestione e pianificazione territoriale nella penisola.

I progetti fotografici, esito di un triennio di ricerca centrato su parchi nazionali e regionali, fiumi e agro, saranno esposti dal 18 novembre 2018 al 6 gennaio 2019.

Il triennio di investigazione ha attraversato uno spaccato dell’Italia, passando per oltre nove regioni (dal Veneto alla Campania, dall’Abruzzo alla Lombardia) e trenta casi studio.

Un impegno che ribadisce la bontà della fotografia per interrogare, oltre che per scoprire, raccontare, descrivere, interpretare la realtà, e più nello specifico l’ambiente. Una funzione che va oltre quella puramente didascalica e che intende contribuire a dare maggiore profondità, spessore, intuizione alla riflessione e alla critica.

Il primo lavoro ha riguardato una selezione di parchi nazionali e regionali.

Il Delta del Po, le Alpi Apuane, l’Arcipelago Toscano, la regione del Partenio, le Foreste Casentinesi. La chiave che ha guidato la lettura è stata la definizione di confine. Il problema dell’inquinamento da microparticelle di plastica dell’Arcipelago Toscano, le attività estrattive di marmo nelle Alpi Apuane, l’educazione ambientale nel Parco Naturale Regionale Dolomiti Friulane di Erto sono alcuni esempi di questioni prese in esame dal progetto. Se si osserva un parco è evidente che le relazioni che esso instaura con il territorio non si esauriscono nella sua delimitazione amministrativa. In qualche modo il futuro o la salute di un parco dipendono da ciò che accade dentro e fuori di esso. Queste relazioni esprimono aspettative e prospettive non sempre coerenti che invitano a ripensare la gestione dei parchi stessi.

Nel secondo anno il collettivo si è dedicato a studiare alcuni fiumi.

I diversi progetti hanno messo a fuoco il rapporto tra uomo e corsi d’acqua, che è alla base dello sviluppo delle civiltà antiche ma anche di quelle industriali fino ai giorni nostri.

I casi studio scelti hanno preso in analisi questo rapporto sotto diversi punti di vista. Le opere per la tutela contro il rischio idrogeologico realizzate lungo l’Arno dopo l’alluvione del ʼ66, le memorie di una speciale convivenza raccolte dagli album famigliari degli abitanti della terra “di mezzo” tra i fiumi Secchia e Panaro, i differenti modi di vivere e appropriarsi dell’Adige, e altre singolari storie di piccoli corsi in Toscana, il Cecina, la Merse. Il fiume Pescara che interseca la vicenda industriale delle Officine Bussi.

Il fiume scorre per definizione e sembra resistere nonostante i tentativi umani di trasformarne il corso, di modificarne la qualità e la vita. Il fiume resta in qualche modo, ed è ciò che lo circonda e lo attraversa a modificare. Nuovamente sono le relazioni, i modi di convivenza, a delineare possibili percorsi per il futuro.

Con l’ultima ricerca, titolata Agro, il collettivo ha avviato una riflessione sugli usi del suolo, con particolare attenzione all’agricoltura, agli allevamenti e alle colture boschive.

Da un paio di decenni almeno si osserva un’onda di “ritorno alla terra” soprattutto da parte di una nuova generazione di contadini e allevatori di piccola scala che praticano una maggiore sostenibilità, rispetto degli animali e della natura. Il progetto ha raccolto diverse testimonianze in questo senso che compongono un mosaico di esperienze e modi alternativi di rapportarsi alla terra. Produzione di erbe medicinali, salvaguardia delle api, benessere degli animali, gruppi di acquisto solidali, coinvolgimento di lavoratori diversamente abili sono alcune delle nuove buone pratiche.

A fianco a queste si pongono altre sfide sollevate dai fotografi, come la corretta gestione dei boschi talvolta soggetti a massicce e discutibili operazioni meccaniche di “pulizia”, oppure il recupero di terreni un tempo produttivi e oggi abbandonati perché meno accessibili e redditizi.

 

 

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