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Convegno nazionale 2022. Tecnologia e innovazione per una transizione energetica | L’intervento di Maurizio Sella

26.09.2022

Roma – 24 settembre 2022 

Autorità, Signore, Signori, cari colleghi Cavalieri del Lavoro,

è per me un onore concludere questo convegno nazionale dedicato alla transizione energetica e, molto significativamente, dedicato ai contributi concreti che noi Cavalieri del Lavoro abbiamo già messo in campo per accelerare questo passaggio epocale.

Prima di esprimervi le mie considerazioni voglio ringraziare il Gruppo Centrale e il suo presidente Vittorio Di Paola per la perfetta organizzazione dei lavori di questa giornata, e il collega Franco Bernabè che ne ha tracciato il percorso di avvicinamento. Siamo arrivati al grado di consapevolezza di oggi grazie ai workshop preparatori che in questi mesi ci hanno visto coinvolti. La mia riconoscenza va anche al nostro Consiglio Direttivo, costante strumento di stimolo e di confronto, che a questi temi ha inteso dedicare una riunione tematica lo scorso 13 giugno.

Ringrazio e mi rallegro anche con i relatori, per l’impegno con cui hanno partecipato a questa iniziativa e per i contributi di riflessione che hanno portato. Ne abbiamo tratto motivi di conoscenza e spunti su nuove prospettive tecnologiche.

Il convegno nazionale dello scorso anno ci vide impegnati sul tema della “Grande Transizione”. In quell’occasione mi autodefinii un “missionario della sostenibilità” e indicai quella transizione come prioritaria. Quello che sta accadendo ha confermato quanto il senso di urgenza emerso da quel dibattito fosse opportuno.

L’energia e la sostenibilità sono infatti strettamente connesse.

Vi faccio rivedere aggiornati i dati dell’anno scorso.

Dati e fatti, dunque, ci dicono senza alcun dubbio che la sostenibilità ambientale merita il nostro impegno prioritario, come persone, come cittadini, come collettività, e come imprese.

Gli effetti dei cambiamenti climatici sono talmente rapidi da essere percepibili nel corso di un solo decennio: siccità, ondate di calore, scioglimento dei ghiacciai, incendi, fenomeni meteorologici estremi colpiscono ogni anno con frequenza ed intensità sempre maggiori.

La necessità che in campo energetico vi sia una transizione non è che l’altra faccia della transizione ambientale. La scienza ci ha spiegato come all’origine del riscaldamento globale ci sia l’effetto serra e come a causare l’effetto serra sia in gran parte il rapido sviluppo di una rivoluzione industriale alimentata da sorgenti energetiche fossili, dall’aumento della popolazione mondiale e dal connesso incremento di bisogni e consumi.

Cosa fare?

Mi limito a ragionare su alcuni punti.

Nel processo di transizione energetica è essenziale lavorare sul frazionamento dei rischi.

Credo che il settore dell’energia degli ultimi anni sia stata basata su un errore gestionale che un banchiere non farebbe. Senza accorgecene, forse anche per la comodità del basso costo del gas russo, abbiamo concentrato i rischi.

Il primo rischio che abbiamo concentrato è che ci siamo basati su produzioni che derivavano soprattutto dal gas. Se guardiamo al prospetto sulle fonti energetiche citato dal presidente Jonathan Adair Turner nella sua relazione, ci rendiamo conto che noi avevamo un gas che, fatto 100 il totale, era molto alto.

Questo è un rischio da non correre, meglio avere molte fonti diverse di energie.

Nell’ambito delle molti fonti, e quindi facendo scendere decisamente il gas, dobbiamo evitare un secondo rischio, quello relativo ai fornitori. È molto meglio la situazione odierna, cambiata in poco tempo dal presidente Draghi, di molti fornitori di gas, che basarci su un fornitore solo.

Poi si sono le tecnologie e l’innovazione. Il terzo rischio è di concentrare la fornitura di soluzioni, materie prime o prodotti su pochi fornitori. Pensiamo ai microchip, forniti soprattutto da Taiwan, o anche al solare, dove le forniture dei pannelli è soprattutto di derivazione cinese. Bisogna ritornare a produzioni nazionali.

Va dunque incoraggiata la diversificazione di fonti, fornitori e tecnologie.

Per quel che riguarda le tecnologie rinnovabili (solare, eolico, idroelettrico, biomasse, geotermico, maree, onde, correnti sottomarine, per citare solo le principali), dobbiamo tenere in conto che per tutte le tecnologie rinnovabili lo sviluppo sarà portato dal mercato. E io sono totalmente d’accordo con chi ha detto “non sia il governo a orientare le tecnologie, lasciamo fare al mercato”. E vincerà il migliore.

