Civiltà del Lavoro, n. 3/2020

19 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2020 e bene, bisogna immaginare un assetto “straordinario” del processo di programmazione, decisionale e di verifica dei risultati ottenuti. Mi rendo conto che, ancora una volta, in nome della fretta si rischia di non affrontare i nodi di fondo, ma questa volta credo sia giustificato scegliere una “scor- ciatoia”, vista la drammatica situazione del Paese. C’è comunque un punto su cui l’Italia è strutturalmente de- bole: la valutazione ex-ante ed ex-post degli interventi. Lo se- gnalava già nel 1955 Luigi Einaudi nelle sue “Prediche inutili” che si approvavano leggi senza valutarne preventivamente gli effetti e da allora non è cambiato molto. Per questo, bi- sogna dotare rapidamente il Paese di un sistema in grado di effettuare una valutazione preventiva e successiva della strategia complessiva e dei singoli interventi. Sembra che la Commissione europea sarà molto atten- ta a verificare l’uso dei fondi. Ma noi saremo in grado di rispettare le tabelle di marcia o, come spesso accade coi fondi strutturali, rischieremo di non usarli appieno e perderne una parte? Sappiamo bene dove sono gli ostacoli che frenano la spe- sa dei fondi europei. In taluni casi la colpa è delle Regioni, in altri è del governo centrale, visto che sono i programmi nazionali ad essere spesso in ritardo a causa della lentezza delle amministrazioni centrali. Con il “Recovery and Resilience Facility” queste ultime, e il governo nel suo complesso, avranno un ruolo ancora più importante, ma sappiamo che alcune amministrazioni han- no una grave carenza di figure professionali in grado di im- maginare l’innovazione e il cambiamento radicale che l’U- nione europea si aspetta dall’Italia. Credo però che il coinvolgimento della società civile, spes- so detentrice di conoscenze assenti nelle amministrazioni centrali e locali, potrebbe aiutare a chiudere questo gap. Non si tratta di un’operazione di lobbying, ma di trasferi- mento di conoscenza tra chi sta sul territorio e chi ne è lon- tano. Sarebbe una bella sfida da affrontare direttamente in fase di impostazione del processo di governance, la qua- le avrebbe anche un altro vantaggio: i governi cambiano, la società civile resta e questo potrebbe dare maggiore sta- bilità al disegno delle politiche pubbliche, anche a fronte di cambiamenti dell’assetto delle maggioranze parlamentari. Che cosa suggerirebbe alle imprese e ai Cavalieri del Lavoro, al di là del loro ruolo produttivo, per dare un contributo originale in questa fase decisiva di riparten- za del Paese? Ritengo che il contributo possa essere decisivo su tre tema- tiche, tutte estremamente rilevanti. La prima ha a che fare con la cultura d’impresa che, nonostante le tante eccellen- ze presenti nel nostro Paese, non sempre appare all’altezza delle sfide storiche, come quella che stiamo vivendo. Penso ad un forte investimento sulla cultura della legalità (si pensi all’elevatissima quota di economia sommersa e di evasio- ne fiscale); dell’innovazione e dell’investimento in capitale umano, temi su cui l’Italia è, al di là di tanti casi di successo, in evidente ritardo; dell’assunzione di rischio da parte dei capitali privati e di valorizzazione delle competenze mana- geriali esterne alla proprietà, fattori spesso accantonati a favore di una visione eccessivamente familiare della gestio- ne d’impresa; della valorizzazione delle energie giovani e in- novative, spesso penalizzate da salari d’ingresso molto bassi e da progressioni di carriera troppo legate all’anzianità. A fronte della crisi che stiamo vivendo, o riusciremo a stimolare la crescita di una nuova generazione di imprenditori oppure il sistema Paese uscirà profondamente indebolito PRIMO PIANO

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