Civiltà del Lavoro, n. 3/2020

15 Civiltà del Lavoro giugno • luglio 2020 Il nostro Paese non ha una buona tradizione nell’uso dei fondi strutturali europei, che spesso sono stati non spesi o polverizzati in una miriade di piccole opere che non hanno avuto effetti sulla crescita del Pil. Che fare per non ricadere negli stessi errori? Questo è un vero punto dolente: pesa – l’ho constatato in prima persona – in ogni trattativa per maggiori finanziamenti europei e influisce sulle scelte degli investitori internazionali. In decenni d’impiego in Italia dei fondi strutturali (fra 2014 e 2020, oltre 40 miliardi), non si è mai riusciti a calcolarne l’incidenza sulla crescita del Pil nazionale. È il dato più mortificante; nel confronto, la Spagna e altri fanno molto meglio. Molteplici sclerosi e inefficienze ci penalizzano: siamo in perenne ritardo sulla programmazione che, frammentata geograficamente, è carente di respiro strategico. I migliori fra gli Stati Ue tendono a privilegiare modelli con strutture snelle e di alta competenza, centralizzate ma in grado di interagire con Regioni ed enti locali, lasciando il dovuto spazio di autonomia a chi è capace. Trovo anche basilare avere una visione ampia, di sistema, non mere sommatorie di localismi. Bisogna guardare lon- tano e non ai tornaconti di breve termine. Questi fondi Ue così significativi possono darci una spinta per un bel salto di qualità e di crescita se sapremo sostituire alle negligen- ze frequenti e all’accidia dei veti, un rinnovato spirito corale d’iniziativa – un tempo si diceva d’intrapresa – che riunisca quanto di valido c’è nel settore pubblico e in quello privato. Che contributo possono dare le imprese per spendere bene e presto i fondi europei? Francamente il contributo delle imprese è fondamentale e imprescindibile. Chi meglio degli imprenditori può indicare le regole, le procedure, le prassi, gli atteggiamenti che com- plicano e frenano senza necessità la loro attività? L’identificazione dei veri colli di bottiglia è l’ovvia premessa per impostare velocemente riforme strutturali apprezzabi- li e calibrate che gli organi competenti potranno adottare. So bene che è un esercizio tentato e perfino fatto altre vol- te, ma questa potrebbe essere la famosa “volta buona” in virtù proprio del rilievo di queste nuove risorse Ue e del ri- gore delle condizioni per fruirne. Inoltre, le aziende sono le protagoniste naturali di moltissime fra le opere che van- no incluse nei progetti su cui far convergere gli investimen- ti e il supporto europeo. Penso che sarebbe ottimo se le imprese, senza aspettare direttive o inquadramenti teorici “dall’alto”, si facessero spontaneamente parte diligente pre- disponendo idonei progetti circostanziati suscettibili di es- sere inclusi nel piano nazionale. Così, essendone gli artefici, individualmente o in gruppo, gli imprenditori animati dall’a- bituale ottica di risultato, possono garantirne la realizzabilità e i relativi tempi. Del resto, le linee guida generali Ue sono già chiare, pubblicate e offrono tutti gli spunti e gli orien- tamenti. Sono convinto che il sistema Italia vincerà la sfida di cui dicevo all’inizio, esclusivamente con il protagonismo delle sue forze più vive: le aziende di qualsiasi comparto e dimensione, purché ne siano coscienti e si muovano con rapidità, concretezza e determinazione. PRIMO PIANO

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