Civiltà del Lavoro, n. 2/2025

72 Civiltà del Lavoro | aprile • maggio 2025 LIBRI Enzo Manes NESSUNO BASTA a se stesso e la cura fosse un settore industriale, direi che il suo rischio sistemico è legato al fatto che non penalizza i chiacchieroni e spesso non li discrimina dai realizzatori. Il danno per tutto il sistema è evidente”. Azionista e vicepresidente esecutivo di Kme, società leader in Europa nella produzione di semilavorati in rame, il Cavaliere del Lavoro Enzo Manes in “Nessuno basta a se stesso” (edizioni Piemme, 141 pagine, 17,90 euro) racconta il percorso umano e intellettuale di un imprenditore che, come pochi in Italia, incarna il principio americano del giving back, la restituzione alla propria comunità della fortuna che la vita ha offerto. Nel 2003 Manes dà vita alla sua creatura filantropica che da quel momento in poi occuperà uno spazio sempre maggiore del suo tempo: Fondazione Dynamo. Il libro racconta la genesi e gli sviluppi di questo progetto che fino ad oggi ha ospitato 70mila persone fra ragazzi malati di patologie croniche e gravissime e i loro familiari e ha visto impegnati 10mila volontari a supporto di 250 collaboratori fissi ed altrettanti stagionali. Dynamo, col suo camp di Limestre sull’appennino pistoiese e i city camp è un gioiellino che è stato in grado di raccogliere cento milioni di euro in fundraising. Manes, da solido imprenditore, sa quanto contano i sogni. E quanto sia “profittevole” la cura. “Negli anni, un esercizio un po' beghino della cura ha contribuito a farla sembrare ciò che non è: una pratica triste, amministrata da persone che non sanno fare cose interessanti nella propria vita. Le cose cambierebbero se educassimo le persone alla cura. Di più: se le educassimo all'indignazione, a ritenere inaccettabile l'inazione di fronte al bisogno; e poi se indirizzassimo l'attenzione verso gli esempi migliori, se arrivassimo a far comprendere che c'è una parte intellettualmente molto stimolante nell'esercizio della cura, che è una sfida più grande e più emozionante dell'impresa, a patto che sia fatta con concretezza”. Il punto di partenza del suo ragionamento è provocatorio: la meritocrazia è un falso mito. “Delle cose che ho realizzato, enormi rispetto alle mie aspettative iniziali, non ce n’è una che mi abbia costretto a particolari sacrifici, o a rinunciare a qualcosa di fondamentale per me o per i miei cari”. Chi riconosce l’impatto positivo della fortuna sulla sua vita è più propenso a contribuire al bene comune rispetto a chi attribuisce unicamente al proprio merito le ragioni del successo. Il volume è articolato su quattro “pilastri”: generosità, concretezza, bellezza, autenticità. Cosa può fare ciascuno di noi per cambiare il mondo? Agire secondo questi quattro principi. Infine, una proposta politica: un prelievo dell’uno per mille sulla ricchezza finanziaria (quindi non immobiliare) degli italiani (valutata in 5mila miliardi di euro), ovvero un prelievo insignificante per la maggior parte degli italiani: 50 euro per chi ha un patrimonio finanziario di 50mila euro, per fare un esempio. In questo modo “si libererebbero 5 miliardi di euro l’anno da destinare al bene comune”. “S

RkJQdWJsaXNoZXIy NDY5NjA=