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CIVILTÀ DEL LAVORO

IV • V - 2016

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L’APPROCCIO

con il quale si affronta il tema cul-

tura, arte e patrimonio oggi registra una significativa in-

versione di tendenza. Riconosco al ministro Franceschi-

ni il merito di trattare la questione secondo la logica che

noi riteniamo corretta, ovvero legandola alla competitivi-

tà complessiva del Paese. L’Italia ha bisogno di crescere

e per farlo dobbiamo recuperare punte di competitività,

non esistono altre vie.

Due le cose da fare: abbassare i costi di sistema e valoriz-

zare di più e meglio ciò che produciamo. Della prima ab-

biamo parlato tanto e dobbiamo continuare a farlo. Costo

del lavoro per unità di prodotto, produttività, riforme del

mercato del lavoro, certezza della giustizia e complessi-

tà della pubblica amministrazione sono temi da affronta-

re velocemente affinché le imprese possano riprendere a

investire. L’agenda del ministro Calenda va in questa di-

rezione, ma non illudiamoci che da sola possa rimettere

in moto l’intero sistema industriale italiano.

Per quanto riguarda la seconda cosa da fare, dobbiamo

lavorare sul riposizionamento dei nostri prodotti, conqui-

stando quote di mercato di fascia più alta. E in questo

torniamo al ragionamento che negli ultimi mesi abbia-

mo portato avanti con il ministro Franceschini, ovvero il

fatto che arte e cultura rappresentano il valore aggiunto

più importante del nostro Paese e che possono pertanto

essere sinergiche al riposizionamento dell’Italia sulla sca-

la del valore più alto.

Nell’immaginario collettivo il made in Italy è soprattutto

food and fashion. In realtà non è soltanto questo perché

una parte molto importante è costituita dalla tecnologia

incorporata nei prodotti della meccanica, dove per quali-

tà e innovazione siamo molto in alto. Eppure qui scontia-

mo un gap di reputazione in settori nei quali non si vende

business to consumer, ma si vende business to business,

ovvero a soggetti che si basano su scelte razionali dove

la reputazione conta molto. E allora nell’immaginario col-

lettivo la Francia è la patria del lusso, la Germania è sino-

nimo di affidabilità, la Svizzera è simbolo di precisione, il

Giappone prima e la Corea del Sud adesso sono all’avan-

guardia nell’innovazione. E noi italiani? Noi scontiamo un

gap di immagine perché non sappiamo governare bene

le nostre cose, curare il nostro patrimonio, del quale sia-

mo responsabili non solo nei confronti di chi è venuto

prima di noi, ma anche nei confronti del mondo intero.

A questo proposito e venendo al tema del turismo vorrei

dire che anche qui dobbiamo uscire fuori da un vecchio

schema mentale che, a mio modo di vedere, rischia di

essere pregiudizievole. Occorre avere, infatti, la consape-

volezza che gli investimenti in arte e cultura rappresen-

tano il più grande investimento per la crescita dell’occu-

pazione e del Pil del Paese.

È questo il nostro vantaggio competitivo ed è qui che

dobbiamo metterci a lavorare. Uscendo fuori dai vecchi

paradigmi, non è possibile ad esempio fare un confron-

to tra gli Uffizi e il Louvre perché la nostra storia è com-

pletamente diversa e occorre fare invece un confronto

tra sistemi. Il Louvre compete con il sistema Venezia, il

sistema Firenze, il sistema Napoli. E come vogliamo va-

IL

DOVERE

DI ESPRIMERE TUTTO

IL

POTENZIALE

DELLA

CULTURA

Le conclusioni di Antonio D’Amato, Presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro