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FOCUS
CIVILTÀ DEL LAVORO
IV • V - 2016
Nel suo libro “NEET – Giovani che non studiano e non
lavorano” analizza uno dei principali problemi del
nostro Paese e della sua “mobilità sociale inceppa-
ta”. Quali sono le principali caratteristiche del feno-
meno e quali danni comporta?
L’Italia presenta, in termini assoluti, il maggior numero
di giovani che non studiano e non lavorano in Europa. Si
trovano in tale condizione oltre 2,2 milioni di persone in
età 15-29, l’equivalente di una regione italiana di media
grandezza. Come incidenza relativa siamo secondi solo
alla Grecia. L’apice è stato toccato nel 2015 arrivando a
25,7%, per poi scendere leggermente al 22,7% nei pri-
mi mesi di quest’anno. Il dato era comunque uno dei più
elevati nel mondo sviluppato già prima della crisi (oscil-
lava attorno al 19%).
Il costo sociale, stimato dall’Eurofound, è pari all’1,2% del
Pil europeo, si sale a valori attorno al 2% in Italia. Vi sono
SOSTENERE
I GIOVANI
In Europa il nostro è il paese con il maggior numero di persone che non studiano e non
lavorano. Alessandro Rosina, docente di demografia e statistica sociale all’Università Cattolica
di Milano, spiega che bisogna invertire la tendenza incoraggiando i giovani a migliorare
il proprio bagaglio di competenze.
poi però anche costi individuali, sia materiali che psicolo-
gici, di difficile quantificazione. Per chi rimane a lungo in
questa condizione il rischio è anche di lasciare segni ne-
gativi persistenti nel resto del percorso di vita e lavorativo.
Con quali politiche gli altri paesi favoriscono la mobili-
tà sociale e noi potremmo prendere esempio da loro?
I motivi della maggiore incidenza in Italia di tale fenome-
no rispetto al resto d’Europa sono sostanzialmente tre: le
carenze dell’offerta, i limiti della domanda, l’inadegua-
tezza degli strumenti di incontro tra domanda e offerta.
Molti giovani si trovano, all’uscita dal sistema formativo,
carenti di adeguate competenze e sprovvisti di esperien-
ze richieste dalla aziende.
Molti altri, pur avendo elevata formazione e alte potenzia-
lità, non trovano nel sistema produttivo italiano posizioni
all’ altezza delle loro capacità e aspettative.
E, infine, mancano strumenti efficaci per orientare e sup-
portare i giovani nella ricerca di lavoro. Siamo, del resto,
uno dei paesi europei che meno investono in formazio-
ne terziaria, in politiche attive del lavoro, in ricerca e svi-
luppo. Sono queste voci cruciali per incoraggiare un ruo-
lo attivo e intraprendente delle nuove generazioni nella
società e nel mercato del lavoro.
Nel nostro Paese c’è un’enorme attenzione ai proble-
mi delle pensioni e una, invece, ridotta ai problemi
dei giovani: anche questo accentua la rigidità sociale?
La spesa sociale italiana è molto più squilibrata a sfavore
delle nuove generazioni rispetto agli altri paesi sviluppati.
Alle voci relativi alle pensioni e alla salute pubblica desti-
niamo quanto, se non di più, della media europea, men-
tre siamo sensibilmente sotto per le voci che riguardano
il sostegno ai giovani disoccupati, le politiche della casa
e contro l’esclusione sociale. Si tratta tra l’altro spesso di