REFERENDUM
CIVILTÀ DEL LAVORO
IV • V - 2016
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dell’opposizione nella Commissione Affari costituzionali
che discusse la riforma Berlusconi del 2005.
So quanto è facile convenire sulla necessità di ammoder-
nare le istituzioni, ma quanto è arduo trovare poi l’accor-
do su come farlo. Temo che se non passa oggi la riforma,
se ne riparlerà in concreto solo tra vent’anni. Quando mai
troveremo di nuovo un Senato disponibile a ridimensio-
nare drasticamente il suo potere politico – dare e ritirare
la fiducia al governo – e legislativo, cioè di avere un vo-
to decisivo su tutte le leggi? Quando mai troveremo una
maggioranza parlamentare disposta a ridurre il numero
dei parlamentari? Quando mai i parlamentari eletti nei
territori saranno disposti a sfidare gli amministratori re-
gionali e locali del loro partito per correggere il Titolo V
in modo da trovare un migliore equilibrio tra poteri cen-
trali e locali, tra uniformità normativa e differenziazione?
Dopo quello sulla Brexit, anche il nostro referendum
è al centro dell’attenzione non solo della politica, ma
anche della finanza internazionale, che teme una
nuova fase di instabilità politica. Sono preoccupazio-
ni fondate?
Gli investitori internazionali temono l’instabilità politica e
apprezzano la capacità di varare e attuare le riforme strut-
turali necessarie per sostenere la crescita e la competiti-
vità del Paese. La bocciatura della riforma costituzionale
aprirebbe certamente una fase di instabilità politica non
solo nell’immediato (probabili anche se non automatiche
dimissioni del governo Renzi), ma soprattutto nel medio
termine. Continuando a dipendere il governo dalla fidu-
cia di entrambe le Camere, che dovrebbero essere rinno-
vate con leggi elettorali tra loro molto diverse (iper-mag-
gioritaria per la Camera, proporzionale per il Senato), la
formazione di maggioranze coese sarebbe molto difficile.
E l’Italia rischierebbe di non potere far ricorso neppure a
quell’extrema ratio (maggioranze di große Koalition) che
oggi consente di governare la Germania, l’Austria, l’O-
landa e il Belgio.
Il Movimento Cinque Stelle, infatti, forse maggioritario al-
la Camera, non sarebbe disposto a coalizzarsi con altri per
raggiungere la maggioranza al Senato. È vero che le leg-
gi elettorali possono essere modificate, ma anche in tal
caso è facile concordare sulla necessità di farlo, molto più
arduo trovare l’accordo su come farlo. Quanto al secondo
punto: per i mercati internazionali l’Italia è oggi un pae-
se che finalmente ha avviato – con il Jobs Act, la riforma
pensionistica, la riforma delle banche popolari, le sempli-
ficazioni amministrative – le riforme necessarie per com-
petere nell’economia globale.
La vittoria del no produrrebbe l’arresto del processo di ri-
forma, metterebbe a rischio l’attuazione delle riforme già
approvate, diffonderebbe nel mondo l’immagine di un pa-
ese irriformabile.
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