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Bruno Ceretto: “La terra ci è entrata nel cuore”. Un sogno che contagia

27.08.2023

Bruno Ceretto ha 86 anni e una cosa ancora chiede alla vita: «Prego il buon Dio di conservarmi la vista fino all’ultimo, per poter vedere l’alba e il tramonto sulle mie Langhe». Le Langhe. L’amore attraversa ormai quattro generazioni di una famiglia che ha contribuito a trasformare una delle zone più povere d’Italia in un patrimonio mondiale dell’Unesco. I colli, il vino, il tartufo, le nocciole: qui tutto sembra donato da un Dio particolarmente benevolo. Ma senza l’opera dell’uomo, sarebbe rimasta quella “Malora” descritta da Fenoglio nel 1954. Bruno e qui, nella sua cantina in Località San Cassiano, Comune di Alba. Sua figlia Roberta è invece in vacanza in Provenza: altra terra meravigliosa, ma non abbastanza per cancellare la nostalgia. L’estate sta finendo e la videochiamata è già proiettata sulla ripresa, sul mese di settembre, che per un’azienda vinicola vuol dire vendemmia. BRUNO CERETTO «Stiamo preparando la vendemmia ma anche l’accoglienza, perché arriverà nelle Langhe un’infinità di persone. Roberta, dobbiamo organizzarci bene». ROBERTA CERETTO «Sì papà. Fino a vent’anni fa qui tutto si concentrava in quattro mesi, dalla vendemmia alla fiera del tartufo: poi, dopo Natale, non c’era più niente. Oggi questi territori hanno fatto un salto in avanti incredibile».

Eppure siete un piccolo territorio. Piccolo come tutti i gioielli.

R. « Quindici comuni attorno ad Alba: in undici si produce il Barolo, in quattro il Barbaresco. E c’è un turismo straniero che qui facilmente si trova a suo agio, perché trova qualità e tranquillità. Molte cantine si stanno sempre più strutturando per l’accoglienza. Per chi è affascinato da cibo e vino, le Langhe sono come un negozio di giocattoli per un bambino».

B. « Sessant’anni fa non sapevamo bene che cosa potevamo giocarci con i nostri prodotti: vino, formaggi, nocciole, verdure. Poi è arrivata la Nutella, che ci ha permesso di girare il mondo. E abbiamo imparato a fare il vino in modo straordinario. Il vitigno Nebbiolo, che produce il Barolo e il Barbaresco, oggi è uno dei più conosciuti al mondo. Così, c’è ovunque grande attenzione verso le Langhe e arrivano qui a frotte».

Sembra che lo dica con un po’ di preoccupazione…

B. «Noi siamo felicissimi di accogliere tutti. Ma il nostro territorio è molto limitato e non possiamo diventare come Portofino, Capri, Venezia. Dobbiamo evitare che arrivino in troppi, e l’unico sistema per preservare la qualità è aumentare i prezzi. I vignaioli, i ristoratori, i contadini devono mettersi a finanziare scuole alberghiere per migliorare il servizio. Dobbiamo produrre buoni cuochi e buoni camerieri, creare posteggi, pulire bene i paesi».

A me sembra già tutto pulitissimo.

B. «Qui sono tutti benestanti e grazie all’Unesco non vediamo più cementificazioni. Forse uno, ecco: io gioco al Superenalotto perché sogno di vincere un sacco di soldi per poter buttare giù un palazzo che hanno eretto a Cherasco e che è una vergogna. Ma le vigne sono pennellate meglio dei giardini della Regina Elisabetta. Però dobbiamo salvarlo, questo gioiello che ci ha regalato il Padreterno. Stamattina ho incontrato al bar il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, che abita ad Alba, e gli ho detto: prendi provvedimenti, organizza un altro modo per far venire qui i turisti. In Alta Langa, Monferrato e Roero c’è più spazio, là si può fare un turismo serio per le famiglie, popolare e di qualità. Ma Alba e i quindici comuni del Barolo e del Barbaresco vanno tutelati. E lasciamo perdere le nuove strade: ci bastano quelle che abbiamo, al massimo facciamo allargare qualche curva in modo che i turisti possano fermarsi a fare fotografie».

R. «Negli ultimi anni i paesi del Barolo e Barbaresco sono stati presi d’assalto nei weekend, e non sono borghi che si prestano a un turismo di massa, così come il Barolo non è un vino per feste popolari di paese. Qui il bello è il piccolo, è il familiare: ci sono trattorie dove la mamma e la nonna fanno la differenza. Insomma, bisogna far passare il messaggio che questi sono luoghi molto aperti ma anche fragili, delicati. Non possiamo permetterci un’invasione». B. «E poi il 50 per cento dei nostri Comuni di Langa non ha più negozi, ufficio postale, sportello bancario, edicola. Non va bene».

