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Contro le esondazioni si produce energia nelle Marche, lungo il fiume Esino, due chilometri scorrono già nel futuro

02.01.2023

Pochi chilometri, meno di go in linea d’aria, separano la Valle dell’Esino dalle vallate dei fiumi Misa e Nevola, le terre alluvionate lo scorso settembre tra le province marchigiane di Ancona e Pesaro Urbino. Eppure ancora oggi, per chi si sposta con gli elicotteri della Protezione civile, il paesaggio dall’alto appare segnato dai colori del fango e del verde: da una parte, a Nord, i segni del disastro idrogeologico costato la vita a 12 persone; dall’altra i boschi della Gola Rossa e le belle campagne ordinate e fertili che scendono verso il mare intorno al corso dell’Esino. La differenza non è frutto del caso, né della conformazione geologica.

La differenza tra l’inferno e il paradiso, questa volta, l’ha fatta l’uomo. Si perché intorno ad Angeli di Rosora (comune italiano d11.850 abitanti in provincia di Ancona), sono stati realizzati in quindici anni quelli che gli esperti di gestione territoriale chiamano i «Due chilometri di futuro». Si tratta di un’area dove la forza del fiume viene governata dall’uomo grazie ad un accordo pubblico-privato con cui Comuni, Regione, Provincia e vari altri interlocutori affidano all’impresa Loccioni la messa in sicurezza, la gestione e la manutenzione di un tratto del fiume Esino, contro la minaccia di inondazioni. La sistemazione e la messa in sicurezza del fiume per contenere il rischio idrogeologico sono frutto di un investimento privato nel pubblico («un investimento per tutti, non solo per la nostra impresa»): un esempio importante in una regione dove i disastri da maltempo sono devastanti non solo dallo scorso autunno. Benvenuti in quella che punta a diventare la prima e-valley italiana: qui, intorno all’Esino, il secondo più importante corso d’acqua che scorre nelle Marche, portata media annuale di r8 metri cubi al secondo, tra le colline della Vallesina, sorge la “Leaf Community”, prima comunità di lavoro ecosostenibile in Italia a impatto zero. La creatura di Loccioni. Qui la ricerca per la completa autonomia energetica è diventata l’occasione per riqualificare il paesaggio del fiume.

Tutto cominciò sul finire degli Anni 80. All’epoca Enrico Loccioni era un piccolo imprenditore marchigiano. Oggi, a 78 anni guida una multinazionale attiva in 45 Paesi con 9 sedi all’estero in Germania, Usa, Giappone, Cina, India, Messico, Corea, Francia e Svezia; un fatturato di oltre 120 milioni di euro e 450 collaboratori. Una società che da oltre 5o anni studia e progetta alta tecnologia per la misura e il controllo, «per il miglioramento della qualità, dell’efficienza e della sostenibilità di prodotti, processi ed edifici». Poco più di trent’anni fa Loccioni aveva notato come la natura della sua valle stesse cambiando: con l’esondazione del fiume nel 1990 aveva realizzato il valore della manutenzione dei boschi e delle campagne, un tempo tenute in ordine dai contadini “frontisti”, e come le briglie, i mulini curati che controllavano il ciclo dell’acqua stessero scomparendo. E aveva scelto di intervenire.

Manutenzione e micro rete Il corso dell’Esino, così irruento e torrentizio, era una minaccia. Invece negli anni ha fornito le condizioni ideali per la produzione di energia elettrica pulita. Ed è il motivo per cui questa tra le province di Ancona e Macerata è detta «la valle dello sviluppo». Ma Loccioni ha capito che non bastava. Oggi quell’imprenditore visionario e testardo può dirsi soddisfatto: non solo ha combattuto e vinto una non semplice battaglia per riuscire ad investire sulla produzione autonoma di energie rinnovabili, ma ha saputo trovare un modo nuovo ed ecologico di governare la natura. E un nuovo modello di sviluppo industriale che coniuga davvero sostenibilità e crescita economica. Sul fiume sono stati posizionati centinaia di sensori, «e sono già tre volte che ci rendiamo conto che se non avessimo fatto i lavori saremmo stati alluvionati: poteva accadere nel 2013, nel 2018 e quest’anno». A monte e a valle è successo. Quel «due chilometri di futuro» ormai sono diventati quattro o cinque, perché «il flume, se non lo pulisce nessuno, se non tieni l’alveo pulito si attappa, diventa una bomba: scendono tronchi d’albero e sassi».

