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Dentro le storie dei Cavalieri del Lavoro c’è un’Italia che non fa rumore. Recensione al volume "Fondatori di Impresa" | Il Foglio 25 novembre 2025

Articolo pubblicato su Il Foglio, edizione del 25 novembre 2025 

 

E’curioso leggere queste storie tutte insieme: sembra di sfogliare un contro-romanzo dell’Italia. Mentre la politica si esercita nell’arte delle semplificazioni emotive – il paese è finito, il mondo ci minaccia, nulla funziona – questi fondatori d’impresa hanno passato quarant’anni a dimostrare esattamente il contrario, senza mai dirlo. Loro non parlano di “agenda industriale”, non convocano platee indignate, non promettono di ribaltare il sistema: lo correggono ogni giorno. Silenziosamente, metodicamente, con quella pazienza che è il vero anticorpo contro il populismo.

La prima cosa che colpisce, in queste biografie, è la concretezza. L’88 per cento dei fondatori ha cominciato dalla gavetta vera: officine, magazzini, turni di notte, consegne, prove ed errori. E’ un’Italia che non nasce già dirigente, che non disprezza il lavoro manuale e che anzi lo considera la forma più alta di formazione civica. Non c’è nulla di più anti-populista del riconoscere che la competenza richiede tempo, fatica, tentativi sbagliati. Chi passa dieci anni in un’officina non ha bisogno di raccontarsi come outsider del sistema: il sistema lo ha costruito lui.

Poi c’è il rapporto con il territorio, che è la parte più affascinante. Niente retorica identitaria: solo un legame naturale, quasi istintivo, tra impresa e comunità. Chi nasce a Guastalla, a Caserta, a Cesena, a Lecco, non usa la propria città come un argomento politico, ma come un pezzo di sé. Eppure queste aziende sono globali: esportano, acquisiscono, innovano. La lezione è limpida e semplice: non esiste contraddizione tra radici e mondo. L’Italia anti-populista, spesso timida nel difendere l’apertura internazionale, può trovare qui un modello affidabile: la qualità non è mai provinciale, e l’identità non si difende chiudendo le finestre.

Un altro tratto ricorrente è l’assenza totale di retorica sull’innovazione. Nei racconti imprenditoriali, l’innovazione non è una bandiera, è un gesto quotidiano: migliorare un macchinario, reinventare un processo,intuire un nuovo mercato, trasformare un capannone abbandonato in un polo produttivo sostenibile. Nessuno racconta la propria storia come una rivoluzione: e infatti funziona. L’Italia che innova davvero non fa proclami, non si autocelebra, non si percepisce come parte di un’epopea: si sporca le mani. E’ una forma di modernità che non ha bisogno di dichiararsi moderna.

E poi c’è il tema più politico, forse quello più urgente: la leadership. Qui non se ne trova traccia nella versione muscolare a cui ci hanno abituato i populismi. Questi imprenditori non si concepiscono come salvatori della patria, non coltivano mitologie personali, non usano il potere come strumento teatrale. In moltissimi raccontano la stessa scena: il momento del primo rischio, della prima decisione solitaria, del primo passo senza rete. Ma subito dopo arriva la squadra, la comunità, i collaboratori, la responsabilità condivisa. E’ una leadership adulta, che non ha bisogno di essere adorata: ha bisogno di essere utile.

La verità, scorrendo queste pagine, è che l’Italia anti-populista esiste già. Solo che non sta nei talk show, non nei social, non negli editoriali indignati. Sta nelle fabbriche, nelle idee, nei capannoni rigenerati, nelle decisioni difficili prese senza clamore. E’ un’Italia che non ha il culto dell’emergenza, ma il culto della continuità. Che non teme il mondo, perché lo frequenta da decenni. Che non cerca scorciatoie, perché ha imparato che le scorciatoie non portano da nessuna parte. E che non ha bisogno di gridare per farsi sentire: basta guardare ciò che ha costruito.

In un paese in cui la politica sembra ossessionata dalla percezione del declino, queste storie ricordano che la realtà è spesso più avanzata della narrazione. La parte anti-populista dell’Italia può trovare qui un patrimonio prezioso: un modo di fare meno fragile della lamentazione, più robusto dell’ideologia, più credibile della propaganda. Un modo di essere che non si limita a resistere all’ondata populista, ma la supera. Perché dimostra che l’Italia può ancora fare grandi cose. Senza slogan. E senza urlare.

Updated 27/11/2025