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Intervista a Debora Paglieri: 200 anni di Paglieri

20.06.2023

Una famiglia, una fabbrica. Da oltre 200 anni c’è ad Alessandria almeno un Paglieri che produce cosmetici e prospera nonostante i rivolgimenti politico-amministrativi. Cominciò Luigi nel 1807 aprendo una bottega di creme, ciprie, belletti e parrucche in via Ravanale (oggi via Mazzini): in città c’erano i francesi di Bonaparte che avevano appena abbattuto l’antico Duomo per realizzare l’attuale piazza Libertà, dove nel 1830 fu trasferita l’attività. Poi il ritorno dei Savoia, le guerre d’Indipendenza, l’Unità. I Paglieri sempre lì, in crescita, tanto che nel 1876 fondano la prima azienda. L’exploit nel 1923: nascita di Felce Azzurra, prima acqua di colonia e poi borotalco, un marchio entrato nell’immaginario collettivo.

Debora Paglieri, co-Ceo della società dopo aver ricoperto vari incarichi di vertice. La vostra famiglia è alla settima generazione: qual è il segreto di questa longevità imprenditoriale?

«Me lo sono chiesta anch’io parecchie volte, specie ora che Felce Azzurra ha cento anni. Com’è possibile che una fragranza riesca a piacere per così tanto tempo, ma riuscendo anche a catturare nuovi target soprattutto negli ultimi anni in cui ‘offerta è sempre più concorrenziale? Oltretutto quel marchio è presente in molte categorie ma le principali sono bagno schiuma e ammorbidente dove la fedeltà all’acquisto è bassa. Felce Azzurra è un prodotto che un guru del marketing come Kevin Roberts definì lovemark, cioè marchio entrato in simbiosi con il consumatore »

Lo ha riconosciuto il Ministero col francobollo per il centenario.

«Ci ha fatto molto piacere: è un riconoscimento conferito in pochi casi a marchi commerciali, di solito va a eventi o personaggi»

E Alessandria?

«Ha una posizione geograficamente invidiabile non ancora sfruttata come dovrebbe. La logistica è uno dei suoi punti di forza, però la parte ferroviaria è ancora nel limbo. E dire che lo spostamento delle merci, come insegna Amazon, non è più solo un servizio, ma un prodotto dal valore aggiunto enorme».

Il vostro progetto Future Vision a che punto è?

«Siamo partiti un anno fa grazie alla ridefinizione dell’azionariato, con una nuova governance. Abbiamo analizzato punti di forza e debolezza, minacce e opportunità. Quesito chiave: qual è la motivazione per cui Paglieri c’è, c’è stata e deve continuare a operare? Banalmente: profumare il mondo per creare il benessere delle persone. Il profumo è il nostro Dna, dà gioia, vita, allegria. Abbiamo precisato i quattro pilastri per i prossimi dieci anni: Governance, Cultura, Sviluppo, Innovazione. Siamo a buon punto e stiamo procedendo molto velocemente, abbiamo già affrontato due temi imprescindibi :sostenibilitàe digitalizzazione».

Non c’è anche il profitto?

«Ci deve essere, ma il valore di un’zienda è il brand e lo fanno soprattutto i collaboratori che vanno fidelizzati: oggi c’è un fuggi fuggi di risorse umane. È difficile portare qui alcuni profili, devi rendere gradevole l’ambiente di lavoro e avere un’organizzazione snella:abbiamo introdotto il concetto di responsabilità circolare, non più la piramide gerarchica, siamo tutti coinvolti nella gestione, io per prima».

A proposito di ambiente di lavoro, la Paglieri ci puntava già oltre 60 anni fa.

«Nel primo stabilimento c’erano circa 400 collaboratori, quasi tutte donne, e fummo tra i primi a introdune l’asilo nido e la pausa lunga per consentire di tornare a casa a pranzo e stare con i figli».

Voi avete rilanciato.

«Abbiamo rinnovato la mensa, l’infermeria, creato aree relax con poltrone massaggianti, introdotto il nutrizionista e il “maggiordomus”: tutti i nostri collaboratori possono affidargli commissioni di ogni tipo. Abbiamo attivato cabine insonorizzate per la privacy delle comunicazioni personali e il servizio Stymulus con tre tipi di consulenti: fiscale, legale, psicologico. Abbiamo assunto 30 persone (l’organico sfiora oggi le 250 unità, ndr), fra cui un manager alla sostenibilità e uno alla digitalizzazione, e abbiamo una nuova agenzia di comunicazione, perché il cambiamento devi comunicarlo. È partito anche un sistema di analisi del clima aziendale con innovativi test per selezionare e inserire nuovi collaboratori. Insomma c’è da creare una nuova cultura aziendale smart: è bello ma anche faticoso».

Siete ambasciatori del Made in Italy.

«Non è che per prodotti come i nostri abbia grande appeal, come nella moda; la vera attrattiva per gli stranieri è la nostra lunga storia che garantisce serietà e qualità».

Com’è il bilancio approvato nei giorni scorsi?

«Buono soprattutto per il fatturato con una crescita del 15%: ricavi 2022 per 170 milioni (+13%) che  salgono a circa 200 milioni con Selectiva e Agopag; il target è raddoppiare questi numeri entro 5 anni anche attraverso acquisizioni. Meno buona la redditività: l’aumento delle materie prime non l’abbiamo ribaltato totalmente sui clienti, così il margine si è quasi dimezzato. Quest’anno stiamo andando bene, più 20% sul 2022, forse proprio perché i listini sono stati ritoccati pochissimo. Una scelta che ha eroso l’utile: una famiglia lo può fare, una multinazionale forse no».

Non c’è solo l’Italia.

«I nostri prodotti sono in ben 50 Paesi, dal Medio Oriente all’Asia e all’Europa con un export al 15% del fatturato, ma vogliamo crescere con acquisizioni in Spagna e Germania. E quest’anno investiremo circa 10 milioni in infrastrutture».

La settima generazione è sua figlia Ginevra, oggi Board Director.

«Suo nonno ha saputo trasferirle, come ha fatto con me, l’orgoglio, il senso di appartenenza, la responsabilità di dare lavoro a tante famiglie. L’azienda prima di tutto».

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Articolo pubblicato il 20 giugno 2023 da “Nord Ovest Economia”

 

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