Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2017

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2017 47 DOSSIER zione e di consolidamento che si sono realizzati in altre parti del mondo rendono sempre più indispensabile, an- che per i migliori di noi, una crescita che non può esse- re più graduale, ma deve essere di dimensioni comple- tamente diverse. Gli Stati Uniti, dopo il 2008, hanno fatto politiche industria- li chiudendo l’antitrust. La Cina e altri paesi a scarsa de- mocrazia e a scarso controllo dei loro conti pubblici stan- no comprando aziende attive in diverse parti del mondo nei settori delle materie prime e della trasformazione. Noi abbiamo anche applaudito all’internazionalizzazio- ne di aziende italiane ed europee comprate da aziende di stato cinesi, dimenticando che queste, però, operano con risorse e con regole completamente estranee a quel- le della democrazia economica. È questo il mondo con il quale noi ci misuriamo, quindi è benvenuta la riscoperta che in Europa oggi occorra darsi una dimensione compe- titiva europea e una politica industriale europea per ga- rantire la tenuta delle imprese e dei settori industriali che funzionano in Europa. Nella Germania abbiamo sicuramente un punto di riferi- mento importante perché i due grandi paesi manifattu- rieri europei sono l’Italia e la Germania. Quando, però, ci sediamo disuniti ai tavoli dei confronti internazionali an- diamo incontro a dei fallimenti. La Gran Bretagna è il grande supermercato d’Europa po- co interessato alle politiche di competitività manifatturie- ra, la Francia è molto attaccata a difendere i propri inte- ressi agroindustriali, l’Italia e Germania sono unite nella cultura manifatturiera, ma purtroppo sono divise dai loro interessi. È qui che è mancata la capacità di sederci uniti con un’univoca politica commerciale europea, così come è indispensabile un’unica politica estera europea e un’u- nica politica industriale europea. Fino a oggi questo tema era rilevante in quanto tema de- terminante per rendere possibile la tenuta economica e anche sociale dei nostri paesi, ma oggi la partita è diver- sa e più grande. I temi della sostenibilità del Paese, che sembrava avessero, dopo Parigi, finalmente preso una piega un po’ più positiva, si trovano nuovamente a es- sere messi in questione da uno dei più grandi paesi in- quinatori del mondo, che sono gli Stati Uniti. Le tensioni geopolitiche sono tali da richiedere un livello di coerenza e di fermezza nel gioco degli equilibri locali dove un’Euro- pa disunita non è in grado di giocare quella carta di sta- bilizzazione che è invece necessaria. Giustamente sono stati ricordati gli interessi strategici economici, sociali e politici con l’Africa, ma non dimentichiamo che l’instabi- lità dell’Africa è stata determinata dalla confusione con la quale ciascuno dei paesi europei, la Francia in partico- lare, ha giocato in maniera univoca per interessi egoisti- ci, innescando così una situazione che oggi deflagra tut- ta a casa nostra. Non vorrei che dovessimo aspettare ancora una decina d’anni per renderci conto che, se non affrontiamo in ma- niera chiara il problema dell’unità politica dell’Europa, le conseguenze con le quali dovremo fare i conti saran- no non solo quelle della perdita di competitività o del- la perdita di quote di mercato, ma anche la perdita del pianeta e della pace. Quando assistiamo a dibattiti »

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