Civiltà del Lavoro, n. 1/2016 - page 64

RITRATTI
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CIVILTÀ DEL LAVORO
I - 2016
Fine dell’elettronica italiana: la responsabilità dello Stato
Dopo la morte di Adriano, il nuovo gruppo dirigente si tro-
vò subito a dover gestire una situazione molto difficile. La
decisione di entrare nel settore dei grandi calcolatori elet-
tronici – accompagnata, dal contemporaneo acquisto del-
la Underwood la famosa fabbrica americana di macchine
da scrivere (un’operazione che comportò un investimen-
to gravosissimo) – aveva esposto oltremodo la Olivetti,
che non aveva né i mezzi finanziari, né la struttura patri-
moniale per fare un doppio salto di qualità e di quantità.
Fu un periodo molto duro per me, perché la ricerca di mezzi
finanziari in tutta Europa diveniva ogni giorno più difficile.
La situazione precipitò, anche in conseguenza di una se-
rie di speculazioni in Borsa che coinvolsero la famiglia Oli-
vetti e da cui vennero danneggiati molti dipendenti che
avevano investito una parte dei loro risparmi nelle azioni
della società. Fu proprio da quel momento che iniziai a
provare verso gli speculatori di Borsa un’avversione che
non sono più riuscito a togliermi di dosso.
Nel 1964 l’azienda cadde in una sorta di “sovranità limita-
ta”: il potere reale passò a un cosiddetto “gruppo d’inter-
vento” formato da Mediobanca, IMI, Fiat e Pirelli.
Misi in allarme il Partito Socialista che assunse una posi-
zione molto dura contro il suddetto gruppo d’intervento,
il quale aveva già pronto un piano per la cessione della
divisione elettronica all’americana General Electric.
Io mi battei per un maggiore impegno dello Stato nell’a-
zienda, con l’obiettivo di mantenere all’Italia quello che
era un patrimonio scientifico, tecnologico e industriale di
enorme valore. Arrivai a prendere parte in prima fila a una
manifestazione pubblica che aveva come parola d’ordine:
“Giù le mani dalla Olivetti!”, organizzata unitariamente dai
tre grandi sindacati nazionali, CGIL, CISL, UIL.
Un’ora dopo, fui convocato dal nuovo Presidente Bruno
Visentini.
Fu un incontro brevissimo: «Lei si è già dimesso o debbo
licenziarla?» chiese. «Preferisco che Lei mi licenzi», rispo-
si. «Bene, si consideri licenziato», concluse il Presidente.
Mi alzai e mi diressi verso la porta del suo studio.
Egli mi fermò prima che io uscissi e mi chiese: «Dottor Ne-
si, se Lei si trovasse al mio posto, cosa farebbe?». «Quello
che ha fatto Lei», risposi.
Ci stringemmo la mano.
Risposi così perché aveva ragione: i comportamenti del
Direttore finanziario di una azienda debbono essere coe-
renti con il suo compito, non con i suoi orientamenti po-
litici. E questo vale anche oggi.
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