Civiltà del Lavoro, n. 2/2025

9 l mondo è sempre più caotico e non è facile orientarsi. Emergono nuovi focolai di crisi (dalle tensioni indo-pakistane agli scontri in Libia) mentre i grandi conflitti, la guerra in Ucraina e quella a Gaza, non riescono ad approdare alla tregua e alle trattative di pace. Per fortuna il presidente americano Donald Trump ha fatto una parziale retromarcia sui dazi (che comunque sono aumentati), sotto la spinta dei mercati finanziari e degli imprenditori americani, e sta stipulando accordi con i maggiori Paesi (a partire da Cina e Gran Bretagna) e speriamo presto anche con l’Unione europea. Se dunque una devastante guerra commerciale su vasta scala sembra scongiurata, restano tutte le incognite sul futuro che ci attende. La globalizzazione sembra tramontata, ma non sappiamo ancora che cosa arriverà al suo posto. Un mondo più frammentato, con un multipolarismo dominato dalle grandi potenze che rivendicano proprie aree di influenza, con regole e istituzioni sovranazionali più deboli, dove il diritto della forza sostituisce la forza del diritto, sembra lo scenario più probabile e per noi italiani ed europei meno favorevole. La grande domanda che dobbiamo porci è: l’Unione europea riuscirà a diventare un polo mondiale di pari livello rispetto a Stati Uniti, Cina e Russia? Oppure resterà un “animale erbivoro” in un mondo di carnivori predatori, una Venere in balia dei troppi aspiranti Marte? È il quesito alla base del Convegno Nazionale della Federazione dei Cavalieri del Lavoro del prossimo 7 giugno a Venezia “L’Europa che vogliamo”. Una cosa appare chiara: l’Europa non potrà restare a lungo l’ibrido che è oggi, metà unione di Stati sovrani e metà Federazione, con istituzioni sovranazionali come il Parlamento (ma dotato di scarsi poteri); multi-governative come il Consiglio, dove sono rappresentati gli Stati che hanno l’ultima parola in molte materie; e intermedie come la Commissione, i cui membri sono designati dagli Stati, ma sono tenuti a rappresentare l’intera Unione. Se l’Europa vuole giocare un ruolo globale adeguato alla sua storia, alla sua cultura e al suo peso economico, non può che procedere verso l’unificazione federalista, sia pure in modo pragmatico e graduale. Sarà necessario aumentare il bilancio, che è oggi poco più dell’1% del Pil europeo contro il 25% circa del bilancio federale americano. E bisognerà aumentare gli investimenti in difesa e sicurezza, visto che Trump ci chiede un maggior contributo alla Nato. Qui occorre procedere con rapidità e determinazione, irrobustendo il “pilastro europeo” Nato con maggiori spese nazionali (visto che l’Unione non ha competenze militari), ma orientate in un’ottica europea, per arrivare se non proprio a un esercito europeo a un forte coordinamento europeo degli eserciti nazionali. E poi occorre rilanciare la ricerca e la competitività dell’industria europea, sciogliendo in primo luogo i “lacci e lacciuoli” che ci siamo autoimposti, completando il mercato unico e semplificando drasticamente le normative europee (che spesso vengono aggravate a livello nazionale). In questo processo, noi italiani possiamo e dobbiamo giocare un ruolo rilevante, non solo perché siamo uno dei sei Paesi fondatori dell’Unione e siamo la seconda manifattura e la terza economia europee. Ma anche perché alcune nostre scelte, dalla difesa alla ratifica del Mes, dal superamento del diritto di veto al buon utilizzo del Pnrr, fino al risanamento dei nostri conti pubblici gravati da un debito di oltre tremila miliardi, possono accelerare o ritardare la marcia del convoglio unitario. Il governo Meloni sinora ha operato in sintonia con l’evoluzione europea, sia pure con alcune differenze tra le forze di maggioranza e con alcuni ritardi (ad esempio la mancata ratifica del Mes). Ma adesso occorre ingranare la quarta, perché le altre potenze non aspettano. Come ha detto il Presidente Mattarella al convegno Cotec di Coimbra, citando la celebre aria pucciniana, “nessun dorma”. (P.M.) I Civiltà del Lavoro | aprile • maggio 2025 IL RUOLO DELL’UNIONE IN UN MONDO CAOTICO VERSO L’EUROPA che vogliamo EDITORIALE

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