Articolo pubblicato il 23 luglio 2023 da “La Repubblica Napoli”
L’azienda di famiglia nata dall’incontro sentimentale dei genitori Giuseppe e Titina. Poi la sfida personale: costruire un porto a Salerno. Agostino Gallozzi racconta una storia d’impresa (il gruppo omonimo) nata nel 1952, culminata con la scommessa più importante, la nuova Marina d’Arechi. Due figli, Giuseppe e Giuditta, terza generazione al lavoro nel settore della logistica.
Gallozzi, come nasce la vostra impresa?
«Da un amore, quello nato tra i miei genitori in un’agenzia marittima a Napoli. Dopo il fidanzamento, decidono di cominciare un’attività. Scelgono Salerno per avvicinare le navi alle fabbriche di pomodoro. Mio padre nell’agosto del 1952 riesce a portare una prima nave con una piccola quantità di pomodori verso l’Inghilterra. L’azienda era poco più di una stanza, papà girava per gli uffici, mia madre lavorava alle pratiche, alle esportazioni».
Lei conserva in ufficio il biglietto del viaggio Napoli-Salerno dei suoi genitori.
«Sì, per non dimenticare che tutto è cominciato da lì. Mi sento di doppia cittadinanza, napoletana e salernitana, ho vissuto a Napoli fino a 23 anni. E quei due biglietti di terza classe dell’agosto 1952 del treno preso da mio padre e mia madre quando da Napoli si trasferirono a Salerno, da una parte segnano la data di nascita della nostra impresa, dall’altra mi ricordano quello che mi diceva mia madre Titina, scomparsa a 93 anni. “La nostra azienda è nata da una storia d’amore, ricordalo sempre” . Per me è un valore importante».
Quail sono i suoi primi ricordi in azienda?
«Nel 1977, assieme al primo servizio container da Salerno, ho cominciato a lavorare ma fin da piccolo frequentavo quelle stanze. Io e i miei fratelli Vincenzo e Enrico siamo cresciuti a pane e lavoro e siamo rimasti sempre uniti. Quando cominciavano le vacanze estive lavoravo al porto, mi sono imbarcato a tredici anni su una nave jugoslava diretta in Inghilterra e poi a 15 ho cominciato il tirocinio . Mi sono occupato della parte relativa al traffico contenitori. L’azienda, intanto, era cresciuta grazie ad una forte esportazione dell’agroalimentare».
Li c’è stata la svolta: da azienda artigianale a industria?
«Sì, con l’ imbarco merci su navi tradizionali abbiamo fatto il primo investimento di 460 milioni di lire per l’acquisto di una gru. Siamo riusciti così a movimentare i contenitori. La seconda svolta è stato il passaggio generazionale. Con la scomparsa improvvisa di mio padre nel 1991 ho preso io il testimone e, nel corso degli anni, siamo passati da 30 a 500 persone. Prima l’azienda era “salernocentrica”. Oggi siamo un gruppo che racchiude 25 società operative, tre uffici che diventeranno 5 entro fine anno a Salerno e Genova. Stiamo aprendo a Parma e Verona, in Inghilterra abbiamo tre sedi ma anche in Cina, a Shangai, abbiamo una sede da 15 anni, poi siamo presenti in Turchia, Olanda, Germania. Il terminal contenitori di Salerno è diventato uno dei maggiori in italia, siamo arrivati a gestire 23 navi a settimana. Abbiamo investito 45 milioni in gru e per le movimentazioni dal 2018 al 2022 nel porto commerciale di Salerno».
Un segnale di affermazione importante…
«Sì. Tutte le compagnie di navigazione passano per Salerno , non c’è area del mondo che attraversa il Sud che non passi di qui».
Gallozzi, a lei si deve un’intuizione: costruire un porto a Salerno…
«Offrendo servizi legati alla blue economy abbiamo pensato di crescere nell’ambito del turismo e dei servizi. Così è nata l’idea di costruire un grande porto turistico. Salerno è un progetto totalmente privato, non c’è un euro che venga da soldi pubblici, è uno dei porti turistici più grandi, 400mi1a mq e una capienza di 1000 imbarcazioni di una lunghezza fino a 100 metri: siamo già nati con la progettazione porto che consentisse l’approdo di grandi navi».
Come è nata l’idea?
«Talvolta melo chiedo anche io. È stato complicatissimo, abbiamo penato per le procedure amministrative. Siamo partiti nel Duemila e siamo andati avanti per 10 anni, la concessione a costruire l’abbiamo avuta nel 2011. Abbiamo costruito un porto dove non c’era nulla, nella zona più degradata della città di Salerno, con la promessa che fosse un’opera di riqualificazione. C’era una domanda molto forte di turismo e posti barca. Sono andato da tutte le istituzioni a dire: voglio costruire un porto…».
E loro cosa rispondevano?
«Mi dicevano, come, un porto? E io dicevo, si può fare, fidatevi… Sembrava impossibile ma io non ho mai mollato. Ora Marina d’Arechi ha un capitale sociale di 30 milioni di euro di cui il gruppo Gallozzi è azionista al 100 per cento. Sono stati realizzati investimenti per le infrastrutture pari a 85 milioni di euro».
Quando avete aperto il cantiere?
«La prima pietra nel 2011, i primi ormeggi nel 2013, poi la difficile fase di crisi finanziaria globale ma come detto io non mollo… Abbiamo completato nel 2018: oggi il porto è pieno, dà molte soddisfazioni a livello internazionale. Avevamo cominciato a metterlo sul mercato dal 2013, man mano che cresceva, collaudavamo i posti barca. Siamo andati avanti di pari passo con realizzazione e promozione, non abbiamo aspettato, siamo partiti subito e la clientela ha risposto benissimo. Ci credevamo molto, sapevamo che uno dei nostri asset a un passo della costiera amalfitana e cilentana sarebbe diventato un attrattore importante del diporto nautico. Ora il porto sta crescendo. Salerno fa 100 approdi di navi crociere all’anno» .
Come giudica l’attuale situazione del porto di Napoli?
«Napoli ora ha un fortissimo appeal, la caoticità fa parte del suo modo d’essere, ma sta vivendo una stagione di rilancio incredibile. Anche qui l’infrastruttura è importante per lo sviluppo . Ora con il Beverello va messo tutto a regime. C’è bisogno di un forte livello infrastrutturale , bisogna raccordare tutti i i servizi. L’obiettivo dev’essere creare percezione positiva, c’è molto da fare. Anche a Salerno è stato così».
Qual è i segreto perché tutto riesca?
«Siamo maniacali nell’attenzione dei servizi e nella ricerca della qualità. Serve un patto formale o sostanziale tra la componente pubblica e quella privata, assieme sviluppiamo economia del nostro Paese. La verità è che questi due elementi viaggiano spesso a velocità differenti, è necessario invece raccordare le motivazioni, serve un patto forte di impegno per lo sviluppo economico. C’è un tema che riguarda l’Italia come Paese che ha una profonda divaricazione tra le realizzazioni infrastrutturali e come si muove velocemente economia mondiale. Il Pnrr sarà un banco di prova. L’infrastruttura è la premessa per la gestione competitiva della mobilità».