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FOCUS

CIVILTÀ DEL LAVORO

IV • V - 2016

In che relazione stanno mobilità sociale e crisi eco-

nomica?

La crisi ha accentuato un irrigidimento che era in corso da

tempo. A differenza degli anni Sessanta, Settanta e an-

che Ottanta, durante i quali la fame, specialmente all’i-

nizio, e poi la voglia di crescere e affermarsi spingevano

le persone a lottare per salire ai “piani alti”, dagli anni

Novanta in poi il Paese si è adagiato su quello che ave-

va ottenuto e anche la stessa mobilità territoriale, che ha

visto tantissima gente emigrare dal Mezzogiorno verso il

Nord, si è interrotta.

Oggi non esistono vincoli strutturali alla mobilità in quan-

to tale, ma a pesare sono soprattutto fattori culturali. Si è

esaurita la spinta antropologica e si preferisce restare co-

me si è adesso. Non parlerei di pigrizia, che attiene alla

psicologia individuale, quanto di un generale sentimento

di indolenza, proprio della psicologia collettiva.

Che ruolo gioca l’università nella mobilità sociale?

In Italia gli studi universitari sono stati per molto tempo

un grande fattore di crescita e mobilità sociale.

Anzi, mentre in alcune parti d’Italia si poteva crescere

facendo l’artigiano o l’imprenditore, in ambienti urbani

e borghesi la laurea era vista come l’unico strumento in

grado di garantire il miglioramento della propria condi-

zione sociale.

In altre parole, non si poteva “galleggiare” restando ge-

ometri e ragionieri, ma bisognava diventare architetti e

commercialisti.

Oggi questa convinzione è crollata in maniera rovinosa e

i giovani non credono più che l’università rappresenti la

scala mobile per arrivare in alto. Da qui deriva anche il

calo degli iscritti osservato ultimamente.

Quali sono i benefici di una spiccata mobilità sociale?

La mobilità sociale esprime la vitalità di una comunità e

rappresenta un elemento molto forte di una società in

crescita. La gratificazione e la gioia di chi riesce a fare

carriera, ad avviare un’attività autonoma, hanno il pregio

di estendersi a tutta la società. Negli anni Settanta, per

esempio, le persone erano mediamente più soddisfatte,

sentivano di poter vincere la loro sfida personale e questo

accadeva nonostante fossero anni bui per la nostra Repub-

blica a causa della lotta al terrorismo politico ed eversivo.

La mobilità è una grande medicina per la società mo-

derna; senza di essa c’è frustrazione, rancore e rinserra-

mento in sé stessi.

RITROVARE L’

OTTIMISMO

L’Italia di quarant’anni fa era più fiduciosa. Oggi, afferma Giuseppe De Rita, presidente

del Censis, il Paese si è ripiegato su sé stesso e sembra accontentarsi del proprio passato.

I giovani non credono nell’università e non scommettono su progetti di genitorialità.