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REFERENDUM

CIVILTÀ DEL LAVORO

IV • V - 2016

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Bisogna precisare che la Corte sarebbe chiamata a interve-

nire non sul contenuto della legge, ma sul procedimento

attraverso cui approvarla. E questa sarebbe semplificazio-

ne? Perché non si è stabilito, molto semplicemente, che

nei confronti di tutte le leggi il Senato può proporre mo-

difiche e la Camera decide in via definitiva se accettarle

o meno? Questa sì che sarebbe stata una semplificazione.

Non teme che se questa riforma sarà bocciata non ci

sarà una riforma migliore, almeno nei prossimi anni,

ma solo il mantenimento dello status quo?

Questo mi sembra, francamente, un argomento illogico.

Per quanto detto prima, la riforma prevista peggiorerà le

cose rispetto allo status quo. Dunque perché approvarla?

Le riforme vanno sostenute solo se migliorano l’esisten-

te, se lo peggiorano vanno respinte. Riformare non è un

valore in sé, dipende dal contenuto della riforma.

Le principali organizzazioni imprenditoriali sono a fa-

vore del “sì” perché affermano che l’economia, nel

mondo globalizzato, richiede maggiore velocità anche

nelle decisioni pubbliche. Come rispondete?

La domanda richiede una risposta su due livelli, pratico

e teorico. Sul piano pratico è semplicemente falso che il

Parlamento italiano non sia in condizione di decidere a

causa del bicameralismo perfetto. La produzione legisla-

tiva annua del nostro Paese è in linea con quella dei pa-

esi a noi paragonabili, dato che i tempi medi di approva-

zione di una legge variano tra i 100 e i 150 giorni, ma vi

sono state leggi approvate in due settimane, come la leg-

ge Fornero: peccato siano stati “dimenticati” gli esodati.

Inoltre, se chiedessimo a qualsiasi italiano se nel nostro

ordinamento ci sono troppe o troppo poche leggi, cosa ci

risponderebbe? Che ce ne sono troppe. Ma come: il Par-

lamento non è in condizione di decidere e ci sono trop-

pe leggi? Delle due l’una: o il Parlamento è veloce e al-

lora ci sono tante leggi; o il Parlamento è lento e allora

ci sono poche leggi.

Sul piano teorico appare davvero superficiale la posizione

di chi, di fronte alla complessità del mondo contempora-

neo, ritiene che la soluzione sia “fare in fretta”. Le leggi

fatte in fretta sono leggi fatte male (valga l’esempio della

legge Fornero, così come quello del cosiddetto Porcellum,

approvato in appena due mesi), soggette a continue mo-

difiche, instabili e prive di visione del futuro.

Al contrario, avremmo bisogno di poche leggi ben me-

ditate, capaci di durare nel tempo e di offrire un quadro

giuridico certo ai cittadini e agli operatori economici. Per

far questo non c’è bisogno di corsie preferenziali come il

voto a data fissa, ma disponibilità all’ascolto, capacità di

dialogo, attitudine alla comprensione approfondita dei fe-

nomeni economici e sociali.

Dopo quello sulla Brexit, il nostro referendum costitu-

zionale è al centro dell’attenzione anche del mondo

finanziario internazionale, che teme che l’Italia possa

tornare a una fase di instabilità politica. Che garanzie

si possono dare a questi osservatori che possono influ-

ire pesantemente sulla ripresa economica del Paese?

In realtà, mi sembra che anche le istituzioni finanziarie

internazionali stiano iniziando a rendersi conto che la vit-

toria del “no” non esporrà l’Italia al rischio di subire pia-

ghe bibliche. Lo dimostra il Financial Times, che dopo un

iniziale sostegno alla revisione costituzionale, parla oggi

di riforme verso il nulla.

Gli operatori economici e finanziari dovrebbero render-

si conto che la stabilità politica imposta artificialmente a

qualsiasi costo (come fa l’Italicum, che potrebbe assegna-

re la maggioranza assoluta anche a chi dovesse ottene-

re il 15% o il 20% dei voti) nasconde in realtà un’enorme

fragilità, che può esplodere all’improvviso.

È accaduto con la Brexit, sostenuta da un partito, l’Ukip,

per anni tenuto forzosamente ai margini del sistema par-

lamentare britannico. Potrebbe accadere lo stesso con

un’eventuale vittoria di Marine Le Pen alle prossime pre-

sidenziali francesi.

Di fronte a società sempre più divise e contrapposte, la

soluzione non è sottoporre il tessuto sociale a ulteriori la-

cerazioni, consentendo a una parte di imporsi sulle altre,

ma dedicarsi alla ricucitura del tessuto sociale, aprendo

canali di dialogo e cercando terreni di discussione e inte-

sa. Occorre includere, non escludere.

Una società più coesa è una società più stabile e questo

può avere ricadute positive sull’economia: lo dimostra il

boom economico italiano, avvenuto proprio sotto la Co-

stituzione che oggi si vorrebbe stravolgere.