Civiltà del Lavoro, n. 1/2018

CIVILTÀ DEL LAVORO I - 2018 14 di spesa pubblica: nella pancia del bilancio dello Stato ci sono ancora un’infinità di spese che possono essere ri- dotte o annullate. Poi occorre riorganizzare la macchina giudiziaria che rappresenta un freno all’attività economi- ca e all’attrazione di investimenti. E, infine, bisogna ac- centuare i sostegni alle famiglie più deboli e concentrare le risorse sulla ricerca e sull’università dove siamo mol- to indietro, con un tasso di studenti universitari tra i più bassi d’Europa. Anche grazie a Industria 4.0 gli investimenti industriali sono in forte ripresa: si tratta di investimenti di sosti- tuzione dopo gli anni della crisi durante i quali l’ap- parato industriale è molto invecchiato, oppure di veri e propri investimenti digitali di nuova generazione? Spero che anche gli investi- menti di sostituzione siano di nuova generazione e dunque digitali. Una parte del sistema produttivo è sicuramente pron- ta ad affrontare la sfida della digitalizzazione, che va favorita anche attraverso una crescita delle dimensioni delle imprese. C’è anche un problema sociale da affrontare: la digitalizzazio- ne, come tutte le ondate d’in- novazione, rappresenta una “distruzione creatrice”, che ri- schia di provocare costi socia- li che potrebbero ostacolare il processo. Per questo è importante che vengano approntati strumen- ti per attenuare questi costi sociali e renderli accettabili, anche per evitare che questi problemi possano portare a una riduzione degli incentivi agli investimenti. Ha citato il tema della crescita dimensionale delle imprese: ma cosa si può fare di più per favorire que- sta crescita? Vedo due necessità. Da una parte, dobbiamo spingere le medie imprese ad aprire il capitale all’equity, cosa non sempre facile perché richiede un salto culturale verso la trasparenza informativa e l’uscita dall’opacità. È un cam- biamento necessario e inevitabile perché non è possibile crescere nell’opacità. In secondo luogo, le grandi imprese devono rafforzarsi ed essere più coraggiose, diventare ag- gregatrici a livello internazionale, non solo essere prede. Questo non richiede anche un rafforzamento dei mer- cati finanziari: siamo un popolo di risparmiatori, ma abbiamo pochi investitori istituzionali. Da questo pun- to di vista, come giudica l’esperienza dei Pir? Convogliare il risparmio privato verso gli investimenti pro- duttivi attraverso i fondi pensione e gli altri investitori isti- tuzionali è necessario, ma non è un processo facile, perché richiede un sistema di condivisioni e riorganizzazione del- le informazioni sulle imprese non semplice da organizzare. I Pir sono da questo punto di vista una bella esperienza, an- che se rischiano di generare un eccesso di domanda sul mer- cato, perché non ci sono abba- stanza piccole imprese quotate potenziali destinatarie di que- sti investimenti. Bisognereb- be fare arrivare queste risorse anche a imprese non quotate, ma questo non è un processo semplice. Si tratta comunque di un tema importantissimo per assicurare al Paese una crescita solida di medio-lungo termine. Come vede l’Italia tra un anno? Due possibili scenari. Il primo, più ottimistico, prevede un con- solidamento graduale della crescita avviata negli ultimi anni con un governo, probabilmente di coalizione, che adotti un atteggiamento da “care taker” e che anche se probabilmente non sarà in grado di avviare riforme so- stanziali, almeno accompagni la ripresa con interventi di- rei di manutenzione ordinaria. Il secondo scenario è inve- ce più pessimistico: se il governo decidesse di spendere e fare nuovo deficit o cancellasse il processo di riforma av- vitato dagli ultimi governi, rischieremmo di danneggiare seriamente la ripresa. Non vedo all’orizzonte un opzione politica davvero riformistica che ci permetta di replicare quanto sta succedendo in Francia con Macron. • (p.m.)

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