Civiltà del Lavoro, n. 3/2016 - page 23

CIVILTÀ DEL LAVORO
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dei propri simpatizzanti; dividere l’opinione pubblica per
rendere più forte il fronte di coloro che chiedono di inter-
rompere la guerra contro l’Isis per evitare ulteriori atten-
tati; appagare il sentimento di vendetta.
Quali soluzioni sarebbero possibili per risolvere le cri-
si in Siria e in Libia?
L’Occidente deve capire che non può vincere sempre.
La Russia esercita il dominio sulla Siria da troppo tempo,
dove ha interessi geopolitici immensi.
L’Occidente deve semplicemente accettare di avere per-
so la guerra in Siria, deve riconoscere Bassar al Assad co-
me uomo della transizione e deve trovare un accordo più
ampio con la Russia per proteggere gli oppositori di Assad,
affinché a nessuno di loro sia torto un capello.
Quanto alla Libia, il modo più semplice di pacificare il Pae-
se sarebbe quello di dividerlo in tre Stati, affinché ogni
gruppo politico abbia la propria fetta di potere.
Ma non è detto che sia anche il modo migliore di tutelare
i suoi interessi economici e le sue prospettive di sviluppo.
Come hanno reagito sinora l’Europa e l’Italia alla crisi
del Mediterraneo e Medio Oriente?
Con riferimento alla Siria e all’Iraq, l’Europa non conta
niente. Ciò che accade in quei Paesi dipende, quasi esclu-
sivamente, da sei Paesi divisi in due blocchi contrapposti.
Al primo blocco appartengono Russia e Iran; al secondo
blocco, Arabia Saudita, Turchia, Stati Uniti e Qatar.
L’Europa non è nella condizione oggettiva di fare qualcosa
di importante. La buona volontà degli europei non c’entra
niente. È un problema di forze oggettive.
I Paesi del fronte Sud della Nato chiedono maggio-
re impegno da parte dell’Alleanza Atlantica sulle cri-
si mediterranee e mediorientali. Lo ritiene possibile?
È possibile, ma inutile, se prima non viene elaborato un
disegno politico. In questo momento la Nato è come una
gallina senza testa che corre a destra e a manca.
Se “i grandi della terra” non si mettono d’accordo sul mo-
do in cui risolvere le guerre in corso, giriamo su noi stes-
si. Se vogliono la pace, gli Stati Uniti e la Russia la de-
vono smettere di scaricare le loro tensioni su altri Paesi.
Altrimenti, ci risparmino i loro discorsi retorici sui diritti
umani e gli aiuti umanitari.
Lo stesso discorso vale per l’Arabia Saudita e l’Iran. Sic-
come si odiano, ma non posso combattersi direttamen-
te, finanziano la morte in altri Paesi, come fanno in Ye-
men e in Siria.
L’Arabia Saudita scarica una valanga di bombe sullo Ye-
men; interrompe i bombardamenti per inviare gli aiuti
umanitari e, subito dopo, riprende a bombardare.
Per non parlare dell’Iran, un Paese che si riempie la bocca
con la parola pace e poi prepara le guerre a più non posso.
La Russia ha assunto un ruolo determinante nel con-
flitto siriano: ritiene sia possibile una maggiore unità
d’azione tra Usa, Europa e Russia nella lotta all’Isis e
nella stabilizzazione di Siria e Libia e a quali condizioni?
È possibile, a condizione che l’Europa e gli Usa riconosca-
no che la Siria e la Crimea appartengono alla Russia, che
ne dispone a suo piacimento.
Il problema è molto semplice. La Russia vuole delle co-
se. Punto.
Se gliele diamo, avremo qualcosa che assomigli alla pace.
Si tratta di capire quale sia la nostra vera priorità. Se è la
pace, l’unica soluzione duratura è quella che ho indicato.
Il che non significa che sia anche la soluzione che prefe-
risco.
(p.m.)
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