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Bernini: Ricostruire come nel Dopoguerra. L’economia verde è il nostro futuro

14.04.2021

Ormai gli manca solo la corona sulla testa (e la fascia sul petto) del presidente. Ma anche quelle arriveranno presto, a giugno, nell’assemblea di Confindustria sud che trasformerà il Cavaliere del Lavoro Fabrizio Bernini, 64 anni, valdarnese, titolare della Zucchetti Centro Sistemi, da numero uno designato (lunedì dal consiglio direttivo, su indicazione unanime dei saggi che sul suo nome hanno raccolto un autentico plebiscito) a leader effettivo degli industriali delle tre province di Arezzo, Siena e Grosseto.

Bernini, con quali intenzioni e programmi si appresta a guidare Confindustria nei prossimi anni?
«Voglio riportare fra i miei colleghi imprenditori l’ottimismo reale. Sì, lo so che siamo ancora in piena tempesta Covid e che tanti continuano a tremare, anche per il futuro dell’economia. Ma abbiamo davvero davanti un salto di qualità più che possibile, direi realistico e non un libro dei sogni. Adeguare la struttura industriale della Toscana del sud alla transizione ecologica, all’economia green e a quella circolare. E’ la rivoluzione che aspetta l’Europa, per la quale si prospetta nel 2071 l’ipotesi del continente più ecologico, e anche quella che attende noi delle

Vaste programme, direbbe De Gaulle. Ce la può fare un’industria che in particolare ad Arezzo è concentrata nei settori maturi, come oro e moda?
«Sì che ce la possiamo fare. E gli imprenditori hanno bisogno di Confindustria. Basti ricordare che di 800 aziende associate, 500 hanno meno di 50 dipendenti. Come a dire che non hanno le dimensioni per fare da sole. Penso a una commissione associativa che le aiuti in questa transizione».

E ci sono le condizioni in mezzo a questa bufera?
«E’ come nel dopoguerra. E’ arrivato il momento di ricostruire, specie se la campagna di vaccinazione riesce a mantenere i suoi obiettivi. Settori come la moda sono già in ripresa, anche l’oro sta migliorando. Nelle banche c’è un aumento del 30 per cento dei depositi. Tutta gente che impaurita non spende e risparmia. Questi soldi dobbiamo rimetterli in gioco per gli investimenti».

Però serve un cambio di mentalità degli imprenditori.
«Vero. Sono fondamentali tre cose, il capitale umano sul quale io insisto sempre, la cultura, in particolare la cultura di impresa, e la digitalizzazione. Bisogna capire che il dipendente non è una variante intercambiabile, via uno e avanti un altro. Oggi servono specializzazioni e anche idee».

Senta, passiamo dalle grandi strategie alla tattica dell’oggi. Nella grande contesa che divide il paese, lei è aperturista da subito o preferisce ancora il rigore delle chiusure?
«Io la penso come il presidente Draghi. Bisogna essere realisti. Non ha senso riaprire tutto subito se poi si richiude fra quindici giorni-un mese. L’importante è fare i vaccini, anche in fabbrica se necessario e noi siamo pronti. Forse l’obiettivo non è lontano, a giugno potremmo esserci. Però serve un cronoprogramma, bisogna dare agli italiani le tappe della riapertura, anche come stimolo psicologico.

Prima o poi arriveranno anche i miliardi del Recovery Fund, dovesse indicare lei tre progetti fondamentali per Arezzo, cosa ci metterebbe?
«Dal punto di vista delle infrastrutture non ho dubbi. Servono la terza corsia dell’Autosole e il completamento della Due Mari. Ma i fondi europei ci devono servire anche per dare una svolta alla nostra economia. Non voglio dire meno tasse per le imprese, che pure potrebbe ro investire di più, ma la questione del cuneo fiscale per i dipendenti è fondamentale. Diamo a ciascuno qualche centinaio di euro in più da spendere, sarà un volano fondamentale per rimettere in moto produzione e investimenti».

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