Civiltà del Lavoro, n. 2/2016 - page 15

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2016
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FOCUS
VITTORIO SGARBI
LA COLPA È ANCHE
DEI GIORNALI
Se i giornali che devono comunicare hanno paura della
terza pagina e la chiamano “terza pagina”, ma in realtà
la mettono alla trentesima o trentanovesima pagina co-
me accade oggi alla cultura, vuol dire che negli ultimi de-
cenni siamo passati da pagina tre a pagina trentanove.
Dobbiamo quindi capire perché la cultura popolare che
un giornale rappresenta è così debole che cose straordi-
narie finiscono nei punti più remoti di un giornale ed evi-
dentemente questo corrisponde all’interesse della gen-
te e soprattutto dei giovani perché quando sono andato
a Miradolo per parlare di Tiziano per una piccola mostra
che facemmo con il Cavaliere Cosso sono arrivato tardi in
una pizzeria e ho detto a dei ragazzi che erano lì: “Venite
domani a vedere la mostra di Tiziano?” e loro mi hanno
risposto “Chi, Tiziano Ferro?”.
Quando ero al Ministero dei Beni culturali e cercavo di re-
golare le istituzioni musicali mi chiedevo: se fai uno spet-
tacolo bellissimo alla Scala, perché non gira tutti i teatri?
Perché sta soltanto alla Scala? Perché la produzione, che
è una cosa bella, deve esser vista solo da diecimila per-
sone ricche o da quelli che sono abbonati.
E i poveri cosa devono vedere? La televisione cosa fa?
Poi abbiamo una civiltà distruttiva che, per ragioni che
non voglio discutere, in nome di un Dio che dovrebbe
essere un Dio del male, intende distruggere la civiltà, la
bellezza, e lo fa, come lo dimostra ogni giorno, nei paesi
del Medio Oriente. Una volta, per capire chi sono gli altri,
i mediorientali e gli orientali, c’era un meraviglioso istitu-
to, tra i più gloriosi d’Italia, fondato da Giovanni Gentile.
Si chiamava Ismeo, diventato poi Isiao.
Ne è stato fondatore Giuseppe Tucci, uno dei più straordi-
nari intellettuali italiani di tutti i tempi, paragonabile pres-
soché a Vico o a Benedetto Croce. Ebbene, l’ultimo atto
dell’ultimo Governo Berlusconi è stato chiudere l’Isiao e
smantellare la biblioteca.
Per cui, un luogo dove tu potevi capire cosa c’è nella men-
te di quelli che oggi ci aggrediscono, e quindi un luogo di
studio di quella civiltà e di quelle civiltà africane e orien-
tali, è stato chiuso e devastato.
Il che vuol dire che noi, invece di proteggere il patrimo-
nio, abbiamo governi che smantellano i presidi di civiltà
e di conoscenza.
Perché costano, forse. Ma sapere perché qualcuno distrug-
ge Palmira forse sarebbe utile.
Quindi da un lato la nostra cultura non la difendiamo e
abbiamo paura di prestare al Giubileo della Misericordia
le opere di Misericordia di Caravaggio che sta a Napoli,
mentre mandiamo a Tokyo qualunque dipinto compreso
il “Bacco” degli Uffizi. E poi abbiamo un istituto che po-
trebbe dirci come sono gli altri e quello lo chiudiamo.
GIAMPAOLO D’ANDREA
COLLABORARE COI PRIVATI
CON L’ART BONUS
Nel rapporto tra i mezzi di informazione e il Paese si è pre-
ferito lisciare il pelo nella direzione un po’ qualunquistica di
un consumo, diciamo così, di informazione e di messaggi
immediati. Per la stessa logica, quando si trattava di ta-
gliare un pezzetto delle risorse della finanziaria, la prima
cosa che si tagliava era la cultura perché “improduttiva”.
Lasciamo stare il valore dal punto di vista educativo e cul-
turale della cultura, l’identità, queste cose senz’altro fon-
damentali ed importanti ma, nella scala delle priorità, la
spesa per la cultura era considerata “improduttiva”.
È stato facilissimo tagliare queste spese. Ed era invece una
fatica notevole riuscire a mettere nei bilanci delle ammi-
nistrazioni locali una spesa per la cultura.
Una volta mi sentii dire, quando ero assessore regionale
della mia piccola Basilicata, che avevo fatto uno spreco
perché – pensate – avevo collocato in un programma di
intervento straordinario della Cassa del Mezzogiorno cin-
que miliardi di allora, metà degli anni Ottanta, per uno
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