Altro aspetto da tenere in grande considerazione, dal mio punto di vista, è quello dei costi. Abbiamo visto come, nel corso degli ultimi dieci anni, sia stata significativa la discesa dei costi del solare e dell’eolico. Se questa discesa continuerà anche nei prossimi dieci o venti anni alla stessa velocità degli anni precedenti, cambieranno anche le relazioni e i rapporti.  Determinate fonti energetiche potranno non essere più convenienti, sia di nuovo o sia di vecchio stampo. Quindi anche negli investimenti che ciascuno di voi farà nelle rinnovabili è importante il problema dell’evoluzione del costo e, quindi, del prezzo.

Nel settore energetico sta accadendo quello che a metà del secolo scorso è accaduto in quello informatico. Il potenziamento esponenziale delle tecnologie informatiche (legge di Moore) è stato il motore dell’innovazione che ha cambiato le nostre vite, il nostro modo di fare impresa.  Cambierà in modo analogo anche il nostro modo di produrre energia.

La soddisfazione che ho è che uscendo dal convegno di Bologna, un anno fa, avrei valutato un 30% di colleghi Cavalieri del Lavoro sensibili a questo tema, oggi mi pare che siamo ben oltre il 70%. La consapevolezza dei Cavalieri del Lavoro gli esperti intervenuti è tale per cui ho la sensazione che la cultura stia cambiando molto velocemente.

Stiamo passando da una produzione centralizzata dell’energia a una produzione decentralizzata, questo vuol dire che a giocare un ruolo sempre più decisivo saranno anche i singoli operatori, le piccole imprese, le famiglie. E proprio per questo credo ci siano buone ragioni per essere ottimisti.

Il coinvolgimento crescente dei cittadini nel processo di transizione energetica si accompagna a una altrettanto crescente sensibilizzazione della cultura pubblica. Sono gli investitori i primi a informarsi sulla sostenibilità di un’azienda, sono i clienti i primi a voler conoscere l’impatto ambientale dei prodotti finanziari che acquistano. Sono sempre di più gli ingegneri che nelle nostre aziende sono chiamati a occuparsi di tecnologie per la transizione energetica.

Questa crescente consapevolezza culturale incide profondamente sul mercato e sui processi industriali, apre scenari e prospettive nuove che non dobbiamo temere ma, anzi, incoraggiare.

Negli ultimi dieci anni la questione climatica ed energetica riguarda soprattutto le soluzioni. Se siamo qui oggi è perché sappiamo, lo abbiamo capito da tempo, di voler essere dalla parte delle soluzioni. Il titolo del nostro convegno, del resto, lo dice esplicitamente: “Tecnologia e innovazione per una transizione energetica. Il contributo dei Cavalieri del Lavoro”. Siamo portatori – e ne sentiamo forte la responsabilità sociale – della cultura del lavoro, del fare, del realizzare.

Viviamo nel pieno di un cambio di paradigma: comportamenti e modelli considerati fino a ieri immodificabili sono in rapida trasformazione. Si sta configurando un nuovo mondo, animato da linguaggi inediti e scandito da metriche ancora da definire, un mondo che i presenti in questa sala, attraverso pratiche, scelte di mercato, nuovi e diversi investimenti, innovazioni di processo e di prodotto, attraverso nuove modalità di organizzazione delle di fabbriche e imprese, hanno già realizzato.

Lasciatemi sottolineare come molti dei progressi tecnologici nelle rinnovabili possano rappresentare una straordinaria occasione per il nostro Paese, in particolare per il Centro Sud. Ricordo cosa è successo in Norvegia quando ha scoperto di avere ingenti risorse di oil e di gas fossili. È stato un cambiamento epocale. Penso che lo stesso possa accadere in Italia. Con la significativa differenza che, mentre per la Norvegia parliamo di fonti fossili, per il Centro Sud parliamo di fonti rinnovabili. Da questo punto di vista, la Norvegia rappresenta il passato, mentre il nostro Mezzogiorno rappresenta il futuro.

Il Mezzogiorno è nelle condizioni di creare energia e ricchezza. Di questo non c’è ancora una chiara percezione, ma sono certo che tale consapevolezza sia sempre più forte. È un’opportunità straordinaria per un Centro Sud che per tanto tempo ha fatto fatica.