Quando comincia la vendemmia?

R. «È già cominciata, il 16 agosto, con le bollicine dell’Alta Langa, ottenuta da Pinot Nero e Chardonnay. A fine agosto si parte con il Moscato, a inizio settembre con l’Arneis, a metà settembre con i rossi: Dolcetto e Barbera. Poi arriva il tempo del Nebbiolo. In passato si cominciava a ottobre, negli ultimi anni abbiamo spesso anticipato per il riscaldamento globale. Quest’anno dovremmo andare verso ottobre. Ma la scelta dei tempi è meno romantica di una volta, oggi tutto è regolato da analisi e campionature continue».

B. «Abbiamo imparato a far bene il vino da11990 in poi, e ormai siamo competitivi con i francesi: oggi il Barolo e il Barbaresco possono stare tranquillamente tavola con i loro vini».

Forse i francesi continuano a sentirsi superiori, però.

B. «Io vedo che i loro grandi finanzieri, proprietari di aziende della moda, di giornali e di cantine vinicole, stanno girando le cantine qui intorno per cercare qualcuno che venda. Se lo chiedono a me, rispondo: sono nipote di un mezzadro, lasciate che i miei nipoti possano godere di quanto siamo cresciuti».

Ma non sarebbe un affare?

B. «Se vendi sei finito. Noi abbiamo sempre seguito un criterio, mai tenuti i soldi in banca. Abbiamo sempre pensato a dare lavoro, ne siamo orgogliosi e vogliamo che i nostri figli continuino. Guardi, non penso che altri imprenditori, voglio dire gente che produce altre cose, possa capire che cosa vuol dire fare il vino. Vuol dire che, dal momento in cui compri un pezzo di terra e pianti barbatelle che producono Barolo al momento in cui vedi il vino, passano dodici anni».

R. «Noi siamo traghettatori: i tempi sono dilatati da una generazione all’altra. Pensi a una start-up: se in un anno non dà risultati, viene chiusa. Per noi una start-up comincia quando sei alle elementari e ne vedi i frutti all’università».

B. «Nel 2000 l’avvocato Agnelli venne a visitare la nostra cappella del Barolo a La Morra. Mi disse: “Mi accompagni a fare un giro di un paio d’ore, poi torno a Villar Perosa dalla Juventus”. Mentre gli facevo vedere le Langhe, gli dissi: “Avvocato, io le devo fare un monumento perché con la storia che avete fatto la 500 a Torino tantissimi contadini si sono trasferiti e ci hanno regalato le vigne”. La 500 è stata la nostra fortuna».

E lui?

B.«”Mi chiese: “Ma quanto valgono oggi questi terreni?”‘. Gli dissi che quello delle Brunate l’avevo pagato 90 milioni di lire per sei ettari e ormai valeva già tre miliardi. La mattina dopo mi telefonò uno dei suoi più stretti consiglieri: “Ma che cosa hai raccontato all’Avvocato? È dalle cinque di questa mattina che mi dice: cosa continuate a fare la 500 che rende di più la Langa?”».

R. «Comunque mio padre è sempre stato un visionario. Ha portato i grandi artisti e ha aperto il primo ristorante stellato del territorio».

Il “Piazza Duomo” di Alba: tre stelle Michelin.

R. «È stata una grande sfida. L’abbiamo aperto nel 2005 e dobbiamo ringraziare Enrico Crippa, grande chef, un genio: riesce a fare un capolavoro anche con gli ingredienti che trova nel mio frigo. È un socio meraviglioso e un punto di riferimento per tutto il territorio. Ha dato a tutti una motivazione, è stato in grado di formare altri chef e di renderli indipendenti e stellati: e non è frequente che uno chef trasmetta il proprio talento. Enrico è stato il primo stellato, qui: oggi per fare il giro degli stellati in Langa, andandoci pranzo e cena, non basta una settimana».

B. «Abbiamo fatto venire Crippa proprio per questo: perché venisse copiato».

Bruno, ma è vero che lei beve solo Barolo?

B. «Alla mia età è d’obbligo. Vivo da solo, arrivo a casa alle otto di sera, mi mangio un filettino, bevo due bicchieri di Barolo ed è finita lì. Mi premio così».

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