INTERVISTA
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CIVILTÀ DEL LAVORO
VI - 2016
La Corea ha mostrato, nelle ultime decadi, un’incre-
dibile capacità di sviluppo, divenendo uno dei paesi
tecnologicamente più avanzati e raggiungendo l’ec-
cellenza nei settori dell’automotive e dell’elettroni-
ca di consumo. Quanto hanno influito il sistema edu-
cativo e le tradizioni culturali e artistiche del paese?
Innanzitutto, vorrei dire che per i coreani il popolo più si-
mile, in Europa, è quello italiano. E la prova del nostro ap-
prezzamento per l’Italia e il made in Italy è riscontrabile
nel costante deficit commerciale di circa quattro miliardi
di euro a vostro favore.
Entrando nel merito della domanda, il retaggio culturale
e il nostro sistema educativo
sono stati fattori fondamen-
tali per lo sviluppo economi-
co. Da noi, come in Giappo-
ne e a Singapore, i percorsi
formativi sono riusciti a co-
niugare quanto di meglio ci
fosse nella cultura occiden-
tale e in quella orientale. Nel
caso della Corea, dobbiamo
tenere presente due ulteriori
fattori: creatività e dedizione
al lavoro. La combinazione di
essi con il pragmatismo del-
la cultura occidentale è alla
base del successo del nostro
modello.
Inoltre, ritengo che i contribu-
ti di arte e cultura del nostro
Paese saranno per noi in fu-
turo sempre più importanti. Il governo della Corea del Sud
ha identificato il XXI secolo come l’era della cultura e della
creatività e sta investendo ingenti risorse su di esse. Se in
passato la capacità competitiva del nostro sistema indu-
striale era basata sulle economie di scala, ora sentiamo il
bisogno di un’iniezione di pensiero artistico e creativo per
un miglioramento economico e sociale di tipo qualitativo.
Quanto è forte il marchio “made in Corea” e quanto
è importante essere riconoscibili?
I marchi coreani più conosciuti, come Samsung e LG, han-
no avuto un importante ruolo pionieristico per il consoli-
damento della qualità del “made in Corea”.
Poi hanno contribuito anche altri fattori, quali la scoper-
ta da parte del pubblico mondiale del nostro patrimonio
naturalistico, di quello artistico e musicale (il fenomeno K-
pop) e della nostra cultura dell’accoglienza. Oggi Seoul è
una delle città più trendy dell’Asia. Tutti questi elementi
contribuiscono a rafforzare il “made in Corea”.
Anche il marchio made in Italy è uno dei più riconosci-
bili e famosi nel mondo, se non addirittura il più famo-
so, ed è percepito come sinonimo di qualità, buon gusto
e raffinatezza.
Ovviamente in un approccio “glocal” alcuni piccoli aggiu-
stamenti mirati alla riconoscibilità potrebbero apportare
grandi vantaggi. Tempo fa mi trovavo in Toscana in visi-
ta a un primario produttore di vini. Abbiamo discusso del
mercato coreano, nel quale attualmente il primo posto è
detenuto dai vini cileni, se-
guiti da quelli francesi e dai
vini italiani. Uno dei motivi è
che numerosi ottimi vini ita-
liani hanno nomi molto lun-
ghi legati alla zona di origine.
Ciò li rende difficili da ricor-
dare per il consumatore loca-
le, il quale preferisce ordinare
un vino cileno o francese dal
nome più breve. E i coreani
che, come me, amano mol-
to il vostro Brunello di Mon-
talcino, ne accorciano il no-
me in BDM.
Made in Corea e made in
Italy. Come rafforzare en-
trambi i marchi e accrescere
gli scambi culturali?
Il governo coreano supporta e incoraggia tutte le iniziative
finalizzate a questo scopo. Tuttavia dobbiamo riscontrare
la presenza di una serie di ostacoli potenziali, principal-
mente connessi alle differenze strutturali e dimensionali
dei nostri rispettivi apparati industriali.
I marchi coreani hanno generalmente un vantaggio nei
settori manifatturieri e di produzione di massa (It, auto-
motive, industria pesante), mentre le imprese italiane so-
no più competitive nei settori dell’industria leggera e dei
servizi, essendo principalmente Pmi. Dobbiamo quindi
cercare di trovare un terreno comune per favorire l’inte-
razione tra queste due tipologie di attori, perché credo ci
siano tante opportunità di cooperazione non ancora del
tutto esplorate o sviluppate, come nei campi della scien-
za e della tecnologia.
Joint venture o altre collaborazioni tra imprese italiane