Alla vigilia di un appuntamento elettorale importantissimo per il nostro Paese, vogli oggi sottolineare come il Governo guidato da Mario Draghi abbia fatto tanto, e bene, per fronteggiare le numerose emergenze che l’Italia si è trovata a dover affrontare nell’ultimo anno. Si è finalmente iniziato a liberalizzare l’installazione dei pannelli fotovoltaici, sono stati sbloccati 11 parchi eolici, sull’installazione dei nuovi rigassificatori si sono date indicazioni certe e si è dato il via libera allo sfruttamento di fonti energetiche, come il geotermico, da anni accantonate.

Tutti questi sforzi non vanno vanificati.

Si parla, per esempio, di semplificazione ma poi si leggono cose che lasciano interdetti. Da un recente rapporto (Osservatorio Regions 2030) pubblicato dal Sole 24 ore emerge come il 70% dei progetti sulle rinnovabili sia stato bloccato per vincoli paesaggistici. Non c’è dubbio che si tratti vincoli più che legittimi, ma spesso si arriva a dei parossismi. Chi vede più i vecchi tralicci? Nessuno. Ma non perché non ci sono più, semplicemente perché nessuno ci fa più caso. Gli stranieri, per esempio danesi, tedeschi, svedesi, sono talmente abituati ai parchi eolici e ai pannelli solari che quando vengono in Italia chiedono come mai non ci siano. Lo stupore è il contrario! Le pale eoliche, i pannelli solari certamente incidono sul paesaggio, spesso però capita che chi vi si oppone lo fa in nome di uno status quo cui ci si è semplicemente abituati e non in nome di un paesaggio migliore.

Mi chiedo quale sia il vantaggio di proteggere il paesaggio se poi si lascia bruciare, allagare e devastare dalle frane il nostro territorio e il pianeta.

Gli impianti necessari, con le necessarie cautele, vanno realizzati. E in fretta.

È evidente che l’Italia non può vincere questa battaglia da sola. Nessun Paese può, da solo, rispondere alle difficoltà dettate dalla dipendenza del gas russo e, più in generale, alle enormi sfide della transizione energetica.

Sul prezzo del Gas il Governo italiano è stato il primo a proporre il meccanismo del price cap e la Commissione Europea ci sta finalmente lavorando.

Come è stato ribadito anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, cui voglio qui rinnovare – a nome di tutti – il un profondo ringraziamento per il suo inappuntabile lavoro teso a tutelare il prestigio del nostro Paese, “l’Europa è chiamata, ancora una volta, a compiere un salto in avanti”.

 

Altro tema riguarda le banche. Un tema che, al contrario di quel che si potrebbe ritenere, non incide solo su noi banchieri ma, più in generale, su tutte le imprese.

Coerentemente con la strategia Europea per la finanza sostenibile, nel settore finanziario e bancario molteplici sono gli ambiti sui quali stanno intervenendo le diverse autorità di regolamentazione, dalla Commissione Europea, all’EBA alle Autorità di Vigilanza Europea a quelle Nazionali, agli standard setters come Efrag, GRI, IASB, per disciplinare i temi legati ai fattori ESG, con particolare attenzione all’inclusione dei rischi connessi ai cambiamenti climatici e ambientali nelle valutazioni di rischio degli enti finanziari.

Abbiamo una pletora di nuove normative.

Tra direttive, regolamenti, aspettative di vigilanza, linee guida, sono più di venti gli interventi normativi di ampia portata che riguardano l’ambito ESG a cui vanno poi aggiunte le norme che ne danno attuazione (atti delegati, decreti attuativi, regulatory technical standards e gli Implementing technical standards), con i conseguenti impatti in termini organizzativi e economici necessari per poter essere “compliance”.

Diversi di questi interventi normativi hanno già sviluppato i loro effetti, altri li svilupperanno nei prossimi mesi e nei prossimi due o tre anni.

Tra i principali temi di intervento normativo in ambito ESG, che trasversalmente riguardano molteplici ambiti dell’attività bancaria, troviamo il credito, i requisiti di capitale, la pianificazione strategica, la disclosure, gli investimenti, e la gestione dei rischi.

Queste normative, che in taluni casi sembrano impattare esclusivamente o prioritariamente le banche, in realtà coinvolgono in maniera importante anche le imprese e l’intero sistema produttivo.

Infatti, la rilevanza che assumono i rischi climatici e ambientali in particolare nell’influenzare il rischio di credito e il conseguente inserimento di questi fattori nella valutazione del merito creditizio dei clienti da parte delle banche comporta necessariamente il forte coinvolgimento delle imprese che in qualità di clienti sono chiamate a fornire i dati e le informazioni necessarie nel rapporto banca impresa. La qualità dei dati forniti dalle imprese alle banche, la loro disponibilità e condivisione è elemento essenziale per consentire al sistema finanziario di giocare il proprio ruolo nel supporto della transizione verso un’economia a basse emissioni e certamente rappresenta un passaggio fondamentale per tutti gli attori coinvolti: autorità, intermediari finanziari e imprese.

