Civiltà del Lavoro, n. 4-5/2017

CIVILTÀ DEL LAVORO IV • V - 2017 43 DOSSIER lancio comunitario, che non sia la ridistribuzione dei sol- di che arrivano dai vari paesi, ma sia un bilancio che abbia precisi obiettivi politici scelti dalla politica (Consiglio, Stati membri e Parlamento). Gli obiettivi non possono non essere politici se il problema è quello della crescita o della mancata crescita, con relativa soluzione del problema della disoccupazione (soprattutto giovanile), se il problema è quello dell’immigrazione, se il problema è quello della lotta al terrorismo e della sicu- rezza nel suo complesso. Il 25 marzo a Roma abbiamo firmato una carta in occa- sione della cerimonia per i Trattati di Roma e quella car- ta non è solo una pergamena ricordo, ma è un impegno politico che quelle cose, messe nero su bianco, siano poi applicate. Un’azione a favore di una difesa europea, cominciando dalla parte industriale della difesa europea, deve rappre- sentare una scelta anche di bilancio. Quando parliamo di immigrazione il problema non è sol- tanto quello di chiudere la frontiera libica per impedire che arrivino migranti illegali, ma il problema è quello di capire che cosa vogliamo fare noi con il nostro interlo- cutore dirimpettaio, che è un continente con miliardi di persone e che nei prossimi anni, se non ci sarà un cam- biamento, si sposteranno dal sud verso il nord del mon- do e non ci saranno navi o frontiere per poterli fermare. Quando ci sono questi spostamenti biblici neanche il più grande esercito della storia può fermarli, basti pensare che nemmeno l’esercito romano riuscì a fermare le inva- sioni che venivano da oriente. Noi abbiamo il dovere di intervenire in Africa con una politica e investimenti per l’Africa stessa, che abbiano un obiettivo strategico. La crescita demografica, il cam- biamento climatico, il terrorismo, la siccità, la carestia, le guerre civili, la povertà spingeranno milioni di persone a spostarsi se non si dà loro la possibilità di restare. Nessuno vorrebbe andarsene da casa propria, ma quan- do uno è costretto a fuggire per non farsi tagliare la gola o perché il proprio figlio muore di fame, allora noi abbia- mo il dovere di fare una politica migratoria intelligente, moderna e che faccia dell’Africa un nostro interlocutore. Con tutti i leader africani con cui ho parlato non ce n’è sta- to uno che si sia detto con- tento di quello che sta facen- do la Cina in Africa, perché il problema non si risolve con la colonizzazione cinese dell’Africa stessa. La Cina ha interesse solo nel business in Africa, mentre noi abbiamo interesse ad avere un rappor- to con l’Africa diverso, per- ché ci interessa la stabilità e anche di avere delle oppor- tunità, perché si tratta di un continente pieno di materie prime e noi siamo un conti- nente industriale. Oggi il prezzo delle materie prime lo decide la Cina e la nostra industria è costretta a pagare tanto, perché la materia prima costa troppo. Un rappor- to con l’Africa, quindi, può essere un rapporto basato su un mutuo interesse e qui anche voi, come imprenditori, avete un grande ruolo. La diplomazia economica europea può essere uno dei grandi protagonisti per farci giocare un ruolo strategico nel continente africano. Noi abbiamo interesse che cresca l’economia africana e che ci siano tanti imprenditori giovani, piccoli e medi. Ab- biamo interesse che si possa sfruttare sul posto ogni ri- sorsa che il Padreterno ha dato a quel continente, senza che quelle stesse risorse (petrolio, oro, ecc.) siano gesti- te dai cinesi insieme a qualche dittatore che pensa solo ad arricchirsi affamando il popolo. Non è questo quello che interessa a noi dal punto di vi- sta politico e dal punto di vista economico. Se vogliamo risolvere il problema dell’immigrazione, an- che il bilancio comunitario deve essere indirizzato a dare vita a un Piano Marshall per l’Africa e deve essere indi- rizzato anche alla formazione, perché se la nostra indu- stria ha bisogno di manodopera da aggiungere a quella europea bisogna fare in modo che chi viene qui da noi parli la nostra lingua, rispetti le nostre regole, ma sia an- che in grado di poter essere inserito nelle nostre impre- se manifatturiere o agricole. È profondamente ingiusto e anche pericoloso che si sfrut- ti (come è accaduto in Calabria) la manodopera sottopa- gando gli immigrati, i clandestini o chi ha fatto richiesta di asilo, perché quella manodopera è destinata a diven- tare strumento della malavita, col rischio poi che si metta in proprio, facendo crescere il numero di coloro che de- linquono nel nostro Paese. »

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