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Carlo Acutis: L’azienda è una comunità

22.05.2020

In questo periodo così provato dalla pandemia e dal conseguente blocco forzato di gran parte delle attività economiche globali, si rende più che mai urgente pensare come, una volta superata la crisi, si possa ripartire dirigendoci verso un’economia più sostenibile e a misura d’uomo. Ma le aride esigenze dell’economia sembrano spesso inconciliabili con quelle della fede e ci si trova a volte di fronte a sterili contrapposizioni ideologiche; è come se mancasse un quadro di ragionamento condiviso, alla base delle realtà economiche, che aiuti a dialogare su questo tema così complesso. Forse le persone che hanno al contempo un legame con la fede e con l’economia ci possono aiutare. Abbiamo voluto sentire a questo proposito il punto di vista di Andrea Acutis, Presidente di Vittoria Assicurazioni e padre del venerabile Carlo Acutis di cui è in corso la causa di beatificazione.

Come si inserisce l’economia nelle relazioni umane?
Nessuna persona, al di fuori di Dio, può essere felice come entità solitaria isolata da tutti. D’altra parte, Dio è Trinità, non solitudine. Anche dal punto di vista materiale per vivere bene abbiamo bisogno di collaborare con gli altri. Infatti, se ognuno di noi dovesse provvedere autonomamente a tutte le proprie necessità, vivremmo isolati dagli altri e nella completa indigenza. In tutte le società si può constatare il bisogno di dividere i compiti, secondo le diverse capacità e attitudini. Ognuno ha bisogno dell’altro. Gran parte delle relazioni sono legate alla sfera dell’amore e non richiedono nulla in cambio, come nel caso della madre che accudisce i figli o di qualsiasi altra prestazione gratuita e disinteressata. In questa sfera possono rientrare anche le attività del cosiddetto terzo settore. Queste sono le relazioni che rendono la vita degna di essere vissuta. Ma generalmente i rapporti che riguardano la produzione, la distribuzione e il consumo delle merci e dei servizi, quindi i rapporti economici, non fanno parte di queste relazioni disinteressate: questa parte dell’economia non è guidata dalla carità. L’economia quindi, se limitiamo la sua sfera a ciò che confluisce nel prodotto interno lordo, è regolata da altri principi.

Qual è il principio che dovrebbe regolare una buona economia?
Il motore dell’economia è lo stato di bisogno in cui si trovano le persone. Per soddisfare i nostri bisogni abbiamo tre possibilità: o convinciamo qualcuno a regalarci quello che ci serve, oppure lo rubiamo o, infine, proponiamo uno scambio di pari valore. Restando alla nostra definizione circoscritta di economia, essa riguarda allora degli scambi interessati, non gratuiti, ma non per questo negativi. Siamo nella sfera della giustizia che richiede che ad ognuno sia dato ciò che gli spetta, facendo sempre fronte ai propri impegni. Il principio della giustizia non viene ad esempio rispettato se il prodotto o il servizio dato non corrisponde a quanto promesso, oppure se non si riconoscono delle condizioni dignitose ai lavoratori, magari prendendo come scusa che le leggi o le condizioni di mercato lo consentono, o ancora quando si danneggia tutta la comunità a causa dell’omissione delle cautele necessarie per contenere i danni ambientali. Allo stesso modo il principio non è rispettato se il lavoratore non si impegna a fare bene il proprio lavoro. In tutti questi casi si è implicitamente deciso di scegliere la scorciatoia del furto. Occorre tuttavia tenere presente che il solo criterio della giustizia non è sufficiente a rendere un’attività economica umana e quindi vivibile, insomma non basta la giustizia per fare una buona economia. Applicare rigidamente e meccanicamente un criterio di giustizia senza un minimo di misericordia che aiuti quando opportuno a chiudere un occhio di fronte a debolezze veniali, porterebbe ad un clima infernale. Ciò che rende un luogo di lavoro positivo è il rispetto della dignità di
ogni essere umano, che non significa tollerare i comportamenti di chi non si impegna a raggiungere gli scopi sociali o di chi addirittura li vuole attivamente danneggiare, ma significa saper riconoscere in ogni persona la presenza di un mistero che ci trascende e che noi cristiani sappiamo essere Dio. Presenza di Dio, nella debolezza umana. Bisogna allora sottolineare che ogni azienda non va considerata solo come una macchina produttiva, ma anzitutto come una comunità di persone. In fin dei conti si tratta di rispettare le persone. È poi lo stesso rispetto che, sempre guidato dalla misericordia, ci porta a sostenere tutti coloro che non possono partecipare alle attività produttive e non sono in grado di provvedere a sé stessi. Possiamo allora affermare che il primo e fondamentale pilastro alla base di una buona economia è costituito dalla somma di tutte le attività di uomini e donne che fanno bene il loro lavoro rispettando le persone che incontrano. Se poi estendiamo questo principio del fare bene a tutte le attività umane possiamo constatare che in generale una buona società non è altro che la somma di buoni individui.

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