Civiltà del Lavoro, n. 2/2023

8 Civiltà del Lavoro | marzo • aprile 2023 PRIMO MAGGIO vano lavoratori adeguatamente formati, perché il mondo della formazione e quello delle imprese faticano ancora a dialogare. Le ricette per superare queste difficoltà sono fonte perenne di polemiche e il primo maggio scorso non ha fatto eccezione. La premier Giorgia Meloni ha voluto “santificare” la festa del lavoro con un Consiglio dei ministri per varare un nuovo taglio al cuneo fiscale e varare una serie di norme per superare il Reddito di cittadinanza con nuove misure meno generose - più finalizzate all’inserimento lavorativo - e semplificare le assunzioni, anche riducendo i vincoli ai contratti a tempo determinato e ampliando i voucher. I sindacati (convocati in extremis la sera prima) e le opposizioni hanno protestato, affermando che queste misure sono insufficienti dal punto di vista finanziario e finiranno per aumentare la precarietà. I sindacati hanno chiesto più risorse, aumentando le tasse sui cosiddetti “extra profitti” e il Pd ha invocato le misure contro il lavoro temporaneo del governo socialista spagnolo, che sta facendo esplodere le assunzioni a tempo indeterminato. Nel frattempo, il governo ancora non ha dato seguito all’impegno di riaprire il decreto flussi per aumentare gli ingressi regolari di immigrati: il decreto flussi 2023 prevedeva 82mila ingressi (di cui 44mila stagionali), ma le imprese hanno chiesto 277mila migranti. Ci sarebbe dunque spazio per un nuovo decreto flussi per 100-150mila ingressi regolari, ma il governo prende tempo, mentre le imprese premono perché hanno bisogno subito di manodopera in settori nevralgici come l’agricoltura (il presidente di Confagricoltura Giansanti chiede 200mila lavoratori) e il turismo. La stessa ministra del Lavoro Calderone ha ammesso che mancano complessivamente almeno un milione di posizioni. E senza lavoratori si rischia di compromettere la ripresa economica che sta proiettando il nostro Paese ai vertici dell’Europa: nel primo trimestre il nostro Pil è aumentato dello 0,5%, contro lo 0,2% della Francia, lo 0 secco della Germania e lo 0,1% della media Ue. Sul lavoro si sta dunque giocando una partita fondamentale per il futuro del Paese, una partita che rischia di essere inquinata da pregiudizi ideologici: il governo sembra bloccato dall’avversione ai migranti; la sinistra rischia di confondere la necessaria flessibilità del lavoro con la precarietà. Sarebbe utile tornare allo spirito della concertazione del 1992-93, quando politica e parti sociali seppero combattere l’inflazione e rimettere l’Italia su un sentiero di crescita duratura, accettando ciascuno la propria parte di diritti-doveri, nello spirito della Costituzione. (P.M.)

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