Come è accaduto, purtroppo, più a Nord. Per contro, qui gli impianti micro idroelettrici producono un Gigawatt l’anno, e se d’estate c’è meno acqua interviene il solare: gli impianti fotovoltaici (per lo più sui tetti degli uffici) sono ben 13, sviluppati su 35mila metri quadri di pannelli che producono 1.87o kilowattora. Non solo. La rete elettrica della smart-grid che alimenta gli stabilimenti si basa, oltre che su solare e idroelettrico, sulla pirogassificaazione a biomasse; con impianto alimentato dal materiale vegetale trasportato dal fiume Esino, che genera il teleriscaldamento. II gas è stato abolito del tutto già da died anni. Ecco perché va sottolineato che qui «il flume produce le risorse economiche necessarie per la sua manutenzione». Quando l’energia è eccedente viene stoccata nelle batterie di accumulo o immessa in rete. Oltre ai sistemi di accumulo tradizionali, è stato realizzato uno storage second life, cioé un sistema che utilizza vecchie batterie di auto elettriche, non più utili alla trazione ma che possono essere impiegate come storage di energia fino a dieci anni. Inoltre si sta sperimentando anche l’accumulo stagionale a idrogeno verde e l’accumulo gravitazionale. «È un sistema sinergico, perché ha sempre una dotazione di riserva», spiega Luigi Avantaggiato, che qui ha realizzato per Pianeta 2030 un reportage. «Se una delle fonti energetiche cala il suo rendimento ne interviene un’altra. Ma il saldo finale è sempre a impatto zero».

Taglio dei consumi Qui d si muove con mesi elettrici, si studia in una scuola ad energia solare, si lavora e si fa ricerca in edifici alimentati da fronti rinnovabili grazie alla prima micro-grid energetica intelligente d’Italia. Un lungo lavoro di miglioramento e transizione ecologica ante litteram iniziato nel 20o8. C’è poi un laboratorio per la sicurezza delle infrastrutture e il monitoraggio delle piene, c’è una pista ciclabile lungo il fiume. Vasche di raccolta dell’acqua piovana consentono di risparmiare il 75 per cento della potabile per fini irrigui. I benefici sono evidenti per l’intera comunità, che insieme all’accessibilità recupera il valore delle storie e le tradizioni del fiume. «Qui non c’è linea di produzione, sviluppiamo progetti su misura per grandi clienti internazfonal », racconta Loccioni portandoci in visita tra i grandi laboratori con le nuove linee di collaudo per i motori Porsche, o quelle per i test su moderne batterie per auto elettriche. «Qui non c’è il concetto dell’operaio piuttosto che del manager e tutti gli spazi, fin dagli Anni 8o, dovevano essere allo stesso modo confortevoli». Tanto per fare un esempio: fin dai primi anni dell’impresa, Enrico e la moglie Graziella vollero che venisse installata subito l’aria condizionata per tutti, in tutti gli ambienti di lavoro, uffici o laboratori. E inevitabilmente «le bollette della luce schizzarono verso l’alto». Fu una fortuna: perché gli imprenditori marchiglani, anziché fare marcia indietro, decisero di studiare il modo di consumare meno e consumare meglio. Pensarono a come garantire confort alle persone, senza avere un aumento vertiginoso dei costi. Da qui nacque la loro grande attenzione alle tecnologie per l’ambiente. La svolta, poi, arrivò nel 2005 -2006, quando i Loccioni incontrarono il professor Federico Maria Butera (autore del libro Dalla caverna alla casa ecologica), allora docente del Politecnico di Milano. Nel 2008, fu varato il primo progetto concreto: «Una caca, una foresteria dedicata ai nostri collaboratori», sottolinea Loccioni. In piccolo, era forse il primo laboratorio italiano del «costruire sostenibile».

La casa-laboratorio del futuro Butera ancora viene a Angeli di Rosora una volta al mese. E alloggia lì, nella prima casa ecologica in Valle dell’Esino, costruita con investimenti privati della famiglia Loccioni: «Volevamo una casa che integrasse tutte le tecnologie a disposizione e misurasse tutte le soluzioni», spiega il titolare. «Così nel 2o08 iniziammo con le batterie a idrogeno, poi sostituite con quella al litio. Le luci, gli elettrodomestici e tutte le funzioni nei sei appartamenti sono regolate da sensori e siamo al lavoro per un continuo miglioramento». Avveniristica per l’epoca, la guest house sull’Esino era una realizzazione molto vicina alle persone, «molti colleghi abitavano lì e ci spiegavano cosa voleva dire svegliarsi la mattina con l’aria fresca nelle camere», spiega Maria Paola Palermi, responsabile comunicazioni corporate; «ci parlavano dei bassi rischi di allergia, della lavatrice che andava con il timing; di come risparmiavano nei consumi». Oggi sono temi d’attualità, ma allora era come vivere un’esperienza nel futuro. Fu anche l’occasione per far crescere la sensibilità ambientale e le capacità dei vari player coinvolti nel progetto: dai produttori di impianti di raffrescamento/riscaldamento a quelli di elettrodomestici. Oggi da Loccioni arrivano studenti del Politecnico di Milano con il `Team Building Tour” che ha già coinvolto oltre 5o Innovation manager di 4o diverse aziende. Ma anche gli alunni delle scuole per percorsi didattici.

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Articolo pubblicato il 28 dicembre da Il Corriere della Sera Pianeta 2030

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