Civiltà del Lavoro, n. 6/2017

73 CIVILTÀ DEL LAVORO VI - 2017 INTERVISTE e potenziate soprattutto a livello locale, nei territori, con- dividendo progetti capaci di catalizzare una molteplicità di ulteriori iniziative e di garantire la sostenibilità econo- mica, sociale e ambientale. L’innovazione si nutre, infat- ti, di contaminazione dei saperi e di stimoli trasversali e non è solo il frutto di competenze tecniche. La Novamont detiene un ricco portafoglio di brevetti: quanto lavoro c’è dietro? Un lavoro molto importante e soprattutto costante. Die- tro a ogni brevetto ci sono investimenti continui in inno- vazione e anni di ricerca sul campo, che si trasformano in nuovi processi, nuovi prodotti e nuovi mercati, che a lo- ro volta generano ulteriori competenze tecniche in am- biti sempre più ampi. C’è un approccio sistemico e una visione condivisa di in- novazione continua tra persone che credono in un mo- dello e lo fanno proprio. La vostra presenza aziendale è significativa anche in aree complesse del paese proprio dal punto di vista am- bientale come il Mezzogiorno: che difficoltà incontrate? Le zone più fragili e con più problemi sono quelle più dif- fidenti e meno aperte ai cambiamenti e all’innovazione. Per questo è così importante la Strategia nazionale sul- la bioeconomia, che potrebbe permettere di connettere settori diversi attraverso un processo di innovazione con- tinua, che punti all’uso efficiente delle risorse, alla preser- vazione e al ripristino del capitale naturale e al migliora- mento della qualità della vita delle persone. Da parte nostra cerchiamo di andare oltre le difficoltà e di trasformare le fragilità di alcune aree del Paese, come la deindustrializzazione o la scarsità di risorse idriche, in opportunità di rigenerazione territoriale, guardando ai pro- blemi come a delle grandissime sfide di innovazione. • mico al territorio, attraverso applicazioni capaci di risol- vere problemi ambientali e sociali. Abbiamo lavorato sulla strategia, puntando su un’econo- mia sistemica, non dissipativa, che non gettasse risorse preziose e soprattutto che non creasse dei costi in più, pro- ducendo scarti umani, scarti di materia e scarti di energia. Così siamo diventati quello che siamo oggi: un gruppo in- dustriale con all’attivo mille brevetti, sei siti in Italia in fa- se di riconversione e reindustrializzazione e quattro tec- nologie originali e prime al mondo applicate a questi siti. Ambiente e agricoltura da coniugare con la chimica: per i profani una sfida impossibile. Eppure stando alla sua vicenda imprenditoriale è un binomio reale. C’è consapevolezza in Italia? Ritiene che le nostre leggi e la conoscenza collettiva siano adeguate? Le innovazioni e le tecnologie non sono di per se stesse buone o cattive: perché abbiano un effetto positivo de- vono essere applicate con saggezza, tanto più quando si ha a che fare con i terreni agricoli e con le materie pri- me rinnovabili. L’economia locale improntata alla sostenibilità nell’uso del- le fonti rinnovabili permette di utilizzare diverse materie prime e scarti in modo circolare, partendo dalla natura e ritornando alla natura, facendo sì che il ciclo di vita del prodotto si chiuda e che non rimangano scarti inutilizzati. Credo che in Italia ci sia una conoscenza del potenziale della bioeconomia anche superiore rispetto ad altri paesi. Tuttavia, occorre che cresca la consapevolezza collettiva e individuale di questo potenziale, intesa anche come mag- giore comprensione delle regole per massimizzare l’acce- lerazione del settore. Quando viene a mancare il rispetto delle regole, si lascia troppo spazio ai “furbi” e all’illega- lità, a scapito dell’innovazione e del necessario rafforza- mento del tessuto sociale e delle comunità. La sua azienda intrattiene forti relazioni con il mondo universitario: la vostra è una eccezione o una realtà molto più diffusa di quel che si pensi? Novamont da sempre collabora con il mondo accademi- co a progetti di ricerca e formazione a tutti i livelli e si- curamente non è un caso isolato in Italia. Realtà come i cluster tecnologici nazionali - penso ad esempio a quello della “chimica verde”, che conosco da vicino - contribui- scono inoltre a creare e potenziare le sinergie tra mondo industriale e ricerca pubblica e a costruire un tessuto di- namico, competitivo e in continua crescita. Queste sinergie devono essere però mantenute, coltivate

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