Civiltà del Lavoro, n. 2/2016 - page 7

CIVILTÀ DEL LAVORO
II - 2016
Luigi Roth
CONOSCERE
PER FARE
FARE
PER ESSERE I
PRIMI
LO SCORSO
9 maggio, al convegno organizzato per
il 70° anniversario Ucid Gruppo regionale lombardo, sono
stato chiamato a portare la mia testimonianza come rap-
presentante dei Cavalieri del Lavoro della Lombardia su
un tema di grande interesse per tutti noi: “Conoscere per
fare. Fare per essere i primi”. La responsabilità dei primi
è quella di trasmettere dei valori e di farlo attraverso le
opere. Ma le opere non possono prescindere dal pensie-
ro, dal sistema etico e morale che ciascuno si è formato
negli anni e che poi ha applicato nel fare.
Per la mia esperienza, ritengo si debba partire da due
concetti che insieme acquistano un significato rafforza-
to: il primo concetto è che l’economia è e deve essere al
servizio dell’uomo, il secondo è che l’etica, i valori espres-
si nelle attività economiche hanno un rapporto causale
diretto con la competitività dell’impresa. Saldare tra lo-
ro questi concetti e trasformarli in prassi è compito dei
vertici di un’impresa, ma è anche loro dovere trasferirli
a tutti, a cascata, prima tra i “muri” della propria impre-
sa, poi a cerchi concentrici verso l’esterno, agli stakehol-
der, ai mercati, ai territori, in un’applicazione concreta del
concetto di sussidiarietà.
Chi si è formato su valori cattolici, come me, sa bene che
questi concetti raccontano la sensibilità al bene comune
di cui ci siamo nutriti molto prima che si parlasse di re-
sponsabilità sociale e di social impact. Per quanto mi ri-
guarda la formazione cattolica, e la partecipazione attiva
alla politica nei primi anni della giovinezza, mi ha accom-
pagnato negli snodi professionali e ha attribuito un valo-
re aggiunto a quello che facevo. Forse, anzi, è grazie al-
la mia formazione cattolica che ho fatto scelte che non
avrei potuto non fare.
La formazione teorica, però, alla luce di come si è evolu-
ta la nostra società, non sembra essere stata sufficiente.
Perché il punto vero è come questa sensibilità al bene
comune si sviluppa nella realtà. Nell’impresa, per esem-
pio, l’attenzione ai capisaldi della responsabilità sociale e
all’impatto sulla collettività “fallisce” quando si esprime
in fatti episodici. Quando cioè è l’esigenza di raccontare
quanto l’impresa sia buona a muovere le decisioni di fi-
lantropia e di coinvolgimento degli stakeholder. Funziona
invece nei numeri e nelle performance aziendali quando
è aderente a uno schema di valori e lo mette in pratica al
di là di considerazioni puramente tattiche. Solo così fun-
ziona, agendo sui parametri core dell’impresa, con una
significativa incidenza sul risultato economico.
Il momento di crisi strutturale del nostro capitalismo è
un’occasione ideale per rifondare e ridefinire concetti co-
me quello di valore, di sviluppo, di opportunità e di mora-
le. Non solo: l’attenzione per la società, che è dove risie-
dono i bisogni delle persone, può creare sviluppo, anche
economico, attraverso progetti di innovazione sociale, di
innovazione nei comportamenti e nel significato che vie-
ne attribuito alle cose.
Il valore può essere determinato da quello che si fa con
gli altri e non più solo dal prodotto. In un’azienda, il pro-
dotto o il servizio sono funzioni utili a generare profitto
nel tempo: il valore aggiunto si ottiene attraverso azioni
sui valori, sugli stakeholder, costruendo rapporti stabili e
generativi con gli individui e con i territori.
Possiamo racchiudere questo concetto di economia del
valore condiviso in un’unica parola, generatività: un mo-
dello socio-economico capace di generare un nuovo pa-
radigma dell’economia civile e dei valori.
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