L’Europa è l’attore fondamentale per tracciare la strada della transizione, anche se occorre sempre tener presente lo scenario globale.

Non ci sfugge affatto l’impatto di una decisione come quella di bandire in modo unilaterale la vendita di tutti i motori endotermici a partire dal 2035. Siamo sicuri che il governo provvederà a coadiuvare le imprese coinvolte nella transizione di questo settore, così come provvederà a coadiuvare le imprese dei settori energivori. Il 2035 rimane, tuttavia, un orizzonte temporale fermo.

Molti vedono in questa scelta solo criticità, ma come dicevo anche prima: viviamo un cambio di paradigma, i modelli che finora hanno generato ricchezza devono lasciare spazio a nuovi modelli, sostenibili e altrettanto gravidi di benessere. La decrescita felice, lo sappiamo bene, è solo una illusione ideologica utile a facili quanto sterili populismi.

I Cavalieri del Lavoro rappresentano una parte importante dell’economia del Paese – come la ricerca condotta in collaborazione con Crif dimostra. Anche in un anno di forte crisi come il 2020 (ultimi dati consolidati disponibili) le aziende dei Cavalieri del Lavoro hanno fatto registrare una significativa propensione agli investimenti: oltre il 4% del fatturato rispetto a una media nazionale inferiore all’1%. Le imprese dei Cavalieri del Lavoro hanno mostrato una tenuta migliore in termini di metriche creditizie, di sostenibilità del debito, di patrimonializzazione e di occupazione. Sono dati notevoli, perché le aziende sane non solo contribuiscono a rendere più solido e fertile il tessuto produttivo in cui operano, ma concorrono a migliorare la tanto importante reputazione internazionale del Paese.

Essere un’eccellenza comporta grandi responsabilità e noi le assumiamo con orgoglio, animati da forza di volontà e reale capacità realizzativa.

Oggi ne abbiamo avuto un ennesimo esempio: dalla generazione di energia alle reti distributive, dalla trasformazione delle filiere manifatturiere allo sviluppo di tecnologie innovative, le imprese dei Cavalieri del Lavoro protagonisti nella transizione energetica.

L’Italia è un grande Paese. Chiunque avrà responsabilità di governo sappia esserne all’altezza e contribuisca ad accrescere la stima e la reputazione che, giorno dopo giorno, le nostre imprese si guadagnano in giro per il mondo. Chiunque vinca dovrà essere incentivato a non cambiare questa situazione.

Tra gli impegni più gravosi e urgenti del nuovo esecutivo ci sarà senza dubbio la piena attuazione delle richieste del Pnrr. Ci auguriamo che non ci siano tentennamenti e che si percorra con puntualità e competenza la strada finora intrapresa. Immaginate un governo che ci farà rinunciare al grande regalo del Pnrr perché non agisce come Draghi? Io lo ritengo impossibile.

Con il Pnrr l’Europa ha saputo dare una risposta adeguata a un’emergenza senza precedenti. Lo ha fatto pensando innanzitutto alle nuove generazioni, alla Next Generation Eu.

È quello che invito tutti noi a fare adesso. La transizione energetica è una sfida enorme e noi, donne e uomini di impresa, non possiamo che guardare ai più giovani non solo per trovare il senso ultimo delle nostre responsabilità, dobbiamo guardare ai giovani anche per trarre ispirazione dai loro comportamenti.

“Contiamo sui giovani – faccio qui mie le parole pronunciate da Draghi pochi giorni fa in occasione del “Youth4Climate”, a margine dell’assemblea generale dell’Onu a New York – affinché ci aiutino a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e ad attuare l’Accordo di Parigi. La loro connessione con le comunità, la loro capacità di trovare soluzioni innovative, la loro determinazione a costruire società più sostenibili sono oggi più che mai necessarie”.

Dai più giovani traiamo una spinta fortissima verso produzioni, verso consumi e tecnologie sostenibili, verso un uso più responsabile delle risorse. I più giovani ci conducono al cambiamento e noi abbiamo il dovere di farli crescere nel solco di questo profondo cambiamento culturale.

Sono certo che, così come abbiamo sempre fatto in passato, noi Cavalieri del Lavoro sapremo coltivare e favorire questo passaggio culturale. Sono certo continueremo a essere protagonisti del cambiamento anche in futuro. Nell’interesse di tutti. Personalmente sono molto ottimista.

Grazie.

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