Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2017

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2017 46 DOSSIER Noi ci troviamo alla presenza di grandi paesi autoritari, dove le leadership sono chiaramente riconosciute e pren- dono posizioni e decisioni che mettono a rischio il mondo così come noi lo conosciamo. A nostro modo di vedere, la questione va affrontata an- che tenendo conto che oggi a questa frammentazione dei soggetti che intervengono nella governance dei grandi problemi si coniuga un forte indebolimento degli organi- smi di governo sovranazionale, che oggi conoscono una crisi come mai prima. In questo quadro di estrema frammentazione nel mon- do del G20 che oggi conosciamo, e che è ben diverso da quello del G2, l’Europa ha un ruolo fondamentale da svol- gere per garantire pace, stabilità e risposte adeguate ai problemi della fame, della tutela del pianeta e della pa- ce. Un’Europa unita e politicamente più coesa, in grado di giocare il suo ruolo nello stabilizzare il quadro di gover- nance internazionale, è un’Europa indispensabile se vo- gliamo davvero recuperare prospettive di pace e di sere- nità, dando le risposte adeguate ai problemi che vanno al di là della nostra capacità odierna di intervento. La prima prospettiva importante è che oggi finalmente si ricomincia a discutere sul ruolo fondamentale dell’Europa nel ridisegnare le sue logiche e dinamiche di politica in- dustriale. Improvvisamente oggi in tutti i paesi europei si riscopre il fatto che, se si vuole dare una risposta ai pro- blemi economici e sociali dell’Europa, c’è bisogno di ri- scoprire una dimensione competitiva dell’Europa stessa. Vorrei ricordare che quando nel 2000, da presidente di Confindustria, vedemmo l’allargamento dell’Europa fum- mo fra i pochissimi, se non i soli, a sollevare la mano per attirare l’attenzione sul fatto che non c’erano istituzioni europee e che non c’era una chiara identità dell’Europa, con una conseguente possibilità di rischi colossali. Fummo massacrati dalla stampa e dall’opinione pubblica, ma og- gi purtroppo tutti si rendono conto che quel tipo di scelta e di errore ha determinato delle conseguenze gravissime sull’attuale livello di stabilità europea. Era chiaro fin dall’inizio che il modello sul quale noi ave- vamo costruito il posizionamento competitivo del no- stro mondo occidentale dopo Maastricht era destinato a creare il disastro, dal punto di vista competitivo, al quale noi oggi stiamo assistendo. Allora noi pensavamo, in maniera molto arrogante, che po- tevamo essere coloro i quali mantenevano il controllo del- la parte più intelligente, tenendo la ricerca presso di noi e spostando la produzione in paesi a basso costo del lavoro. Sappiamo, però, che capacità di ricerca, di innovazione e manufacturing vanno assolutamente insieme e così, do- po poco tempo, allo spostamento di occupazione si è ac- compagnato immediatamente anche lo spostamento di cervelli e di capacità di innovazione. Solo oggi ci rendia- mo conto di avere continuato a costruire sulla competitivi- tà di ciascuna delle imprese europee una serie di oneri e di regolamentazioni, facendo sì che le imprese diventas- sero poco competitive in uno scenario in cui al dumping sociale si aggiungeva anche il dumping ambientale e, so- prattutto, una capacità di crescita in termini dimensionali che noi non eravamo in grado di esprimere. Oggi è sempre più chiaro che ci sono imprese di medie dimensioni, per le quali l’Italia eccelle, che riescono a es- sere competitive e riescono a vendere con successo i loro prodotti nel mondo e che riescono, proprio perché sono focalizzate da sempre sulla dimensione più globale del business, a recuperare capacità competitive. Noi sappiamo che complessivamente i livelli di aggrega- OGGI L’EUROPA HA UN RUOLO FONDAMENTALE DA SVOLGERE PER GARANTIRE PACE, RISPOSTE ADEGUATE AI PROBLEMI DELLA FAME E TUTELA DEL PIANETA

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