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Cerimonia al Quirinale 2018, l’intervento del presidente D’Amato

08.11.2018

Signor Presidente,

Autorità, Signore e Signori, Cari Colleghi,

oggi 25 imprenditori, uomini e donne, ricevono da Lei le insegne di Cavaliere del Lavoro per il contributo da loro dato alla crescita sociale, civile ed economica della nostra Repubblica.

Questa onorificenza è il riconoscimento ad una vita di impresa fondata sul merito, sul talento, sulla capacità di competere rischiando, sul duro lavoro di tutti i giorni, sull’impegno sociale e civile. È il premio che testimonia la capacità di questi imprenditori di costruire, con i propri collaboratori, imprese che sono fonte non solo di occupazione ma anche di opportunità di crescita individuale, di riscatto sociale, di benessere per le comunità in cui operano e di progresso per il proprio Paese.

Sono questi imprenditori i protagonisti di quelle buone imprese che mantengono alta la reputazione dell’Italia nel mondo e che hanno dimostrato di saper creare quel buon lavoro di cui le famiglie italiane hanno sempre più bisogno.

Insieme con i neo Cavalieri del Lavoro, vengono oggi premiati i 25 migliori studenti diplomati dalle scuole medie superiori italiane.

Gli Alfieri del Lavoro, quei ragazzi che grazie all’impegno individuale e al proprio merito, hanno saputo distinguersi e che sono i punti di forza su cui radicare il nostro futuro.

Convergono qui oggi, dunque, testimonianze di uomini e donne, di ragazzi e di ragazze, uniti insieme da un comune sentire: quello di mettersi in gioco puntando sulle proprie capacità per costruire il proprio percorso di vita, senza tendere la mano, senza rincorrere favori, senza chiedere assistenza.

I primi rappresentano realtà e storie di successo.

I secondi sono le potenzialità sulle quali dobbiamo saper investire.

Queste energie, per esplicarsi nella loro pienezza, hanno bisogno di un Paese che sappia riconoscere e valorizzare anziché ostacolare e impedire.

Un Paese che sappia progettare e costruire il proprio futuro per riappropriarsi del proprio destino.

Da troppo tempo l’Italia langue per mancanza di crescita economica, per il degrado ambientale e infrastrutturale, per le crescenti emarginazioni sociali e per la insostenibile frattura tra Nord e Sud in termini di occupazione e di sviluppo.

Nonostante gli sforzi di un sistema industriale che rappresenta, comunque, la seconda realtà manifatturiera europea e nonostante i pur significativi successi delle nostre imprese sui mercati internazionali, permangono le intollerabili arretratezze di un sistema-Paese che continua a moltiplicare le proprie contraddizioni.

Fino a ieri la dicotomia tra ciò che potremmo essere e ciò che siamo rappresentava, per chi ne aveva la consapevolezza, una vera mortificazione.

Oggi il contrasto tra ciò che dobbiamo essere e la nostra realtà quotidiana, rappresenta una vera emergenza e una responsabilità cui il ceto dirigente del Paese non può continuare a sottrarsi.

Per uscire da questa spirale viziosa, che dura oramai da troppi anni, bisogna puntare con decisione sulla crescita del nostro Prodotto interno lordo al fine di generare quelle risorse necessarie per creare più occupazione e più equità sociale.

Rilanciare la crescita vuol dire rilanciare investimenti pubblici e privati.

Quelli pubblici devono essere focalizzati sull’adeguamento del sistema delle infrastrutture e sul risanamento ambientale e idrogeologico del nostro Paese devastato da decenni di incurie.

Gli investimenti privati sono indispensabili perché il sistema produttivo italiano possa crescere in qualità e dimensioni adeguate alla sfida della competizione globale.

Sia nel pubblico sia nel privato occorrono poi significativi investimenti sulle competenze e soprattutto sulla conoscenza che rappresenta il nostro vero vantaggio competitivo.

Noi non abbiamo materie prime.

È sulla capacità di pensare e di fare che ci misuriamo con il resto del mondo. Gli investimenti, sia quelli pubblici sia quelli privati, nella dimensione, nella qualità e nei tempi necessari, richiedono chiarezza e assoluto rigore nella definizione delle priorità e nella realizzazione di un programma di riforme che non è più procastinabile: la gestione attiva del mercato del lavoro, strumenti di flessibilità occupazionale, una rapida giustizia civile, lo snellimento e la trasparenza delle procedure della Pubblica amministrazione, valide soluzioni di contrasto alla corruzione.

È facendo così che si coniugano il  rigore e la crescita che non sono affatto in contraddizione, ma anzi, al contrario, sono strettamente interdipendenti.

Solo grazie al rigore nella gestione della spesa corrente e nella definizione delle riforme sociali, economiche ed istituzionali che si recupera quella autorevolezza necessaria per rilanciare la politica degli investimenti senza che questo indebolisca la fiducia dei mercati e comprometta il rapporto con un’Europa che, seppure in crisi, è più necessaria che mai.

La fiducia nel nostro Paese e la nostra credibilità sui mercati internazionali non rappresentano una gratificazione fine a se stessa, né un’opzione di cui possiamo fare a meno con superficialità.

Fiducia e credibilità sono condizioni indispensabili non solo per evitare un pesante aggravio della spesa per interessi, né solo per evitare che i titoli delle aziende italiane vengano depressi nel loro corso azionario diventando così appetibili obiettivi di acquisizioni speculative.

Fiducia e credibilità sono soprattutto irrinunciabili perché chi deve affrontare il rischio di competere nel mondo abbia voglia e ragioni di investire in Italia.

Se non si consolida e aumenta la base produttiva del Paese non c’è modo di far crescere occupazione e  ricchezza pubblica e privata.

Non sono supporti assistenzialistici, né anacronistici ritorni dell’intervento pubblico nell’economia, né tantomeno obsoleti irrigidimenti di un mercato del lavoro ancora troppo arretrato e ingessato che possono cambiare la qualità della vita delle famiglie italiane.

È solo creando più lavoro, quel buon lavoro nel quale noi Cavalieri del Lavoro crediamo fermamente, che possiamo assicurarci sviluppo ed equità sociali sostenibili e durature. Liberiamo il potenziale competitivo dell’Italia.

Ridiamo alle imprese centralità e attenzione. Diamo ai giovani la fiducia nelle loro capacità. Facciamo venir loro voglia di diventare creatori di impresa e promotori di nuove opportunità.

Certamente sapendo di dover rischiare e di dover mettere in gioco se stessi. Ma, comunque, sapendo di poter sempre contare su di un consenso sociale ancora oggi troppo spesso negato.

Signor Presidente,  nel suo discorso per la celebrazione del Primo Maggio, ha voluto ricordare a tutti che la Costituzione, di cui quest’anno ricorrono i 70 anni dall’entrata in vigore, pone il lavoro a fondamento della Repubblica.

Più di recente ha sollecitato “uno sforzo condiviso, un dialogo costruttivo e un alto senso di responsabilità da parte della politica, delle istituzioni, delle imprese, delle associazioni e della società civile per scelte consapevoli con una visione di lungo termine nell’interesse collettivo”.

È un impegno necessario per assicurare un futuro all’Italia.

Un futuro che noi non possiamo non immaginare se non come protagonisti di un’Europa più forte, più unita e più solidale. È questa l’Europa che dobbiamo saper costruire per assicurarci democrazia, coesione sociale e pace. A questo sforzo comune non mancherà mai l’impegno pieno e convinto dei Cavalieri del Lavoro italiani.

Grazie

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