Civiltà del Lavoro, n. 2/2016 - page 16

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2016
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FOCUS
scavo archeologico. Dicevano che era uno spreco perché
non capivano che cosa un’operazione di quel tipo mette-
va in moto dal punto di vista dell’economia reale.
Noi, al ministero dei Beni culturali, non abbiamo fatto
una rivoluzione in questi due anni, ma abbiamo cerca-
to di riportare la normalità, nel primo anno riuscendo a
non far tagliare nemmeno una lira delle risorse destina-
te alla cultura; quest’anno riuscendo addirittura ad incre-
mentarle e poi provando ad introdurre una misura co-
me quella dell’Art Bonus, che è fondamentale per aprire
un’altra strada, cioè quella del rapporto tra il privato e il
mondo culturale.
Bisogna anche far cadere qualche malinteso: tutte le vol-
te che ci poniamo il problema di valorizzare un po’ di più
il patrimonio si alzano grida, lamentele, proteste, perché
si dice che si mette a rischio – con la fruibilità – la tenuta
del sistema culturale.
Capisco che ci possano essere dei problemi perché è chia-
ro che un museo troppo affollato ha dei problemi. Ma si
può ovviare se si scandiscono nel tempo le visite e si rie-
sce a programmare un uso sostenibile del museo.
Capisco che le grandi città d’arte soffrano dall’arrivo di un
numero di turisti in eccesso, ma anche lì ci sono misu-
re per programmare e per ordinare l’afflusso dei turisti.
La valorizzazione è una cosa indispensabile perché biso-
gna far cadere la presunzione che la cultura debba essere
una cosa per pochi eletti, per pochi informati e pretende-
re che tutti quelli che vanno al museo siano già forma-
ti come storici dell’arte e non possano essere giovani cu-
riosi di apprendere.
Perché si apprende anche “a pelle” osservando un’ope-
ra d’arte.
SEBASTIANO MAFFETTONE
ESSERE ALL'ALTEZZA
DEL NOSTRO PASSATO
Qualche anno fa ebbi il privilegio di andare a cena con il
ministro tedesco della Cultura e dell’Università, un elegan-
te signore che candidamente mi disse come prima frase,
quando ci incontrammo: “Siccome c’è la crisi economica,
noi aumenteremo il bilancio del nostro settore del 30%”.
Ve lo immaginate in Italia? È assolutamente impossibi-
le. Quella mediocrità dei media, la mediocrità dei politi-
ci con cui ci confrontiamo tutti i giorni, non è altro che la
diffidenza che un Paese ha verso la cultura umanistica e
l’educazione all’arte.
Il nostro non è più un Paese ricco, quindi ha difficoltà a
concepire cultura e arte come non superfluo. C’è un’altra
cosa però, forse più profonda: l’Italia ha un passato cultu-
rale enorme, che schiaccia il presente e il futuro. Dobbia-
mo essere all’altezza del nostro passato. E se non si pas-
sa per le “humanities” non saremo mai all’altezza di quel
passato, non avremo il coraggio di affrontarlo. La cultu-
ra può servire a rendere migliore il paese, a renderlo più
produttivo, più intelligente, incide direttamente sul turi-
smo. E cos’è il Made in Italy se non il retaggio di un gu-
sto cresciuto nei secoli attraverso l’arte.
Ma secondo me serve anche a qualcosa di più. Un posto
in cui la cultura è vissuta come quotidiano crea persone
che si rispettano di più, persone che riconosco nell’altro
un partner di una grande eredità comune e questo crea
quella fiducia reciproca, che, secondo me, è il vero pro-
blema dell’Italia in generale e del Mezzogiorno in parti-
colare. Credo che il rilancio della cultura serve a creare un
tessuto in cui l’imprenditoria è possibile.
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