39 FOCUS Civiltà del Lavoro | aprile • maggio 2025 Alla base del progetto europeo, ha ricordato Bonvicini, c’era un’ambizione forte: federare gli Stati europei. Il tentativo fu la Comunità europea di Difesa, nata nel 1952 e naufragata appena due anni dopo. Da quel fallimento si passò a un approccio più prudente, il cosiddetto metodo neofunzionalista: partire dall’integrazione economica per arrivare, gradualmente, a quella politica. In teoria, la cessione di sovranità in un settore avrebbe dovuto innescare, per effetto domino, l’integrazione in altri ambiti. È il cosiddetto spillover effect, su cui si fondava l’intero disegno europeo. Ma qualcosa non ha funzionato. “Abbiamo accumulato competenze senza costruire un centro decisionale efficace”, ha spiegato Bonvicini. “Ci siamo fermati al funzionale, senza mai fare il salto verso il federale”. Anche i trattati più recenti, da Maastricht a Lisbona, hanno migliorato l’architettura istituzionale, ma senza scardinare davvero i meccanismi che frenano l’Unione: la regola dell’unanimità, il potere di veto dei singoli Stati, la logica nazionale che continua a prevalere sulle scelte comuni. La domanda, allora, resta sempre la stessa: dopo tanto riflettere, tentare di aggiustare e aggiungere, perché l’Ue è ancora, come affermava Zobele, incompleta? “L’Unione europea – ha spiegato Bonvicini – si è affermata come una potenza civile, con una vocazione principale rivolta alla gestione dell’economia e al soft power. Questo approccio riveste un ruolo cruciale anche in ambito di sicurezza, poiché l’utilizzo di strumenti economici esterni può produrre risultati rilevanti in questo campo. Tuttavia, ciò è stato possibile grazie alla protezione garantita dalla Nato e dagli Stati Uniti. Oggi, però, ci troviamo in una posizione scomoda: da un lato, gli Stati Uniti arrivano persino a esprimere sentimenti ostili nei nostri confronti, affermazioni che colpiscono profondamente anche a livello politico; dall’altro, assistiamo a un’aggressione militare che, sebbene attualmente limitata all’Ucraina, mira chiaramente a dividere e indebolire l’Ue nella sua essenza”. Enrico Zobele, Ferdinando Nelli Feroci e Gianni Bonvicini con gli allievi del Collegio “Lamaro Pozzani” Anche i trattati più recenti, hanno migliorato l’architettura istituzionale, ma senza scardinare davvero i meccanismi che frenano l’Unione: la regola dell’unanimità, il potere di veto dei singoli Stati, la logica nazionale che continua a prevalere sulle scelte comuni
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