Civiltà del Lavoro, n. 6/2018

125 CIVILTÀ DEL LAVORO VI - 2018 INTERVISTE Ima investe tra il 5 e il 6 per cento in ricerca e sviluppo, più omeno il quadruplo di quel che fa l’Italia. Come può un’a- zienda tenere il passo se il contesto è così poco reattivo? Ho sempre fatto parte di una scuola di pensiero che so- stiene che il contesto è parte rilevante del successo di un’impresa, e non solo. Noi con l’innovazione guidiamo il mercato, la domanda di innovazione ci spinge e ci guida. Dunque dobbiamo investire. In futuro dovremo fare di più, anche perché incoraggiati dai risultati di una serie di pro- getti, ad esempio quelli di Ima Digital che ho già ricordato. In realtà, sulla reattività del contesto noi viviamo in una regione virtuosa, con antica tradizione produttiva, con un mondo del lavoro abile e responsabile, e questo ci facilita. Ma in futuro dovremo tutti, dico tutti far meglio e di più. Ima è un’azienda globale, ma quanto conta il legame con l’asse della via Emilia? Da giovane dissi una frase scontata ma in cui io credo: cervello nel mondo per esportare, e cuore a casa, per col- tivare i rapporti con la propria gente ed i propri territori. Il legame con la via Emilia è forte e rimarrà tale. Non è solo un fatto affettivo. Se guardiamo i numeri delle no- stre realtà produttive, quelle emiliane sono le più com- petitive. Assicuro che non sono le più seguite, ma sono con la migliore genetica che esprime una storica capaci- tà di produrre ricchezza e lavoro. • far circolare informazione. Abbiamo preso coscienza della necessità di assicurare e dare sicurezza al nostro capitale di informazioni che crescono esponenzialmente. Su que- sta linea sono tutti quelli che vogliono restare competitivi. Bologna, per la sua storia e per le sue proiezioni future, può essere la capitale italiana dei Big Data, è stata un la- boratorio politico, economico e sociale, una città dalle so- lide tradizioni accademiche e della ricerca italiana. Cre- do che meriti questa posizione, soprattutto a garanzia di tutto il nostro Paese. Più di 40 fabbriche sparse per il mondo per una pre- senza altrettanto forte nei mercati globali. La politica dei dazi e dei protezionismi la preoccupa? Le nostre manifatture in Europa sono seconde solo alla Germania, e se il contesto Paese (istituzioni & burocra- zia) fosse più amico dell’impresa e del lavoro, saremmo fortissimi. Ciò premesso, noi come altri, siamo conosciuti per quali- tà ed affidabilità dei prodotti e dei servizi, le nostre mac- chine sono distribuite nella gamma alta del mercato. Per ora non vediamo limiti nel protezionismo, proprio perché diamo un contributo utile alle economie. Se perdessimo competitività, soprattutto per scarsa capacità di innova- zione, allora sarebbero dolori. Ogni piccolo fardello ci fa- rebbe venire l’affanno. Oggi non è così.

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