Civiltà del Lavoro, n. 6/2020

Civiltà del Lavoro dicembre 2020 51 in funzione dei grandi macchinari che hanno accresciuto e migliorato il nostro lavoro è un ricordo che ancora mi emo- ziona. Se mi è consentito un cenno personale, mi emozio- na sempre il ricordo del primo giorno in cui mi presentai in fonderia, da giovane ingegnere desiderosa di fare: mio padre mi disse di sistemarmi dall’altro lato della sua scriva- nia e mi affidò l’incarico di informatizzare i documenti in- formativi interni riguardanti fra gli altri in particolare i da- ti di efficienza e i costi dei cicli di produzione. Era il 1984 e da allora non ho smesso un attimo di appassionarmi all’at- tività di famiglia. Secondo Lei è cambiato il ruolo dell’imprenditore e la sua percezione nel contesto sociale? All’imprenditore oggi vengono riconosciute responsabilità che si estendono oltre il proprio business, oltre i lavoratori che impiega, per identificarne il ruolo attivo nel tessuto so- ciale nel quale opera. È un compito mutato in relazione al cambiamento delle norme ma anche al cambiamento del- le esigenze sociali e ambientali. Noi siamo una fonderia di pressofusione di leghe di allumi- nio, ossia una fabbrica che esercita un’impronta significati- va sull’ambiente attraverso emissioni in atmosfera, rumo- re, utilizzo dell’acqua e reflui, scarti di produzione. Adottare tutte le misure necessarie per la sostenibilità ambientale dei processi produttivi fa parte del nostro modello operativo al quale dedichiamo estrema attenzione e investimenti. Il mio ruolo di imprenditrice non potrebbe prescindere dal modo in cui la mia azienda si pone sul territorio e dall’at- tenzione che è dovuta alla sua salvaguardia. Dal punto di vista morale, poi, esistono altre responsabili- tà: da mio padre Alessandro ho acquisito la visione di un’a- zienda che non è una risorsa da sfruttare, ma una realtà della quale fanno parte integrante le persone che ci affi- dano il loro futuro. Come imprenditrice sento personalmente la responsabili- tà di essere credibile nei confronti dei dipendenti che con- tribuiscono al buon funzionamento dell’azienda. Anche nel difficile momento che stiamo attraversando, una grande ri- sorsa che abbiamo potuto mettere in campo è stata la con- divisione con tutti i dipendenti del valore della continuità aziendale e l’impegno a garantirla. Questo è stato possibile per la coerenza che abbiamo dimostrato nel tempo. Oggi penso che il valore distintivo di un imprenditore non risieda nei risultati economici, ma nella difendibilità del pro- prio operato nei confronti delle generazioni future. L’Europa chiede all’Italia progetti di medio e lungo ter- mine per la spesa dei fondi del Recovery Plan. Quali, a suo giudizio, le direttive da seguire? Il contributo europeo che giungerà dal Recovery Plan po- trà fornire grosse opportunità, che devono saper guarda- re oltre la contingenza del presente. Il Paese ha cronici ri- tardi in tanti settori e questa potrebbe essere l’occasione per metterci al passo con quelli più avanzati. Un’economia sana non può prescindere da una buona rete di infrastrut- ture, dalla informatizzazione ad alta velocità, da una logi- stica efficiente e non inquinante. Ma gli investimenti de- vono interessare anche le persone e la loro formazione. Serve una scuola legata alla realtà del lavoro che ci aiuti a valorizzare i giovani, indispensabile capitale umano che in azienda porta entusiasmo e talora anche una visione nuo- va delle cose, in sintonia con i tempi. Occorre investire su di una formazione mirata a creare quelle figure professio- nali richieste nelle moderne aziende di produzione, con una programmazione complessiva che ponga in relazione il la- voro con l’istruzione, sin dalla scelta della scuola superiore. Sicurezza e tutela ambientale devono diventare materie di base, adatte a sviluppare conoscenza e consapevolezza su temi ormai imprescindibili per qualunque processo. Risul- tati misurabili, trasparenti e condivisi sono infine le proce- dure che dovremmo far diventare la prassi per dare conto di quanto si è realizzato. Infine, è quasi superfluo rimarca- re la necessità di una riforma della burocrazia, che certa- mente deve controllare le attività, ma non può costituire un costo talvolta troppo pesante per le pastoie che pone e i conseguenti ritardi. Cosa ha significato per Lei la nomina a Cavaliere del Lavoro? È un onore insperato e una grandissima soddisfazione, che mi ripaga di tante difficoltà e di tanti momenti in cui è sta- to difficile non scoraggiarsi, ma in cui non ho mai perso per un attimo la voglia di andare avanti. A un tassello positivo si unisce sovente un problema, l’incertezza è sempre alle porte e non si può fingere che i problemi legati all’azienda non influenzino anche questioni personali. Essere Cavaliere del Lavoro sarà un motivo in più per guar- dare al futuro con ancor maggiore determinazione.

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