Civiltà del Lavoro, n. 3/2025

41 Civiltà del Lavoro | giugno • luglio 2025 CONVEGNO NAZIONALE sta è la domanda insieme a tutte le problematiche sul rinnovamento economico di cui abbiamo parlato oggi. Le risposte le abbiamo già perché ci sono tre rapporti che sono stati pubblicati l’anno scorso: il Rapporto Letta, il Rapporto Draghi e il Rapporto Niinistö. Sono tre documenti che hanno un’infinità di raccomandazioni di policy che andrebbero messe in atto. Il problema è che non ci sono le condizioni politiche, ora come ora, o comunque non sembrano esserci le condizioni politiche per poter mettere in atto questa agenda di cambiamento e di trasformazione. E lì si tende a dare la colpa all’Ue e alle istituzioni europee. Le istituzioni europee non sono un deus ex machina, lavorano sulla base del consenso, lavorano anche sulla base delle energie e delle idee che vengono dagli Stati membri e ce ne sono poche di energie e di idee che vengono dagli Stati membri. C’è poco interesse a lavorare in maniera più cooperativa, le istituzioni faticano a mettere insieme un consenso che permetta di andare avanti e abbiamo, in tutti i paesi europei, grandi problemi di governabilità. Abbiamo maggioranze risicate, che sono al governo in vari paesi europei, governi che durano sempre meno perché crollano per conflittualità interne, elettorati polarizzati, anche con interferenze da parte di potenze straniere, quindi abbiamo un vero problema politico. Se vogliamo andare a guardare l’ordine di intervento, come fare per cambiare le cose, forse bisogna in realtà partire proprio dalla politica e trovare idee nuove per poter cambiare il modo di governare l’Europa. BERNABÉ: “Abbiamo le capacità, mettiamoci al lavoro” La responsabilità di quello che succede in Europa è sostanzialmente nostra. Diceva Julio Velasco, il famoso allenatore di pallavolo femminile, che “chi vince festeggia e chi perde spiega”. Noi siamo sempre lì a spiegare perché le cose non funzionano e invece dobbiamo agire noi proattivamente. Anche la politica ha tirato fuori un sacco di idee. La stessa von der Leyen, che si muove con grande prudenza, nei discorsi che ha fatto recentemente, quello per l’assegnazione del Premio Carlo Magno e nei discorsi precedenti, ha fatto un lunghissimo elenco di cose che si possono fare per rendere più competitiva e più veloce l’azione dell’Ue, per aumentare la produttività, per incrementare la competitività dell’Europa. BALFOUR: “Mancano le condizioni politiche per il cambiamento” Vorrei fare il punto sul contesto internazionale perché il punto chiave è: non è come prima. Dalla Seconda guerra mondiale ad oggi, un momento internazionale così pericoloso non lo abbiamo visto. Abbiamo una concomitanza di fattori che rischiano di distruggere l’ordine mondiale così come lo conosciamo. Il primo è che un membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso di infrangere l’integrità territoriale di un altro Stato. Il secondo è che abbiamo un presidente americano, che spesso dice di contemplare la possibilità di compiere annessioni territoriali come quelle della Crimea, quindi Canada, Groenlandia, Panama eccetera. Abbiamo quindi un contesto internazionale in cui l’ordine mondiale stabilito dopo la Seconda guerra mondiale è messo in discussione da potenze revisioniste. L’Ue è cresciuta sulla base di quell’ordine mondiale. L’Ue ha utilizzato l’idea, il concetto di interdipendenza come fonte di ricchezza, fonte di pace e fonte di democratizzazione e questo non solo è messo in discussione, ma adesso quella stessa interdipendenza viene strumentalizzata e viene usata come strumento coercitivo di interferenza nelle economie e nelle società di altri paesi, strumento di ricatto. Questo è il contesto internazionale in cui l’Ue si trova. È un cambiamento, è un momento di trasformazione dell’ordine mondiale e la domanda è: l’Ue e l’Europa, un po’ più ampiamente parlando, vuole far parte di una ridefinizione di questo ordine mondiale oppure vuole essere soggetta alla ridefinizione da parte di altri? QueL’Ue è cresciuta sull’idea dell’interdipendenza come fonte di pace e ricchezza. Oggi quella stessa interdipendenza viene strumentalizzata come strumento coercitivo e di interferenza

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