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CIVILTÀ DEL LAVORO

IV•V - 2016

PER

NON

DIVENTARE

UN PAESE

LOW COST

IL CICLO ELETTORALE

che si apre con le ele-

zioni americane dell’8 novembre e si concluderà con le

politiche in Germania fra un anno rischia di essere un tun-

nel molto pericoloso. Potrebbe mettere a rischio la fati-

cosa stabilità politica in Italia, se il no prevalesse al refe-

rendum. Potrebbe dare un’accelerazione ai populisti, se

alle presidenziali austriache del 4 dicembre prevalesse il

candidato di estrema destra Norbert Hofer e se alle pre-

sidenziali francesi di primavera dovesse affermarsi la le-

ader del Front National, Marine Le Pen.

Nel frattempo la Bce di Mario Draghi dovrebbe comincia-

re a ridurre il “Quantitative easing”, cioè gli acquisti di ti-

toli di Stato europei (per 80 miliardi di euro al mese) che

hanno tenuto bassissimi i tassi d’interesse, aiutando so-

prattutto i paesi ad alto debito come il nostro. Insomma,

un quadro rischiosissimo, in cui alla crescente instabilità

politica potrebbe sommarsi una nuova instabilità finan-

ziaria. Di fronte a questo scenario i numeri della nostra

economia, pur leggermente positivi per crescita del Pil e

dell’occupazione, rischiano di non essere sufficienti a evi-

tare una nuova recessione, e sarebbe la terza dal 2008.

Per evitare questo scenario è necessario pigiare quanto

più possibile l’acceleratore sugli investimenti privati e pub-

blici, che sono meno volatili dei consumi e sono letteral-

mente crollati negli anni della crisi: secondo i dati forniti

dal ministro delle Infrastrutture e Trasporti Graziano Del-

rio, dal 2007 ad oggi abbiamo perduto 110 miliardi di in-

vestimenti. Quest’anno dovremmo arrivare a 259 miliar-

di (l’1,5% in più del 2015) per risalire a 285 nel 2019.

I bandi per gli investimenti pubblici, che nel 2012-2013

valevano 18 miliardi, sono risaliti nel biennio 2014-2015

a 32, ma l’importo delle opere effettivamente cantiera-

te è stato molto inferiore e siamo ancora distanti dai nu-

meri pre-crisi.

Il rilancio degli investimenti è, dunque, la prima priorità

del Paese. Al rilancio degli investimenti pubblici dovreb-

bero contribuire la riforma della Pubblica amministrazione

e la nuova legge sugli appalti, oltre alla riforma costituzio-

nale che snellirà il processo legislativo con il superamento

del bicameralismo paritario e rimetterà ordine nelle com-

petenze tra Stato e Regioni. Il rilancio degli investimenti

privati è affidato alla riduzione dell’Ires dal 27,5 al 24%

e al Piano Industria 4.0, che ha l’obbiettivo di promuove-

re il rinnovamento tecnologico del sistema produttivo: in

totale, nei prossimi otto anni, queste misure dovrebbero

far arrivare alle imprese oltre 40 miliardi sotto forma di

minori tasse, super e iperammortamenti, agevolazioni fi-

scali alla ricerca e innovazione, nuova Sabatini, Fondo di

Garanzia per i crediti alle Pmi, incentivi fiscali al salario di

produttività e al welfare aziendale e rifinanziamento del

Piano straordinario per l’export del made in Italy.

E poi c’è il Piano Casa Italia, che è pubblico-privato e punta

sulla riqualificazione sismica e idrogeologica del territorio

e delle città, sull’efficienza energetica e sulla valorizzazio-

ne del patrimonio ambientale e culturale. È anche questo

un terreno d’impegno per le imprese, come è emerso con

chiarezza al convegno del primo ottobre della Federazio-

ne dei Cavalieri del Lavoro a Firenze dal titolo “Arte, cul-

tura e impresa – Vantaggio competitivo del brand Italia

e motore di sviluppo del Pil e dell’occupazione”, di cui ri-

portiamo, nelle pagine che seguono, un ampio resoconto.

Sta maturando tra le imprese la consapevolezza che l’im-

pegno per la valorizzazione del patrimonio ambientale e

culturale non è solo un dovere sociale, ma è un vero e

proprio investimento industriale: se i nostri beni cultura-

li fossero meglio restaurati e valorizzati, se le nostre città

fossero gestite meglio, se i nostri beni ambientali fossero

preservati con maggiore cura, se i nostri servizi collettivi

fossero almeno pari a quelli degli altri grandi paesi eu-

ropei, il miglioramento della reputazione del “brand Ita-

lia” che ne deriverebbe si rifletterebbe direttamente sulla

competitività delle nostre imprese e dei nostri prodotti, in

termini sia di maggiori esportazioni, sia di maggior valo-

re aggiunto dei nostri prodotti. Dal convegno è emerso,

per esempio, che i turisti stranieri spendono in Italia me-

no che in Francia e Germania. Stiamo cioè diventando un

paese “low cost”. E anche per invertire questa tendenza

occorre investire di più.

EDITORIALE

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