59 FOCUS Civiltà del Lavoro | giugno • luglio 2025 tiera più interessante. Non esiste dunque, quindi, un singolo mercato “sostituto” della decrescita della Cina o ai dazi Usa, ma una pluralità di destinazioni da presidiare, con strategie diverse e molto mirate. Un primo rallentamento nei consumi del settore moda si è osservato giocoforza negli anni a ridosso della pandemia. A suo avviso, da allora è cambiato qualcosa nelle abitudini dei consumatori? Assolutamente sì, la pandemia ha accelerato fenomeni che forse erano già in corso. Il consumatore oggi è più selettivo, più attento al valore del prodotto e cerca motivazioni autentiche per acquistare: storia, artigianalità, sostenibilità, identità del brand. È finita un po’ la stagione dell’acquisto compulsivo: il cliente valuta, si informa, confronta. Inoltre, è cambiata la relazione con il digitale: l’e-commerce, anche nel lusso, è diventato imprescindibile, ma il consumatore pretende che l’esperienza digitale sia integrata a quella fisica, coerente, fortemente personalizzata. Un’altra trasformazione importante riguarda la sensibilità etica: molti clienti ora desiderano sapere come viene prodotto un capo, da chi, con quali materiali, e in quali condizioni di lavoro. Questo ci obbliga a una trasparenza sempre crescente. È una sfida impegnativa, che la nostra supply chain ha accolto già da molti anni, ora però diventa un’opportunità imperdibile per il nostro made in Italy, che ha moltissime storie virtuose da raccontare. Infine, il punto chiave: si sta passando da un acquisto di un prodotto ad una scelta esperienziale. Ecco perché i grandi brand della moda oggi investono nell’hotellerie, nell’home design e nel food e travel. È quindi ormai un ecosistema di prodotti ed esperienze ad interessare i consumatori e noi imprenditori italiani dobbiamo approfittare di questo cambio di paradigma. Oltre a ciò, da diversi anni ci si interroga sulla sostenibilità ambientale del settore. Come sta evolvendo l’industria della moda per rispondere alle sfide poste dalla transizione ecologica? La moda italiana sta compiendo passi importanti verso la sostenibilità, con l’uso crescente di fibre riciclate, tessuti bio-based e finissaggi meno impattanti, e investendo nella tracciabilità digitale tramite blockchain e QR code. Confindustria Moda è impegnata sullo sviluppo della circolarità della filiera: in Italia esiste da tempo il settore della raccolta e selezione dei rifiuti tessili per il riutilizzo, ma manca ancora un comparto strutturato di riciclo tessile, oggi limitato al recupero delle sole frazioni nobili. Proprio per colmare questo gap e rafforzare la resilienza e competitività del settore, Confindustria Moda ha già presentato nel 2021 una strategia industriale complessiva per una transizione sostenibile, proponendo l’introduzione di un regime Epr (Responsabilità Estesa del Produttore) nel tessile, ora in via di definizione da parte del ministero delle Imprese e del made in Italy e del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Inoltre, ha avuto un ruolo proattivo nel sensibilizzare le aziende sui cambiamenti necessari e ha costituito nel marzo 2022 il consorzio Retex.green, sistema collettivo per la gestione dei rifiuti tessili a fine vita, in vista del futuro Epr tessile italiano, consorzio che ha già permesso di raggiungere importanti risultati in termini di riciclo di rifiuti pre-consumo delle aziende tessili. La filiera della moda è composta in larga maggioranza da Pmi, se non addirittura da microimprese. Come salvaguardare il patrimonio di competenze, in vista peraltro di un ricambio generazionale ormai prossimo che riguarderà molte di loro? Questa è la grande questione strategica del nostro settore. Il made in Italy è forte perché esiste un tessuto di imprese piccole e medie, capaci di altissima specializzazione. Ma molte di queste aziende sono familiari e il tema del ricambio generazionale è cruciale. Dobbiamo lavorare su più piani. Innanzitutto, sulla formazione tecnica: scuole, Its, accademie e percorsi universitari devono essere sempre più strettamente collegati con il mondo dell’impresa, per preparare giovani altamente qualificati. Occorre rendere più attrattivo il lavoro nella manifattura moda: dobbiamo raccontare ai ragazzi che lavorare nella moda non significa solo “stilisti e passerelle”, ma anche prodotto e processo legati a tecnologia, innovazione e sostenibilità. Inoltre, serve un supporto alla managerializzazione delle Pmi: aiutare gli imprenditori ad aprirsi a nuove competenze manageriali può fare la differenza per la continuità aziendale. Il cliente oggi è più selettivo: cerca valore, autenticità e identità del brand. L’acquisto non è più compulsivo, ma parte di un’esperienza coerente e consapevole
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